Quale sarà la qualità della vita degli oltre 2mila ultracentenari (erano 133 nel 2005) o dei 30mila ultraottantacinquenni (erano 6'700 nel 2005) o dei 50mila ultraottantenni (erano 17'300 nel 2005) che vivranno in Ticino nel 2050 ? Come verrà risolto il problema pensionistico quando il rapporto tra la popolazione normalmente pensionata (> di 65 anni) e quella normalmente attiva (20-64 anni) passerà dal 30 al 60 per cento? Sono alcune delle domande che vengono spontanee leggendo le previsioni demografiche dei Cantoni pubblicate dall'Ufficio federale di statistica nell'aprile dello scorso anno.
Quelle dell'Ufficio federale sono previsioni a lungo termine con un elevato grado di attendibilità perché si basano sulla popolazione  attualmente residente in Ticino che presumibilmente invecchierà in Ticino, sulla evoluzione della speranza di vita che aumenta e su un saldo migratorio medio di 2mila persone/anno che è quello degli ultimi 20 anni.
Oggi in Ticino in media vivono poco meno di 3mila persone per ogni classe di età tra 0 e 20 anni, ma ce ne sono quasi 6mila  di 40 anni e molti di questi saranno gli ultraottantenni ticinesi del 2050. L'aumento percentuale delle popolazione con più di 65 anni in Ticino è iniziato nel 1970, dopo la breve fase di aumento delle nascite (baby-boom) degli anni Sessanta, quando erano ca. il 12 per cento del totale della popolazione e continuerà, inizialmente con un ritmo accelerato, fino al 2040 circa  quando supererà il 30 per cento del totale. Ancora più impressionante l'aumento degli "over 80" che nel 1970 erano il 2 per cento e che diventeranno nel 2050 il 14 per cento del totale della popolazione con una progressione che aumenterà anche dopo quella data. Questa rivoluzione demografica di cui, per ora, avvertiamo solo i primi sintomi, nei prossimi 40 anni potrebbe sconvolgere il problema pensionistico, il mercato del lavoro, le strutture e la spesa sanitaria, le strutture e la spesa per la cura e l'assistenza a domicilio, il problema dell'alloggio, l'organizzazione del territorio, la mobilità, la famiglia, il volontariato, i rapporti intergenerazionali, la società civile e quella politica. È una sfida con vantaggi (primo fra tutti l'allungamento della durata media della vita), ma che pone soprattutto seri problemi strutturali e finanziari se non si vorrà rassegnarsi a un peggioramento della qualità della vita. È  una sfida che interessa  i giovani, chi oggi ha 30/40 anni, ma anche gli anziani se pensiamo che la speranza di vita di un sessantacinquenne oggi supera i 20 anni e che quella di un ottantenne supera i 10 anni. Solo in tempi relativamente recenti se ne è cominciato a parlare a livello politico: il piano degli indirizzi del 2003 di durata ventennale ne faceva solo accenno in 5 righe anche se di ottime intenzioni, il Consiglio federale ha trasmesso alle Camere un interessante rapporto di 60 pagine nell'agosto del 2007 e le Linee direttive 2008-2011 del Consiglio di Stato vi hanno dedicato un capitolo specifico ben articolato, ma su un periodo (quello di 4 anni) troppo breve per poter essere significativo. Soprattutto per quel che riguarda la spesa necessaria per finanziare le buone intenzioni. Quello che sta capitando in Ticino capita anche altrove in molti paesi europei ed è uno dei grandi temi della modernità assieme alla globalizzazione, alle disparità economiche, ai fenomeni migratori che sono anche una conseguenza non solo delle enormi disparità di reddito, ma anche delle altrettanto enormi disparità di sviluppo demografico. Un problema che richiederà dei rapporti di sussidiarietà orizzontale tra stato e società civile, che solleva problemi etici nuovi e che dovrebbe figurare ai primi posti nella elaborazione della visione del futuro di ogni partito politico.

Pubblicato il 

25.01.08

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