È un bilancio decisamente più scuro che chiaro quello che Elio Venturelli, che ha da poco lasciato le redini dell'Ufficio cantonale di statistica (Ustat), traccia sulle "attenzioni particolari" da parte della classe politica per rapporto all'ufficio da lui diretto per 30 anni. Attenzioni, ma anche disinteresse e scarso utilizzo della statistica pubblica. Non è infatti un segreto che nel periodo in cui il Dipartimento di finanze ed economia era diretto da Marina Masoni l'Ustat è stato oggetto di diverse pressioni. Era tabù dire che in Ticino i salari stagnavano da anni, ed era anche poco auspicabile commentare i dati raccolti se i risultati non andavano nella direzione auspicata dall'umore politico. L'apice delle attenzioni è stato raggiunto quando l'Ustat ha prodotto una ricerca sui working poor. L'allora direzione del Dfe era subito corsa ai ripari con la pubblicazione di una "contro ricerca" di dubbio valore scientifico, ma soprattutto così facendo aveva squalificato il lavoro svolto dall'Ufficio di statistica.
Ma anche in passato le cose non andavano meglio: «il politico è stato più che altro a guardare», dice Elio Venturelli nell'intervista concessa ad area. E ancora oggi l'Ustat dipende da una miriade di leggi e soprattutto da un "dipartimentalismo" malsano per il lavoro dei funzionari. Da più parti, anche in passato, si è invocato una legge apposita sulla statistica. Una legge che dia un mandato specifico ad un ufficio troppo in balìa degli umori della classe politica. Sui banchi del parlamento c'è ora un'iniziativa parlamentare del socialista Manuele Bertoli che chiede appunto una legge apposita per la statistica pubblica. Una richiesta che Laura Sadis – e questa è davvero una novità politica – ha inserito nelle Linee direttive 2008-2011. Una buona notizia che attende però di passare alla prova parlamentare.
Ma a cosa serve la statistica pubblica? Quale dovrebbe essere il suo ruolo? I maligni rispondono che serve a spiegare tutto e il contrario di tutto… Già, soprattutto perché in questi anni l'Ustat non ha potuto, alcuni dicono saputo, imporsi come l'interlocutore in grado non solo di raccogliere dati, ma anche di commentarli oggettivamente vantando una indipendenza al servizio del cittadino.

Elio Venturelli lei ha diretto per 30 anni l'Ufficio cantonale di statistica (Ustat). Come valuta l'attenzione della classe politica nei confronti della statistica pubblica?
Quando ho incominciato l'Ufficio di statistica era composto da cinque persone. L'attività principale era la realizzazione dell'annuario statistico, prodotto regolarmente dal lontano 1938, più o meno nella stessa forma. L'immagine che l'ufficio veicolava non era delle più innovative. Devo però dire che, fin dall'inizio, ebbi carta bianca dalla direzione del Dfe – da Ugo Sadis e, in particolare, dall'allora segretario Enrico Rondi – per lo sviluppo di nuovi progetti. Ne approfittai per investire specialmente nella diffusione dell'informazione statistica, creando nel 1979 un mensile che uscì regolarmente per 21 anni e che oggi si è trasformato nella rivista "Dati". Attualmente all'Ustat lavora una trentina di persone, in gran parte accademici e il campo di attività spazia dalla demografia, all'economia, alla sanità, alla vita politica, all'ambiente. L'Ustat collabora con l'intera amministrazione, con le università e la Supsi; nel confronto intercantonale, è il terzo per importanza, dopo Ginevra e Zurigo. Se l'Ustat ha potuto svilupparsi così non è però tanto per volontà politica, quanto per l'importanza che l'informazione statistica ha assunto negli ultimi decenni, un processo irreversibile. In realtà, in questi trent'anni, non ricordo un intervento di un politico ticinese in governo a favore dell'attività statistica, per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza del nostro lavoro. Semplificando un po', il politico è stato più che altro a guardare.
Ritiene che il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori sia stato sufficientemente tenuto in conto e valorizzato dai politici?
