Le testimonianze di ex dipendenti

Alcune ex dipendenti della Pharmintraco, attive nel laboratorio aziendale, raccontano come la loro salute si sia deteriorata nel giro di pochi mesi.

«Ho incominciato a lavorare a Pharmintraco nell’aprile 2012 nel laboratorio. La mia salute era perfetta. Nel reparto eravamo in tre, più il responsabile. A fine maggio, comincio a soffrire di un forte mal di testa di cui non avevo mai sofferto. I dolori avevano inizio sempre allo stesso orario, a fine pomeriggio, e duravano fino al mattino seguente. A fine giugno, comincio a soffrire di nausea fissa, oltre al mal di testa. A fine agosto ho preso a vomitare l’anima e perdere mazzi di capelli. Nello stesso periodo mi è scomparso il ciclo mestruale. Non l’ho più avuto per tre mesi, nonostante prendessi la pillola contraccettiva che garantiva la puntualità di ciclo. Ho collegato questi problemi allo stress del nuovo lavoro. Poi sono arrivate le fitte lancinanti al basso ventre, che si estendevano anche sulla gamba fino a farla cedere.

 

Il mio ginecologo mi ha chiesto di sospendere la pillola, supponendo che i problemi fossero dovuti a una reazione al contraccettivo. La visita e gli esami di settembre rivelano invece che si trattava di una massa di due centimetri alla tuba destra. Nello stesso mese sono stata operata d’urgenza a Chiavenna, dove mi hanno asportato la massa. Dimessa dopo due giorni, stavo bene fisicamente, non avendo nessun postumo operatorio. Due settimane dopo, si ricomincia: ricompaiono la nausea e i dolori alla gamba. Anzi, si era aggiunta una febbriciattola. I medici mi sottopongono a nuove analisi ma non trovano nulla. L’unico problema riscontrato è una perdita di liquidi che si riversava nel sacco peritoneo. Non riuscendo a individuare la causa dei sintomi, i medici (ne ho consultati diversi), consigliavano di aspettare ipotizzando che si trattasse di aderenze causate dall’intervento chirurgico precedente.

 

A dicembre il dolore è cresciuto, estendendosi dalla gamba alla schiena. Mi rivolgo all’ospedale Mangiagalli di Milano la cui diagnosi è “sospetta endometriosi” . Poiché avevo fatto l’intervento a settembre, consigliano di aspettare sei mesi dalla prima operazione».


Le analisi successive hanno purtroppo dato dei risultati peggiori. Una risonanza magnetica ha individuato la presenza di una massa tumorale all’interno dell’utero, posizionata sul muscolo. Ciò significa che non è chirurgicamente asportabile. Per la giovane donna s’impongono due alternative: una menopausa indotta, nella speranza che la massa si riduca fino a scomparire, oppure l’asportazione totale dell’utero. Vista la giovane età, si è scelta la prima cosa per mantenere intatte le speranze di poter aver un giorno un figlio, mentre la seconda avrebbe eliminato qualsiasi possibilità. Se la menopausa indotta dovesse dare i risultati sperati consentendo una gravidanza, la signora dovrà ugualmente continuare ad assumere i medicamenti per tutta la vita a meno di non farsi asportare l’utero.

 

I medicamenti per indurre la menopausa, non essendo ancora omologati in Italia, deve acquistarli in Svizzera dove sono già in commercio a prezzi piuttosto elevati. Essendo residente in Italia, la spesa dei medicamenti non è coperta dall’assicurazione malattia elvetica e la Mutua italiana non li rimborsa. Se li deve dunque pagare di tasca sua. Un aggravio finanziario che incide ulteriormente su una persona ammalata per cui è impossibile trovare occupazione.

Un’altra dipendente, sua collega all’interno del laboratorio nello stesso periodo, ha accusato i medesimi sintomi: nausea, perdita di capelli e assenza di ciclo mestruale per dei mesi. Fortunatamente nel suo caso non le è stata riscontrata nessuna massa. L’ex dipendente si sta però sottoponendo a una cura ormonale e assume medicamenti antinfiammatori per un’infezione di cui non è stato possibile identificare la causa.


Non esistono prove scientifiche del collegamento diretto tra il tipo di lavoro svolto delle due lavoratrici e la patologia da loro contratta. Per poterlo stabilire, le due signore si sarebbero dovute sottoporre mentre erano ancora in fabbrica ad accurate analisi per rilevare l’eventuale tossicità accumulata nel corpo. Sono analisi mirate alle sostanze utilizzate, che non possono essere svolte da qualsiasi laboratorio. Anche perché sono analisi costose.


In Italia sono i laboratori specializzati in medicina del lavoro che visitano ogni sei mesi i lavoratori a contatto con questi specifici prodotti. Lo prescrive la legge, mentre in Svizzera nessuna norma  prevede controlli regolari di questo genere. Nella fabbrica in questione, diversi anni or sono i lavoratori erano sottoposti ad analisi dell sangue, feci e urine ogni anno. In seguito l’intervallo divenne di due anni. Da qualche anno invece le analisi non vengono più effettuate.


Riassumendo, le signore possono essersi ammalate al lavoro oppure no. Nessuno è in grado di stabilirlo o escluderlo perché non si è potuto agire tempestivamente. Il terribile sospetto continua a sussistere.
Interpellato da area, l’oncologo di fama mondiale Franco Cavalli esclude che il contatto con le sostanze citostatiche usate in quel laboratorio possano provocare un tumore benigno. L’errata manipolazione di quelle sostanze potrebbe provocare solo tumori maligni. L’oncologo però precisa che i sintomi accusati dalle due lavoratrici, «mal di testa, nausee ed eventualmente anche la perdita dei capelli» possono essere collegati all’esposizione a queste sostanze.


Le imminenti analisi diranno se si tratta di un tumore benigno o maligno. Per il resto, l’atroce dubbio di essersi ammalate sul lavoro rimane.

Pubblicato il

23.01.2013 15:04
Francesco Bonsaver