Politica

Le radici del risiko fatale a Credit Suisse

Lo storico Guex analizza la caduta della banca: «Si paga la sete di rischio e una cultura marcia, tipica di una piazza da sempre volta ad attirare denaro sporco»

Per capire il presente, occorre rivolgersi al passato. Per comprendere appieno quanto successo oggi a Credit Suisse, bisogna osservare la sua traiettoria dalla sua fondazione agli scandali più recenti. Abbiamo quindi chiesto aiuto a Sébastien Guex, professore (in pensione) all’Università di Losanna e massimo specialista della storia della piazza finanziaria elvetica.

Professor Guex, lo scorso 19 marzo, la conferenza stampa con i rappresentanti del Consiglio federale, della Banca nazionale svizzera, della Finma e di Credit Suisse e Ubs aveva un certo lato simbolico. Cosa ha pensato in quel momento?

 

Se la crisi del Credit Suisse, legata ai suoi innumerevoli scandali, era più che prevedibile, non avrei mai immaginato questa soluzione. Mi sono detto che la borghesia svizzera avrebbe in qualche modo salvato Credit Suisse, perché la banca è stata per oltre un secolo il vascello ammiraglio della flotta svizzera, il simbolo della sua piazza finanziaria e delle élites economiche elvetiche, in particolar modo di Zurigo. Il Consiglio federale ha infine fatto la scelta di liquidare Credit Suisse offrendola letteralmente a Ubs. È un simbolo forte.

Facciamo un passo indietro. In quale contesto è nata Credit Suisse?


Siamo nel 1856. La guerra del Sonderbund, nel 1847, aveva creato uno Stato più centralizzato, dominato dagli ambienti industriali e commerciali. Questa borghesia voleva mantenere il ruolo della Svizzera come luogo di transito e di commercio a livello europeo. Vi era però un problema: la costruzione delle ferrovie in Europa rischiava di aggirare la Confederazione e quindi di isolarla. Occorreva quindi costruire rapidamente delle ferrovie in Svizzera. Ma per farlo occorrevano molti capitali. Quindi, per attirare questo denaro, soprattutto dei capitali stranieri, vi era il bisogno di
creare un grande istituto bancario capace di ispirare sufficientemente fiducia per attirare i fondi necessari per la costruzione delle ferrovie. Ecco quindi la creazione di Credit Suisse.

L’immagine della banca è legata ad Alfred Escher, una figura che incarnava il potere economico e politico dell’epoca. Chi era Alfred Escher?


Alfred Escher era un uomo che è riuscito a mettersi in tutti i luoghi di potere, politico, economico, culturale e simbolico. C’è un documento che lo mostra chiaramente, quello della costruzione della principale linea ferroviaria svizzera dell’epoca. Il documento ha diverse firme, tra le quali domina un nome: Alfred Escher, presidente del Consiglio di Stato del Canton Zurigo, presidente del consiglio d’amministrazione della società promotrice, Schweizerische Nordostbahn, presidente della banca che finanzia l’operazione, Credit Suisse, e presidente del Consiglio nazionale. L’incarnazione del potere, un Bundesbaron, un barone della Confederazione come lo chiamavano i suoi oppositori politici.

Quando la banca comincia a specializzarsi nella gestione della fortuna dei ricchi stranieri?


Un momento molto importante è la guerra franco-prussiana del 1870/1871. Questo conflitto ha spinto molti francesi e tedeschi a trasferire la loro fortuna in Svizzera. Di colpo, Credit Suisse e le altre banche elvetiche realizzano che possono fare molti profitti in questo settore. Da allora si focalizzano sempre più sulla gestione della fortuna della borghesia e dell’aristocrazia internazionale. Una scelta che avrà delle conseguenze importanti.

Quali conseguenze?


Da allora i dirigenti di Credit Suisse e degli ambienti bancari in generale spingeranno sempre più per trasformare la Svizzera in un paradiso fiscale internazionale. Con lo scopo di favorire il segmento super redditizio della gestione della fortuna frodata all’estero, le banche faranno pressione per trasformare la legislazione svizzera. Ciò è fondamentale per comprendere l’evoluzione della piazza finanziaria elvetica durante il 20esimo secolo e arrivare alla crisi odierna.

Quale fu la reazione degli Stati esteri?


Nel 1907, il governo francese vuole ottenere dalla Svizzera la firma di un trattato internazionale per fare in modo che le autorità fiscali possano scambiarsi informazioni le une con le altre. La Svizzera rifiuta questa proposta che verrà realizzata solo 110 anni più tardi. Di fronte al no della Confederazione, la Francia aumenterà la pressione. Nel 1932, quattro quadri di una delle grandi banche svizzere dell’epoca – la Basler Handelsbank – sono arrestati a Parigi con delle liste di conti e nomi tra i quali vi sono dei politici, degli industriali e dei militari. Le autorità francesi bloccano gli averi della banca in Francia e domandano la lista dei clienti alla Svizzera, un po’ come gli Stati Uniti hanno fatto più recentemente con Ubs. La banca esita ad accettare la richiesta francese per potere continuare a lavorare in Francia, ma se avesse autorizzato a trasferire i nominativi, il paradiso fiscale svizzero avrebbe perso molta credibilità. Il Consiglio federale e la Banca nazionale svizzera hanno dunque fatto molta pressione sulla Basler Handelsbank per impedire di fornire questa lista. La banca seguirà le consegne, ma sarà indebolita al punto che sparirà una decina di anni più tardi.

