Sarà pur suggestiva e in molti casi verace la filosofia di Giulio Andreotti per cui «il potere logora chi non ce l'ha», ma non è applicabile a tutte le situazioni. Per esempio alla Lega, e per una ragione molto semplice: il movimento autodefinitosi padano è nato in contrapposizione al "potere", i suoi fasti si sono concretizzati nelle invettive contro "Roma ladrona" e una politica sempre più compromessa con gli affari, possibilmente sporchi.

Chi non ricorda i nodi scorsoi esposti in parlamento da orde di leghisti assatanati, ai tempi di tangentopoli e della fuga di Bettino Craxi ad Hammamet? Anche agli occhi di chi con la cultura leghista nulla ha a che fare, né con le ampolle e le sceneggiate lungo il "dio Po", Bossi rappresentava comunque una figura ingenua, infantile, populista, certamente razzista, indubbiamente forcaiola, ma almeno esente dal più persistente vizio italiano: quella corruzione che persino l'emiro del Qatar ci rimprovera nel suo viaggio in Italia.
Questa lettura neoromantica del leghismo si è stinta da tempo, da quando i celoduristi hanno cominciato ad affiancare agli assalti alle prostitute nigeriane sul treno Torino-Milano (l'europarlamentare Borghezio) i maneggi nelle stanze e stanzette dei bottoni, dalla Bergamasca alla verde Brianza, dal Pirellone a Montecitorio, fino a Strasburgo. Maneggiando il potere la Lega è diventata uguale agli altri partiti e ha cominciato a sorridere del traffico di ragazzine nella villa di Arcore, in cambio di una tutela berlusconiana che ha sdoganato gli ex separatisti del Nord rendendoli in tutto simili a coloro contro cui erano nati. Si perde nei tempi lo scatto d'orgoglio di Bossi in un lontano 25 aprile a Milano che segnò la rottura – ahinoi di breve durata – tra la Lega e Forza Italia alleata del fascista non ancora post Gianfranco Fini.
Le inchieste di quattro procure e della Corte dei conti stanno mettendo in scena un film dell'orrore che cancella ogni presunta diversità leghista. Basti pensare al tentativo guidato dal tesoriere Belsito di riciclare danaro pubblico in Tanzania, dopo aver costruito la sua fortuna ributtando a mare i migranti: che cosa può pensarne il famoso "popolo padano", tanto più che persino in Tanzania avevano giudicato troppo ambigue le operazioni finanziarie proposte dal faccendiere di famiglia Bossi e del cerchio magico? E che avrà pensato il guerriero celtico dei traffici con la 'ndrangheta calabrese? Tra chi piange e chi giura "mai più alle urne" c'è chi difende il "povero Bossi", handicappato, circuito e tradito da una famiglia rapace e trafficoni infetti. C'è chi si aggrappa a Bobo Maroni, come se in questi anni l'ex ministro fosse andato in esilio in Islanda. C'è infine chi prende le distanze dai lombardi per tentare di salvare se non la capra almeno i cavoli. Il leon che magna il teron di Venezia si smarca, il podestà di Verona Tosi va avanti per conto suo. Bossi piange di improbabile vergogna davanti alla "militanza", come faceva la ministra Fornero dopo essersi mangiata le pensioni della povera gente.
Adesso ci pensa il trio dei salvatori della patria a ripulire la Lega a colpi di veraci scope padane. Maroni coglie al volo l'occasione per mummificare l'Umberto e far piazza pulita del cerchio magico. Peccato che uno dei triunviri – quel Calderoli che rischiò di far scoppiare prima del tempo la guerra con la Libia mostrando la sua t-shirt con le vignette sataniche su Maometto – sia anch'egli oggetto di attenzione della magistratura. Fatto dimettere l'indifendibile Trota Bossi, la pulizia è incominciata al femminile: espulsa la badante del padre Umberto, Rosy Mauro, che non vuol saperne di lasciare la poltrona di vicepresidente del senato (pensate come siamo messi), costretta a dimettersi dal Consiglio regionale lombardo la badante del figlio Trota, Monica Rizzi, quella che faceva dossier falsi contro i nemici maroniani per aiutare il Bossi
junior.
Buon ultimo e a fatica è arrivato l'abbandono di Davide Boni da presidente del Consiglio regionale, raggiunto da un mese da un avviso di garanzia per aver intascato un milione in tangenti. Il Consiglio regionale lombardo ha già 11 o 12 inquisiti ed è di questa settimana la notizia che il presidente, il "Celeste" Formigoni, andava in giro con i soldi e sulle barche del galeotto Daccò, quello che ha svuotato le casse del San Raffaele e della Fondazione Maugeri.
Con i soldi del rimborso elettorale i mariuoli di Alberto da Giussano ne hanno fatte di tutti i colori. Le reazioni "stupite" del Bossi senior al diffondersi della notizia che la sua villa era stata ristrutturata con i soldi pubblici è la stessa di Scajola quando "scoprì" la medesima cosa. Che penserà la leghista camuna iscritta alla Fiom e alla Lega perché – diceva – la Fiom difende i miei diritti in fabbrica dal padrone e la Lega difende il mio giardino dalle incursioni dei "negher"? Per fortuna le resta la Fiom. Lei come tante al Sin.Pa (l'ignoto sindacato padano costruito dall'immarcescibile Rosy Mauro) non aveva neanche pensato di iscriversi: «Leghista sì, cogliona no», ci aveva detto in un'intervista.
Si salverà, meglio dire rinascerà la Lega? Bossi sembrerebbe fuori gioco, ma nel Belpaese mai dire mai. La "militanza" è allo sbando, dopo essersi rinvigorita per qualche settimana dall'opposizione a Monti per riconquistare agli occhi del "popolo" la sua diversità dal sistema dei partiti di "Roma ladrona". Difficile ora spiegare gli investimenti in diamanti e lingotti d'oro, riciclando i soldi dei rimborsi elettorali passati per Cipro, Reggio Calabria, Norvegia e Tanzania. Il prossimo appuntamento elettorale delle amministrative sarà un primo, parziale riscontro sugli umori della base leghista che i sondaggi danno in forte flessione. Ma è tutto da dimostrare il luogo comune secondo cui il popolo leghista sarebbe migliore dei suoi vertici: decenni di odio razzista e individualismo proprietario istillato nelle vene "padane" hanno lasciato il segno.
È possibile prevedere che una parte del voto operaio (passato da sinistra alla Lega dopo lo scioglimento del Pci) andrà disperso tra astensioni, croci sulle Cinque stelle di Beppe Grillo che sembra rinvigorirsi nel populismo verticista dell'antipolitica, e magari qualche ritorno nella casa diroccata della sinistra.
La crisi della Lega fa esplodere la crisi generale dei partiti e aumenta il solco che li divide dal comune sentire di elettori e non più elettori. La politica italiana, che ha rinunciato al suo ruolo conse-
gnando il potere delle decisioni e l'economia alla finanza internazionale, tiene ben salde le redini della "sua" economia, oscurando persino lo scandalo di Tangentopoli e alimentando l'antipolitica. È essa stessa antipolitica.

Pubblicato il 

20.04.12

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