Gli studenti della Columbia University si sono mobilitati in massa contro la guerra a Gaza e le scelte del presidente Usa, Joe Biden, troppo appiattite in favore di Israele. Nonostante le immediate violenze perpetrate dalla polizia che è entrata nel campus, oltre 150 università negli Stati Uniti, inclusi atenei americani fuori dal paese, hanno avviato mobilitazioni permanenti contro la guerra.
La natura degli accampamenti
«Si tratta di un movimento per la giustizia, la pace e contro l’imperialismo. Tra gli slogan che si sentono nei campus Usa ci sono: ‘Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera’ e l’uso delle parole ‘intifada’ e ‘genocidio’ in alcune occasioni. Proprio questi slogan sono stati citati da Biden, dai media e dalle lobby sioniste per montare false accuse di anti-semitismo verso il movimento», ci ha spiegato lo storico dell’Università di Houston, Robert Buzzanco, che ha preso parte alle proteste sin dalle prime manifestazioni per Gaza, dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. «Le proteste sono iniziate subito dopo l’avvio della pulizia etnica a Gaza da parte di Israele lo scorso ottobre. Nei campus, gruppi come Students for Justice in Palestine (SJP) e Jewish Voice for Peace (JVP) si sono organizzati e hanno portato a termine varie azioni ben prima dei primi accampamenti, quindi erano pronti per farlo. Credo che queste mobilitazioni siano stimolanti, dimostrano che bisogna alzare la voce contro queste atrocità commesse contro i diritti umani. Porteranno a un cessate il fuoco? Fino a questo momento Israele e Biden sono stati intransigenti e hanno solo accelerato le uccisioni, le consegne di armi e di aiuti. Ma non ci sono dubbi che, in senso più generale, le proteste hanno vinto - fuori dagli Stati Uniti il mondo è pro-palestinese. Ovviamente, mentre Israele invade Rafah e gli Usa non fanno nulla, le proteste cresceranno. Non so quale sarà il risultato ma posso dire con certezza che ci sarà sempre maggiore repressione da parte delle forze dell’ordine nei campus», ha aggiunto il docente.
La repressione poliziesca
Anche questa volta non è mancata una reazione spropositata da parte della polizia come è avvenuto nelle proteste contro le violenze della polizia dopo l’uccisione di George Floyd nel 2020. «La polizia ha attaccato brutalmente queste proteste negli atenei, per volere dei rettori delle università e dei sindaci delle grandi città, molti dei quali, e vorrei sottolinearlo, sono Democratici. Stanno usando tattiche simili all’estate del 2020, aggrediscono brutalmente chi protesta, distruggono gli accampamenti, procedono ad arresti di massa (già oltre 2mila). Gli arresti sono stati motivati su accuse inventate di disturbo alla quiete pubblica e vandalismo. Le proteste sono state non-violente. Agli studenti, tuttavia, è stato chiesto da parte dei dirigenti delle università di andare via perché gli accampamenti non sarebbero ‘zone dove si può parlare liberamente’ o perché non hanno permessi, o semplicemente perché i rettori vogliono che il problema sparisca e sono stati intimiditi dai discorsi di destra nel Congresso. La violenza in queste proteste viene dalla polizia», ha denunciato Buzzanco.
Eppure, il presidente Biden ha dichiarato che non fornirà più armi a Israele se continuerà l’invasione via terra di Rafah. E così queste mobilitazioni potrebbero avere un impatto sulla rielezione di Joe Biden alle prossime presidenziali. Per esempio i giovani, che hanno votato per lui in massa nel 2020, potrebbero boicottare il voto. E il rifiuto di Biden di impegnarsi sul tema che difendono i contestatori (il suo sostegno per il genocidio) e la richiesta di ‘law and order’ nei campus, che in altre parole è un incitamento alla violenza, potrebbero danneggiarlo ancora di più in vista del voto.
Nel solco delle mobilitazioni contro la guerra in Vietnam
E così tornano alla mente i movimenti studenteschi Usa con le mobilitazioni contro la guerra in Vietnam e il movimento del ‘68. «Le proteste in corso sono iniziate subito dopo il 7 ottobre 2023. Durante la guerra in Vietnam, le proteste sono iniziate solo quando c’è stato il coinvolgimento profondo nella guerra da parte degli Stati Uniti. Le proteste in corso hanno avuto un successo immediato, oltre il 50% degli americani ora vede negativamente Israele e sostiene il cessate il fuoco. Negli anni Sessanta, invece, inizialmente le proteste non sono state così popolari. Entrambi i movimenti hanno fatto pressione sulle amministrazioni al potere con lo scopo di spingerle a rivalutare le loro politiche, senza grande successo. Lyndon Johnson, Richard Nixon e Biden hanno tutti intensificato le guerre nonostante le proteste. Alla fine, le proteste in Vietnam sono diventate grandi e hanno incluso membri di tutti i tipi di gruppi. Già sta succedendo lo stesso nelle attuali proteste nei campus. Sia negli anni Sessanta sia oggi, grandi gruppi sono emersi per dare struttura e significato a tante di queste azioni - gli Students for a Democratic Society al tempo della guerra in Vietnam e i gruppi SJP e JVP che abbiamo citato prima oggi. Mentre il massacro continua a Gaza, anche le proteste, così come la repressione, crescono negli Stati Uniti. Con il passare del tempo potremo quindi confrontarle meglio con le proteste del passato. Ma come è sempre stato, la classe dirigente, sia essa liberale o conservatrice, attaccherà sempre e arresterà sempre le persone che si contrappongono alla sua agenda imperialista e militarista», ha concluso lo storico.