Utilizzato sì, valorizzato no. L'Ustat lavora per tutti i dipartimenti, produce scenari demografici che servono per le numerose pianificazioni (dalle case per anziani alla scuola), realizza regolarmente un conto sanitario, gestisce un sito internet tra i più consultati, offre alle migliaia di utenti banche dati interattive, dà corsi universitari, pubblica diverse migliaia di pagine all'anno sui più svariati argomenti, e diverse migliaia sono gli abbonati alle sue pubblicazioni. Il personale che vi lavora è tra i più qualificati dell'amministrazione. Eppure l'Ustat non è quasi mai coinvolto nei gruppi di lavoro strategici, nei quali invece avrebbe molto da dire e da dare. Torno poi a ribadire, quando mai si è sentito un politico elogiare, in un discorso ufficiale, l'attività statistica cantonale, eccezion fatta per Franscini?
Non è un segreto che nell'era di Marina Masoni avete avuto degli scontri con il Dipartimento finanze ed economia. In pratica vi si chiedeva di raccogliere dati, ma di astenervi dal commentarli. È giustificata questa richiesta?
L'analisi dei dati è indispensabile proprio per capire la validità dell'informazione prodotta. Inoltre, la diffusione dell'informazione è parte integrante del processo statistico. Il cittadino, che ha fornito i dati, ha diritto ad essere informato dei risultati ottenuti. Chi meglio del personale Ustat, che ha seguito l'intero processo, che possiede conoscenze sia sull'argomento sia in campo statistico, sarebbe più abilitato ad analizzare l'informazione e a diffonderla in modo consono ai vari bisogni degli utenti? Non dimentichiamo poi che esiste un codice deontologico sottoscritto dal personale Ustat che garantisce la scientificità del processo statistico. Va poi detto che senza l'Ustat certi studi, come ad esempio le analisi politologiche dell'Osservatorio, non sarebbero mai stati realizzati. La richiesta dell'allora direzione del Dfe, comunque non sottoscritta da nessun altro dipartimento in fase di consultazione, era alquanto estemporanea.
È mai stato strumentalizzato il lavoro dell'Ustat?
Diciamo che l'Ustat non si è mai prestato a nessuna strumentalizzazione. Sono consapevole che l'informazione statistica non è neutrale. Misurare il tasso di criminalizzazione degli stranieri o il plus valore della piazza finanziaria luganese è una scelta ben precisa. La statistica ha un costo elevato, per questo la scelta degli indirizzi non deve esser lasciata ai singoli funzionari. Di conseguenza l'Ustat ha chiesto al politico di definire i contenuti dell'attività statistica. La statistica pubblica è al servizio dei cittadini, affinché votino con cognizione di causa. È al servizio degli operatori economici e di categoria, per facilitare la presa di decisione. È al servizio del politico, a tutti i livelli, da quello federale a quello comunale, per pianificare gli interventi. La richiesta dell'Ustat non è stata capita. Il primo programma pluriennale della statistica cantonale, che risale all'inizio degli anni '90 e che intendeva sottoporre a discussione tutta una serie di attività statistiche all'esecutivo e al parlamento, è stato semplicemente cestinato, considerato il frutto di una struttura troppo ambiziosa. In realtà l'Ustat chiedeva solo linee direttive, un impegno politico trasparente sui bisogni della società in quest'ambito. Fortunatamente il programma pluriennale 2007-2011, il terzo prodotto con ostinazione dall'Ustat, ha assunto, per la prima volta, una valenza politica. È stato messo in consultazione nei vari ambienti, raccogliendo consensi e suggerimenti e, oggi, dovrebbe costituire il programma ufficiale della statistica pubblica per i prossimi anni. Ma tutto questo è successo senza il coinvolgimento esplicito del Dfe, come se si trattasse, sarei quasi tentato di pensare, di un benservito nei miei confronti.
Lei crede che l'Ustat necessiti di una maggiore indipendenza dagli umori politici?