Il segreto bancario non era ancora iscritto nella legge in quel momento?


No, ma è giustamente a seguito di questa vicenda che, nel 1934, sotto l’impulso degli ambienti bancari, il parlamento svizzero adotta il famoso articolo 47 che cementa nella legge sulle banche il segreto bancario. A partire da quel momento, i governi stranieri non potranno più fare pressione sui dirigenti bancari svizzeri per farsi dare i nominativi poiché questa prassi porterebbe a una violazione della legge svizzera. Dal punto di vista del diritto internazionale, non si può chiedere a un cittadino di violare la legge del suo Paese.

La Svizzera diventa quindi un paradiso fiscale. Non è però solo il denaro della frode fiscale che arriva, ma anche quello d’origine criminale. Come lo spiega?


A livello internazionale, la piazza svizzera è un leader incontrastato della gestione della fortuna straniera. Non vi è quasi concorrenza in questo settore che è molto redditizio, soprattutto se si tratta di denaro grigio o nero. Ma all’interno della Svizzera le banche sono in concorrenza le une con le altre. Vi sono diverse grandi banche, le banche private e delle importanti banche cantonali. Per far fronte a questa concorrenza e guadagnare più clienti le banche devono quindi prendere più rischi. Conseguenza: sono meno schizzinose di fronte al denaro criminale. Ecco che la Svizzera diventa un paese-rifugio non solo per i capitali stranieri che cercano di sfuggire al fisco, ma diventa un centro mondiale di riciclaggio delle attività illecite e criminali.

È questa concorrenza che ha portato agli scandali che hanno toccato la piazza negli ultimi decenni?


Questa concorrenza porta ad una spirale pericolosa. Le banche giocano a un risiko nel quale lo scopo del gioco è avvicinarsi alla linea rossa senza mai superarla e senza sapere esattamente dove si situi questa stessa linea rossa. Il rischio è quello non solo di mettere in pericolo il proprio istituto, ma anche tutta la piazza finanziaria svizzera.

Uno degli scandali più conosciuti è stato quello di Chiasso. Credit Suisse aveva accusato una perdita di 250 milioni di franchi a causa di operazioni non autorizzate all’interno della filiale ticinese e concernenti il riciclaggio di capitali italiani in fuga. Credit Suisse aveva già allora oltrepassato la linea rossa?


Occorre analizzare i fatti secondo questa dinamica di concorrenza. Credit Suisse è stata la principale banca elvetica fino alla prima guerra mondiale. Tra le due guerre mondiali è stata in concorrenza con i basilesi di Sbs. Poi, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, ecco emergere un nuovo attore molto aggressivo e che si avvicina di molto alla linea rossa: Ubs. Con un terzo concorrente, Credit Suisse comincia a prendere dei rischi sempre più grandi, fino allo scandalo di Chiasso.

Quale parallelo con quello che è successo oggi?


Nei decenni successivi, Credit Suisse resta tranquilla, ma è Ubs che supera la linea rossa nel 2008. A partire da quel momento, Ubs diventa più prudente e Credit Suisse comincia a diventare sempre più aggressiva. Lo si vede con i Suisse Secrets, da dove emergono decine di esempi di clienti problematici di fronte ai quali la banca ha chiuso gli occhi. Si sono viepiù avvicinati alla linea rossa per poi superarla come lo mostrano i grandi scandali che l’hanno toccata e che hanno poi portato alla sua caduta.

Vi sono degli scandali legati a dei clienti criminali, ma anche degli investimenti molto rischiosi. Come se lo spiega?


Se sei specializzato nella frode fiscale internazionale e nel riciclaggio disponi di enormi somme di denaro in gestione. Occorre quindi investire questi soldi. È così che interviene la banca d’investimento che sceglie come piazzare il denaro, sovente in una dinamica speculativa e ad alto rischio. Già dopo la seconda guerra mondiale, le banche svizzere si sono sviluppate come banche d’affari, un settore anch’esso molto concorrenziale e che può portare tanto denaro. Possiamo dire che Credit Suisse ha cumulato i due rischi: quello sull’origine del denaro e quello sugli investimenti. Gli scandali sono arrivati in entrambi i fronti e, sommati, hanno distrutto la reputazione della banca.

Dopo la crisi di Ubs, nel 2008, la politica ha cercato di migliorare i dispositivi per impedire nuove situazioni di crisi. Oggi, tutto ciò è sembrato inutile...


Hanno messo dei paletti più severi per delle questioni di liquidità e basta. Il giorno prima della fusione forzata tra Ubs e Credit Suisse, tutti dicevano che Credit Suisse non aveva problemi di liquidità. Il problema non era lì, allora, ma nella cultura del rischio. Non occorreva essere dei veggenti per vedere che la cultura di Credit Suisse era marcia, ha dichiarato di recente il banchiere Thierry Lombard. Una cultura marcia e, aggiungerei, strutturale alla piazza finanziaria svizzera. Si potrebbe controllarla, questa cultura, per esempio dotando di più mezzi la Finma. Ma allora si metterebbe in pericolo tutta la piazza e il suo modello d’affari. Il modello del paradiso fiscale svizzero.

Pubblicato il

06.04.2023 13:58
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