Le nuove lotte

Era prevedibile. L’iniziativa dell’Unione sindacale svizzera (Uss) sulla riduzione del tempo di lavoro è stata spazzata via senza appello. Criticata sia da destra che da sinistra, contestata e combattuta da una parte del movimento sindacale, non aveva nessuna chance. L’Uss si è presentata alle urne in perfetta solitudine, in ordine sparso: il fallimento era inevitabile. E così è stato. Rimane però sul tappeto l’esigenza di ripensare l’organizzazione del lavoro nel senso di una progressiva riduzione dei tempi e della flessibilità, generalmente fonte di precarietà e discriminazioni. Più che piangere sul latte versato e leccarsi le ferite, occorre guardare al futuro facendo tesoro degli errori commessi. Primo fra tutti la mancata mobilitazione dei lavoratori, dai quali l’Uss si è staccata perdendo così ogni contatto con la base. È una riflessione dolorosa, certo. Molti non gradiranno, ma il movimento sindacale non può sottrarsi all’esercizio dell’autocritica che può, anzi deve, trasformarsi in un processo di crescita e rinnovamento. Questa, forse, è la lezione più grande da trarre da questa sconfitta per poter affrontare con maggiore forza le sfide imposte dai cambiamenti economici e sociali. Il movimento sindacale deve cominciare ad aprirsi maggiormente alle lotte contro la globalizzazione economica non solo come organizzazione di difesa dei lavoratori, ma soprattutto come soggetto politico. Deve anche raccogliere, ai nostri occhi, le lotte portate avanti dai movimenti sociali, far sentire la sua voce su questioni come quella dei «sans papiers» o dell’emarginazione sociale spesso legata alla perdita del lavoro. Anche questo è lavoro sindacale, diverso, certo, dalla tradizione. Ma la tradizione può anche bloccare ogni slancio di cambiamento, condizionare ogni possibilità di gettare le basi per creare un grande movimento di solidarietà fra tutti i lavoratori e le lavoratrici, indipendentemente dalle categorie professionali di appartenenza. Ci saranno altre, tante lotte da combattere. Ma occorrerà essere pronti. E non lasciare, per esempio, che un’iniziativa lanciata in un preciso contesto venga lasciata macerare in qualche cassetto polveroso.

Pubblicato il

08.03.2002 00:30
Françoise Gehring Amato
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