Le verità nascoste della Gucci

Dai controlli «tutto in regola», afferma l’azienda. Un precedente rapporto consente di dubitarne

La fuga dal Ticino della Luxury Goods International, rientrata in Italia dopo la miliardaria multa fiscale e la conseguente fine dell'elusione fiscale con la fatturazione in terra elvetica di quanto prodotto in Italia, hanno fatto passare in secondo piano le affermazioni d'inizio settimana dell'azienda quando dichiarava che dai controlli della Commissione paritetica fosse risultato «tutto in regola». In altre parole, le testimonianze di denuncia sulle pessime condizioni di lavoro nei magazzini logistici dell'ex Gucci andate in onda a Modem (Rsi), non erano vere. Il "tutto in regola" dell'azienda era già stato detto 5 anni fa, ma il rapporto della Commissione diceva tutt'altra cosa. Ve lo riassumiamo.

 

Stando a quanto comunicato dalla stessa Lgi, i controlli effettuati dalla Commissione paritetica del ramo non avrebbero riscontrato «alcuna irregolarità contrattuale o alle disposizioni di legge». I controlli erano scattati dopo la trasmissione radiofonica Modem della Rsi di fine febbraio, nella quale diversi lavoratori denunciavano ritmi di lavoro frenetici e sotto videosorveglianza, temperature gelide nei magazzini, impossibilità di bere o di usare i servizi igienici durante i turni, nonché di orari e luoghi di lavoro comunicati di giorno in giorno via WhatsApp. In altre parole, le testimonianze dei lavoratori raccolte da Modem non sarebbero state vere. Il condizionale è d’obbligo, per diversi motivi. In primo luogo, salvo i membri della commissione e l’azienda, nessuno ha potuto visionare il citato rapporto. In secondo luogo, a non dire tutta la verità, potrebbe essere l’azienda.

 

Il precedente
Nel 2014, Unia aveva denunciato dei gravi comportamenti lesivi dei diritti dei lavoratori Lgi simili a quelli raccontati da Modem. Anche area aveva condotto un’inchiesta giornalistica, pubblicata nell’articolo: «Alla Gucci il lavoro è su chiamata Sms». Nei giorni seguenti arrivò la replica della Lgi: «Tutto in regola». Peccato che il successivo rapporto della Commissione paritetica del ramo, mai reso pubblico, abbia confermato buona parte delle accuse di Unia e le testimonianze raccolte da area. Ecco uno stralcio dei punti essenziali.


La chiamata tramite Sms
«Rispetto alla denuncia, trova conferma la pratica di avvertire per Sms il personale la sera antecedente circa l’ora di inizio del lavoro». La stessa modalità, si legge nel rapporto, è utilizzata per gli interinali.

 

Interinali e a tempo parziale
Al momento del controllo su 225 dipendenti, 142 risultavano con un contratto a tempo pieno, mentre 113 dipendenti diretti della Lgi erano al 70%. A questi vanno aggiunti 139 lavoratori interinali, il cui grado di occupazione medio ammonta al 73%. Sommando interinali e tempi parziali, risulta che la maggioranza della manodopera impiegata allora alla Lgi, era al 70%. Quale fosse la ragione di una simile percentuale, lo spiegavamo nell’articolo: «Il 70% dei dipendenti fissi non è una casualità. Gli undici turni lavorativi previsti dall’azienda corrispondono tutti a sei ore e quindici minuti. Esattamente il 70% quotidiano delle 42 ore settimanali a tempo pieno. Turni teorici».

