Diritti & Società

Tra le rose e le viole è il titolo di una filastrocca che Porpora Marcasciano, quando andava all’asilo, sognava di poter cantare insieme alle altre bambine. Porpora non poteva però entrare nel girotondo insieme alle altre bimbe, perché le suore non glielo permettevano: lei aveva le fattezze da maschietto e quel girotondo le era quindi precluso.  Tra le rose e le viole è anche il libro che Porpora Marcasciano ha pubblicato nel 2002 per Manifestolibri, raccogliendo gli entusiasmi di critica e pubblico, e che oggi è di nuovo in libreria grazie alla casa editrice Alegre.

 

Il nome di Porpora Marcasciano non è forse conosciuto ai più, anche se in realtà si tratta di una delle figure più importanti della scena transgender italiana. Presidente del Mit (Movimento identità trans), Porpora Marcasciano ha seguito passo a passo le principali battaglie che hanno caratterizzato il movimento negli ultimi decenni. Il suo attivismo è diventato anche letteratura. L’autrice ha infatti pubblicato diversi libri in cui ha dato voce a figure trans straordinarie e, inoltre, ha fornito degli elementi di critica transessuale fondamentali nell’ottica di un rinnovamento della teoria di genere e del femminismo.  

 

Nel suo libro, che segue di qualche mese L’aurora delle trans cattive, edito nel 2018 sempre da Alegre, Porpora Marcasciano ha raccontato dieci storie ai margini, le ha tolte dall’invisibilità e le ha regalate a noi e alla Storia.

 

Signora Marcasciano, come fu accolto Tra le rose e le viole al momento della sua uscita nel 2001?

A parte la mia emozione per la mia prima pubblicazione, ebbe un grande riscontro perché era la prima volta che una voce corale, composta da 10 storie importanti, emergeva dal buio della storia. A pubblicarla, inoltre, era un’attivista, una di loro. Lo considerai subito, prima ancora che uscisse, come un lavoro politico. Riprendere la narrazione, quella delle protagoniste che leggevano il mondo, fu importante e necessario perché fino a quel momento era stato il contrario e cioè il mondo che leggeva e giudicava le trans.

 

Cosa significa per Lei questa ristampa?

Significa restituire una parte importante di storia, quella dal basso, detta pure controstoria, significa dare senso e significato a un’esperienza umana importante. Significa anche comprendere cosa è successo in questi ultimi venti anni. Sono successe tante cose, sono cambiate le parole, le vite, le prospettive, è cambiato il mondo e noi di conseguenza.

 

Nel libro si parla molto del momento del transito. È ancora così difficile per le persone trans?

È difficile rispondere. Se la chirurgia, le cure ormonali e la transizione in generale sono cambiate e potremmo dire migliorate, le esigenze e le aspettative sono aumentate. La popolazione trans è oggi stimata intorno alle 400.000 unità in Italia e questo significa che ci sono nuove sfaccettature, nuove prospettive ed esigenze. Il cosiddetto transito non può più essere semplificato in un percorso dalla A alla Z, ma è diventato sempre più personale. Questo può tradursi in una difficoltà nel seguire, considerare, osservare tutti i possibili percorsi, complicando non poco la capacità del sistema di dare risposte concrete e adeguate.

 

Nel libro si parla spesso di ormoni, dei rischi e delle opportunità connesse alla loro assunzione. Cosa è cambiato oggi?

Da questo punto di vista il cambiamento è stato radicale perché prima vigeva un sistema “fai da te” e non c’erano né punti di riferimento, né professionalità specializzate che potevano o volevano seguire il transito. Gli ormoni venivano acquistati in farmacia senza ricetta oppure venivano ordinati in Svizzera, quelli considerati migliori.  

 

Esiste ancora un movimento transessuale in Italia attivo come negli anni Settanta e Ottanta?

Paradossalmente il Movimento trans è quello più vegeto nel panorama Lgbtq. È molto diviso al suo interno, ma risulta essere quello più produttivo dal punto di vista culturale, filosofico e politico. Nonostante le ruggini tra associazioni si prosegue nella lotta. Il movimento gay oggi è rappresentato da una sola associazione, Arcigay, e credo che questo sia un problema. Mentre quello trans è composto da almeno 10 associazioni e altrettanti collettivi molto attivi e agguerriti

 

Possiamo dire che le persone transessuali, pur subendo ancora discriminazioni inaccettabili, non siano più invisibili come un tempo in Occidente?

La visibilità può essere un’arma a doppio taglio: da una parte produce e ha prodotto accesso, riconoscimento, riscontro, dall’altra ha avuto effetti negativi in termini di violenza transfobica. Quest’ultima è aumentata in maniera esponenziale.

 

Ci sono esempi di transessuali e travestiti in Italia che riescono a trovare una dimensione lavorativa soddisfacente al di fuori della prostituzione?

Le cose da questo punto di vista sono molto cambiate, grazie anche al lavoro politico di associazioni, sindacati, istituzioni. Oggi la prostituzione rappresenta una percentuale molto ridotta dell’intera popolazione trans. Se così non fosse, avremmo le strade piene di trans. Va menzionato il lavoro che la Cgil ha fatto a partire dal 1997, quando erano ancora pochi a parlarne. Il Mit gestisce da quella data uno speciale sportello Mit/Cgil a Bologna, di cui sono personalmente responsabile, che è riuscito a portare avanti numerose istanze lavorative e assistenziali.

 

A quali problemi vanno incontro le minoranze straniere transessuali in Italia?

Noi al Mit, attraverso il nostro sportello migranti e il sistema di accoglienza, seguiamo una comunità di trans peruviane lavoratrici del sesso di circa 30 persone. Ma anche gruppi di trans provenienti dal Nord Africa e dal Pakistan. Gestiamo una casa alloggio per richiedenti asilo, nonché diversi percorsi di accoglienza e accompagnamento alla regolarizzazione e integrazione. Proveremo a fare di più visto che la domanda è in continuo aumento

 

Pubblicato il 

21.12.20
Nessun articolo correlato