Le ragioni per abbattere i muri

«I migranti non stanno bussando alle nostre porte, le stanno abbattendo». Così il primo ministro ungherese Viktor Orban ha giustificato l’utilizzo di armi da fuoco contro i rifugiati in arrivo da Serbia e Croazia.


Una linea militarista che sembra condivisa dall’esercito svizzero. Alle voci che, sempre più numerose, si interrogano sull’utilità di continuare a costringere decine di migliaia di giovani a indossare la divisa grigioverde, il ministro Maurer ha risposto schierando 5.000 soldati sul confine basilese nell’ambito dell’operazione Conex 2015. Una maxi-esercitazione che dovrebbe preparare l’esercito a fronteggiare la minaccia di un’ipotetica invasione di migranti, rappresentati come un’orda famelica determinata a saccheggiare i granai e i depositi di benzina della pacifica Svizzera. Una massa di disperati che il nostro ministro vorrebbe respingere, armi in pugno. Più che l’accoglienza, raccomandata dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, i soldati, i droni e il filo spinato che attendono i rifugiati alle frontiere del continente ricordano una guerra.


Un conflitto armato che lascia dietro di sé molti cadaveri. Secondo il progetto giornalistico The Migrant Files, dal 2000 sarebbero oltre 30.000 i rifugiati morti nel tentativo di raggiungere l’Europa. Come ogni guerra, anche quella contro i rifugiati costa cara. Negli ultimi quindici anni, questa politica è costata agli stati europei, Svizzera compresa, almeno un miliardo all’anno. 11,3 miliardi di euro sono stati consacrati alle sole politiche di deportazione. Costi enormi, soprattutto in tempo di crisi economica.

 

La Svizzera non sembra però avere problemi a trovare i fondi per finanziare questo genere di politiche. Lo fa, per esempio, grazie ad una parte dei proventi fiscali generati dall’importazione di oro estratto illegalmente in Africa, in condizioni disumane, da minatori in gran parte minorenni. Un commercio di tonnellate di metallo prezioso, per un valore di oltre cento miliardi di franchi all’anno, che si fonda su un’origine criminale: saccheggio, corruzione, contrabbando e lavoro minorile. Un commercio che però non sembra interessare la giustizia nostrana, probabilmente troppo impegnata a perseguire e imprigionare migliaia di rifugiati senza un permesso valido.


Nel marzo scorso la procedura per riciclaggio e complicità in saccheggio nella Repubblica democratica del Congo aperta contro la raffineria Argor-Heraeus SA di Mendrisio veniva infatti archiviata dalla procura federale. Nonostante indizi evidenti della sua partecipazione nell’importazione di oro estratto illegalmente in Burkina Faso, denunciata recentemente dalla Dichiarazione di Berna, non si hanno notizie di una procedura aperta contro la Valcambi SA di Balerna. I benefici generati dal saccheggio delle materie prime, ma anche dalla vendita di armi, dalla speculazione sui beni alimentari o dai brevetti su farmaci indispensabili finanziano così, indirettamente, la costruzione dei muri alle frontiere e pagano il soldo e le munizioni ai soldati schierati alle frontiere.

 

Sono benefici cumulati dalle imprese europee sulla fame, la sofferenza, la guerra e lo sfruttamento dei popoli del sud. Ricchezze frutto delle stesse politiche che spingono questi popoli a bussare alle porte delle Europa. Porte che il neo-colonialismo e la miseria imposta danno ogni giorno più ragioni di abbattere.

Pubblicato il

24.09.2015 14:38
Olivier Peter, avvocato
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