 

Orari di lavoro
«Nella pratica, Giovanni conosce solo la sera prima quando il giorno dopo entrerà in quel magazzino, ma non quando ne uscirà», scrivevamo su area, raccontando la giornata tipo di un lavoratore qualsiasi all’interno dei capannoni della ex Gucci. Nel rapporto della commissione, si parla, più elegantemente, «di organizzazione del lavoro improntata ad un elevato grado di flessibilità, motivata dalle necessità aziendali di far fronte all’imprevedibilità delle ordinazioni, dei termini di consegna nel dover servire il mercato mondiale». Che si lavorasse ben oltre il tempo contrattualmente stabilito, lo afferma anche la Cpc: «Un’ampia fetta di dipendenti a tempo parziale (60%) denota un grado di occupazione persino superiore al 90%». Un’ulteriore conferma la si trova nei riferimenti sulle paghe. I lavoratori a tempo parziale percepivano mediamente ogni mese 500 franchi in più rispetto alla paga prevista, molto probabilmente proprio in ragione delle numerose ore supplementari prestate. Nessuna informazione sul trattamento riservato agli interinali.

 

Le paghe
«In consonanza con quanto concordato tra le parti sociali, il salario minimo iniziale ammonta a fr. 3’200.- mensili (per 13 mensilità). Il salario minimo nel caso di un rapporto di lavoro al 70%, che corrisponderebbe matematicamente a 2’240.- franchi, è fissato dalla ditta a 2’300.- franchi.
Nel nostro articolo, eravamo stati più generosi, attribuendo al dipendente Giovanni, una paga da 2’700 franchi al 70%. Ma non siamo troppo discosti dalla realtà, perché come rilevato dalla paritetica, il salario medio di un assunto al 70% si attesta a 2’850 franchi, su cui incide «il grado effettivo di occupazione, che per numerosi dipendenti supera quanto indicato nel contratto individuale di lavoro». In altre parole, paga più alta per le numerose ore supplementari richieste. Dei 140 interinali non viene indicata nessuna cifra sulla loro retribuzione.

 

Provenienza dei dipendenti
«La grande maggioranza dei colleghi di Giovanni è giovane, interinale e frontaliere» si leggeva nel nostro articolo del 2014. Infatti, i frontalieri erano l’80% dei dipendenti a tempo pieno, mentre saliva al 94% della manodopera a tempo parziale. Poiché la Commissione nel suo rapporto quasi non tratta la sorte toccata agli interinali, non si hanno informazioni sulla loro provenienza, anche se si può ragionevolmente dedurre che siano in gran parte frontalieri. D’altronde, la stessa Commissione arriva alla conclusione che le condizioni di lavoro e i livelli salariali, «soprattutto in caso di occupazione a tempo parziale – concorrono a spiegare la debole attrattività sulla manodopera locale». Anche in questo caso, occorre forse tradurre il burocratico linguaggio in termini più semplici. È difficile trovare un residente che sia disposto a lavorare in condizioni pietose per una misera paga che non gli consente di sopravvivere.


Le singolari conclusioni
«Le verifiche effettuate dalla Commissione paritetica consentono di rilevare che il contratto collettivo di lavoro viene rispettato». Ecco perché Lgi poteva dichiarare che tutto fosse in regola, nonostante quanto denunciato aderisse alla realtà. Ma poiché si ammetteva che la situazione non fosse propriamente idiliaca, le parti contraenti (Ocst, Ssic e Camera di commercio) si dicevano disposte «a valutare in primo luogo» d’introdurre nel Ccl norme aggiuntive «che consentano di rispondere alle caratteristiche della Lgl» (si veda flessibilità estesa, ndr) e «la ricerca di soluzioni che attenuino il più possibile i disagi a carico del personale».

 

Come sia andata con il controllo di quest'anno, dopo le nuove denunce, non lo sappiamo. Possiamo però prevedere che nel futuro, difficilmente si parlerà ancora delle condizioni dei lavoratori alla ex Gucci. Stando alla Rsi, entro due anni Lgi chiuderà la logistica di Sant’Antonino e gli altri stabilimenti minori. Dopo averli spremuti per anni, centinaia di lavoratori saranno lasciati a casa o, nel migliore dei casi, trasferiti nel nuovo mega polo logistico del gruppo previsto a Novara. Mentre quale monito per le prossime generazioni, sul territorio ticinese si staglierà un lussuoso magazzino, vuoto, inaugurato meno di cinque anni fa.

Pubblicato il

21.05.2019 19:46
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