Le politiche antirecessione

Oggi, tutti chiedono politiche antirecessione: investimenti pubblici e misure per stimolare i consumi e gli investimenti privati. Il bilancio di quelle politiche è però controverso.
Il celebre New Deal di  Roosevelt fu un mezzo fallimento. Nel 1933 le banche americane chiudevano i loro sportelli e il 25 per cento della popolazione attiva era disoccupata. Tredici milioni di lavoratori non ricevevano indennità di disoccupazione. Il presidente adottò allora diverse misure, tra cui l'aumento della massa monetaria per permettere alle banche di riprendere l'attività creditizia, e un programma di lavori pubblici per impiegare disoccupati. Poi, visto lo scarso risultato, adottò riforme sociali per sostenere redditi e consumi: un'assicurazione disoccupazione e un'assicurazione vecchiaia per i dipendenti pubblici. Il disavanzo dello stato raddoppiò dal 1933 al 1938, ma con risultati modesti: i disoccupati diminuirono, ma ne rimasero pur sempre 9 milioni. Solo la mobilitazione e il rilancio dell'industria per far fronte alla seconda guerra mondiale  permetteranno il ritorno al pieno impiego.
Ancora peggio andò alla politica anticiclica di Mitterand nel 1981, incentrata sul rilancio dei consumi tramite diversi aumenti: salario minimo, assegni famigliari, contributi per l'alloggio, pensioni minime. L'idea era semplice e ancora sostenuta da chi propugna sgravi fiscali alle famiglie: più reddito disponibile, più consumi, più produzione, più impiego. L'industria francese non ha però saputo aumentare l'offerta per far fronte alla domanda accresciuta. Ne è seguito un forte aumento delle importazioni, lo squilibrio dei conti con l'estero, la svalutazione del franco francese, un'inflazione del 10 per cento, l'aumento della disoccupazione e l'esplosione dei disavanzi pubblici.
Anche il rilancio dei consumi in Svizzera aumenterebbe l'acquisto di prodotti importati e le vacanza all'estero. Minimo l'impatto sulla produzione e occupazione locale. Meglio allora gli investimenti (banda larga, risparmio energetico, energie rinnovabili, trasporti pubblici, alloggi popolari…)? Forse, ma il loro limite è nei tempi: quando sono pronti, la recessione è già finita. Meglio allora ampliare i servizi pubblici (formazione, riqualifica, assistenza agli anziani, campagne di prevenzione sanitaria,…) che genera subito nuove assunzioni, più salari, più consumi? Forse, ma i programmi dovrebbero essere concentrati e limitati nel tempo, a meno di essere disposti ad aumentare le imposte appena la crescita economica riprendesse. Le politiche anticicliche hanno dunque limiti importanti. Possono però essere utili a tre fini: attenuare la recessione, purché siano adottate simultaneamente da tutti i paesi (Cina, Giappone, Stati Uniti, Europa); alleviare le conseguenze sociali della recessione (migliori indennità di disoccupazione per più tempo); avviare o intensificare riforme desiderabili (risparmio energetico, fonti energetiche rinnovabili, altro).

Pubblicato il

05.12.2008 12:30
Martino Rossi
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