La vicenda delle Officine di Bellinzona che tiene banco da oltre 10 anni è giunta a un tornante decisivo: il parlamento cantonale è chiamato a decidere sul messaggio governativo richiedente il versamento di 120 milioni alle Ffs “per favorire la realizzazione di un nuovo stabilimento industriale d’avanguardia Ffs per la manutenzione del materiale rotabile e l’acquisizione di parte dell’area occupata dallo stabilimento esistente”. Il Governo propone scrupolosamente quanto contenuto nella Dichiarazione d’intenti (Di) elaborata in stretto riserbo e sottoscritta dal triumvirato Ffs, Cantone e Municipio nel dicembre 2017, ignorando le aspre critiche formulate a quell’epoca. La Commissione della gestione si trova fra le mani una “patata bollente” perché la Di riporta tutti alla “casella di partenza” del 2008, annullando tutto quanto concordato in precedenza, in primis la Convenzione del 12 novembre 2013, unico accordo comune sottoscritto da 10 partner tra cui Cantone, Ffs, rappresentanti delle maestranze e sindacali, nella quale è siglata la creazione della “Fondazione Centro di competenza mobilità sostenibile e ferroviaria”(Cdc). Accogliendo il messaggio le Ffs riacquisterebbero piena autonomia di azione, mentre Convenzione e Cdc pietra angolare di un’azione concertata, escono di scena, lasciati all’iniziativa del Cantone e Città, con le Ffs alla finestra. Oltre a tali aspetti vi sono questioni di fondo sottaciute relative a “principi e regole” del sistema socio-politico-economico. Nello specifico dello sviluppo aziendale, almeno due, da citare; la “sostenibilità”: il progetto aziendale assicura nuovi prodotti e servizi per garantire un futuro duraturo in Ticino? La seconda è la “responsabilità sociale dell’impresa”: il progetto è attento a lungo termine alle esigenze di lavoratori e territorio ticinese? Questioni centrali in una fase storica in cui l’impalcatura di suddetto sistema scricchiola e risulta inadeguata di fronte alle ondate di distruzione-creatrice del capitalismo che comportano scelte aziendali che generano grandi sconvolgimenti nell’organizzazione del lavoro: tagli, delocalizzazioni. Scelte che singole persone e comunità subiscono, sovente senza avere alternative. In passato i nostri governanti si sono mostrati entusiasti sostenitori di grandi progetti, tra cui quelli delle regie federali (nel frattempo diventate Sa), ma purtroppo anche acritici, vaghi assai o poco inclini a precisare per scritto obiettivi, condizioni e vincoli, men che meno le citate sostenibilità e responsabilità. Per anni ne hanno tratto profitto, le varie e successive riorganizzazioni (militari) e ristrutturazioni societarie e organizzative del lavoro (Poste, Swisscom, Ffs) hanno provocato scomparsa o delocalizzazione di attività; e con esse se ne sono andati centinaia di posti di lavoro. Con AlpTransit stesso “refrain”: nulla fu seriamente concordato tra Governo e Ffs riguardo le attività future nel Cantone: solo intenzioni e vaghe promesse. Un’ingenuità pesante di ripercussioni. Il Messaggio al vaglio del Parlamento ripropone lo stesso Leitmotiv del “laissez faire-laissez aller” applicato in passato, con una sconcertante incapacità di chiarire cosa si vuole e a quali condizioni. Per uscire dalla “palude” e decidere con cognizione di causa, converrà che i rappresentanti del sovrano sappiano agire con metodo, partendo dall’unico accordo tra tutte le parti: la suddetta Convenzione. Ciò consentirà loro di verificare se quanto ivi auspicato si ritrova nel progetto governativo, decidendo cosa fare qualora vi fosse discordanza. Centrale sarà la scelta dei criteri per valutare il progetto stesso, fra cui quelli relativi a sostenibilità e responsabilità sociale, affinché non restino un optional.
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