Penso proprio di sì. Tengo a precisare che non ho mai subito pressioni in tal senso. L'Ustat è stato più che altro "marcato a vista". L'energia che è stata investita in questi anni per realizzare quello che il buon senso comune avrebbe considerato come ovvio, è stata eccessiva. Anche a livello di consultazione è stata proposta da più parti una diversa collocazione dell'Ustat nell'ambito dell'amministrazione cantonale, una collocazione che tenga conto della trasversalità dell'attività statistica e del fatto che si tratta di uno strumento al servizio, non solo dell'amministrazione pubblica, ma di tutta la società. Le potenzialità di questa struttura sono enormi e mi sembra assurdo non sfruttarle nel migliore dei modi, visto anche il costo che l'attività comporta.
Diversi osservatori hanno però accusato l'Ustat di non aver saputo produrre delle statistiche che possono servire a capire meglio la realtà del Ticino. Ad esempio siete deboli sull'economia cantonale. Accetta queste critiche?
È vero, e me ne assumo la responsabilità. L'amico Angelo Rossi ha dedicato il suo libro "Dal paradiso al  purgatorio" proprio all'Ustat, formulando, nelle conclusioni, questa critica e avanzando alcune proposte concrete. Personalmente credo che la dimensione ridotta della nostra realtà e le imbricazioni con l'economia nazionale e internazionale, non giustifichino grossi investimenti per meglio capire o anticipare l'andamento economico cantonale. Ho constatato di persona come gli indicatori congiunturali cantonali, regolarmente prodotti dall'Ustat, poco interessino i nostri operatori economici, più preoccupati dell'andamento svizzero o americano. Visto anche l'alto costo degli indicatori statistici, penso che la priorità debba essere accordata ad altre realtà. La demografia, l'ambiente, l'occupazione del territorio, i costi sanitari, la vita politica, la disoccupazione, la povertà, la criminalità, sono argomenti ben più importanti per un ufficio cantonale di statistica. Ciò nonostante l'Ustat si è sempre interessato anche agli aspetti del mondo del lavoro: sul frontalierato sono uscite numerose pubblicazioni, come pure sul lavoro femminile, sui working poor e sul precariato, tutti quei campi a cavallo tra economia e sociologia. Quindi le critiche le accetto, ma con qualche riserva.
Un'iniziativa parlamentare socialista chiede la creazione di una legge apposita per la statistica. Laura Sadis ha inserito la richiesta nelle Linee direttive 2008-2011. Per quale motivo è importante avere una legge sulla statistica pubblica?
Devo dire che non sapevo di questa decisione della nuova direzione del Dfe. Ne sono però più che contento. Negli anni '90 ho lavorato, per mesi, alla preparazione di una legge tipo, in un gruppo intercantonale di lavoro, convinto dell'importanza, per i cantoni, di disporre di basi legali moderne. Altri cantoni, nel frattempo, sulla base del documento da noi prodotto per la Conferenza svizzera degli uffici di statistica, si sono dotati di basi legali consone alle attuali esigenze. Il Ticino, che poteva allora fare opera da pioniere, si ritrova ancora a dover operare sulla base di un decreto esecutivo che risale al 1929, assolutamente insufficiente per gestire i problemi della società dell'informazione, nella quale viviamo. Pensiamo anche solo agli aspetti legati alla sfera privata, al coordinamento delle molteplici informazioni esistenti, alla trasversalità della statistica, al segreto statistico, all'armonizzazione dei registri. Nel programma pluriennale 2007-2011, non potendo menzionare esplicitamente l'esigenza  di una legge statistica, aspetto inspiegabilmente tabù per la precedente direzione del Dfe, elencammo le molteplici basi legali sulle quali l'Ustat deve basarsi per svolgere i propri compiti. L'assurdità della situazione ha provocato, in sede di consultazione esterna, la richiesta esplicita di dotare il cantone di nuove basi legali sulla statistica. Il fatto che Laura Sadis abbia tenuto conto, nelle linee direttive, di queste proposte lascia ben sperare per il futuro della statistica cantonale.

Pubblicato il 

15.02.08

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