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Le vosci del dissenso
di
Anna Luisa Ferro Mäder
«Un altro mondo è possibile» grida il volantino di uno dei tanti gruppi che in questi giorni si stanno mobilitando. Basta guardarsi un po’ intorno per capire quanta voglia ci sia anche negli Stati Uniti di cercare nuove vie per far sì che la globalizzazione non apporti solo vantaggi alle grandi multinazionali, ma serva prima di tutto per combattere la fame, le ingiustizie e la povertà. Saranno proprio questi i temi principali dei tanti dibattiti che organizzazioni di consumatori, sindacati, studenti e intellettuali hanno in programma a New York dal 31 di gennaio al 4 di febbraio, proprio in concomitanza con il summit economico di Davos che quest’anno si terrà al Waldorf-Astoria Hotel. Il World Economic Forum (Wef) è sicuramente un circolo molto elitario. Riunisce ogni anno oltre 1500 rappresentanti di spicco del mondo economico, politico, accademico, artistico e dei media. Sono poco più di mille i «soci» di questo club esclusivo la cui quota annuale d’iscrizione è di circa 300 mila dollari. Vi fanno parte prima di tutto multinazionali o organizzazioni europee (430) e statunitensi (228), mentre l’Africa ha solo 43 membri e il centro-sud-America 75 iscritti. Negli ultimi cinque anni, rilevano gli anti-global, il Wef è diventato il luogo più importante dove i maggiori leader mondiali della politica e degli affari discutono come guidare e come vendere il processo di «globalizzazione». In risposta a «Davos» negli ultimi anni è nato un ampio movimento di protesta. Il Forum si è sentito minacciato e si è barricato dietro imponenti misure di sicurezza. L’anno scorso ci sono stati scontri tra anti-global e forze dell’ordine. Quest’anno gli organizzatori del Forum hanno deciso di lasciare le innevate montagne grigionesi. Si trasferiscono a New York anche «per esprimere solidarietà agli abitanti della grande metropoli e degli Stati Uniti» ha affermato Klaus Schwab il fondatore del Wef.
Il simbolo della grande finanza
In realtà New York, che ormai sta ritornato lentamente alla normalità, resta pur sempre il simbolo della grande finanza, della borsa, delle famose share holding e in genere di un capitalismo che penalizza i più poveri. A New York non si è trasferito solo il Forum, ma anche «The public eye on Davos», l’occhio critico voluto da organizzazioni non governative elvetiche che auspicano un sistema economico sociale e rispettoso dell’ambiente. Promosso tre anni fa dalla «Dichiarazione di Berna», questo gruppo conta oggi sul sostegno di 10 organizzazioni non governative dei cinque continenti. Il programma delle manifestazioni, che si terranno alla Church center delle Nazioni Unite, è molto denso. Si comincerà col discutere dell’impatto sociale e ambientale della globalizzazione così come voluto dalle multinazionali. La liberalizzazione promessa dalle grandi corporation, molte delle quali fanno parte del Wef, non ha ridotto la povertà o contribuito ad uno sviluppo rispettoso dell’ambiente. Le multinazionali – si legge nel programma – continuano a far parlare per i danni che provocano all’ambiente o perché violano i diritti dell’uomo, ma invece di cambiare politica puntano su campagne di pubbliche relazioni.
Limitare il potere delle multinazionali
Come si può combattere tutto questo? Limitando il potere delle multinazionali e costringendole ad agire nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, si legge nel programma di un altro seminario dove si esamineranno modelli innovativi per risolvere un problema che richiede risposte governative e a livello internazionale, per esempio attraverso l’Onu. A New York confluiranno anche molte organizzazioni statunitensi. Alcune discuteranno temi strettamente legati all’attualità, come i rapporti tra globalizzazione e terrorismo. Il forum organizzato dalla Fondazione socialista americana, un nuovo think tank promosso dal partito socialista americano, cercherà in particolare di capire l’impatto che la guerra al terrorismo ha avuto sul cosiddetto movimento anti-global, come pure i potenziali rapporti tra libero mercato, squilibrio economico e terrorismo. Anche i consumatori americani saranno presenti attraverso il «Public Citizen», l’organizzazione in difesa dei consumatori creata oltre 30 anni fa da Ralph Nader, il candidato ecologista alle ultime elezioni presidenziali americane. Da anni, questa organizzazione, attraverso il «Global trade watch», informa l’opinione pubblica americana sull’enorme impatto che il commercio internazionale e l’economia globalizzata hanno sui posti di lavoro, sull’ambiente, sulla salute e sui diritti democratici.
Studenti e pacifisti contro l’imperialismo
Non mancherà l’apporto degli studenti che si sono dati appuntamento alla Columbia University di New York. Chiedono prima di tutto di globalizzare la giustizia. Discuteranno quindi delle connessioni tra potere e capitale, tra «l’imperialismo americano e il dominio globale delle multinazionali». Ci saranno anche i pacifisti che invitano a scendere in piazza il 2 di febbraio. «Dichiariamo guerra alla povertà, al razzismo e ai licenziamenti di massa» è lo slogan scelto per la manifestazione, autorizzata dalle forze dell’ordine, indetta da Answer, una coalizione formatasi dopo l’11 di settembre per promuovere appunto la pace e combattere il razzismo. L’appuntamento è davanti all’albergo dove si svolge il Forum economico. Sarà un’altra occasione per affermare che «un altro mondo è possibile».
Pubblicato il
25.01.02
Edizione cartacea
Anno V numero 3
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