Vale la pena riprendere ciò che scrive papa Bergoglio sull’attuale economia, sul capitalismo mondializzato, sul disfacimento umano in cui siamo finiti? Gli atteggiamenti potrebbero essere tre. Uno un po’ banaluccio: comincino a guardarsi in casa loro (ognuno di noi deve cominciare a guardarsi in casa propria). Un secondo declasserà tutto ai soliti pensieri misericordiosi sui poveri: nulla di nuovo. Un terzo sarà infastidito (può esserlo per il papa come per un economista non organico) perché si mette in discussione un sistema nel quale siamo inzuppati e che, tutto sommato, non ci dispiace (come dimostrano alcune votazioni popolari), e non sapremmo come sostituirlo. Allora, vale la pena o no? Sì, vale la pena. Lo si voglia o no è pur sempre un’autorità universalmente riconosciuta che analizza e giudica fuori dal coro dei politici. Qualche segno lo lascerà. Ci interessa almeno per la parte che definiremmo “laica” . Bergoglio oppone subito un no all’economia dell’esclusione e della inequità perché è un’economia che uccide. Lo spiega in modo concreto: «Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questa è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità». È l’economia dello «scarto». Queste constatazioni sono però conseguenze. Le cause? «Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predominio su di noi e sulle nostre società». È vero e sacrosanto ma è generico. «Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole». È pure vero e meglio, ma non si arriva al cuore del sistema. In altra occasione Francesco ha indicato una delle cause fondamentali: «La sudditanza della politica alla finanza e la necessità più che mai impellente di rovesciare i rapporti di forza fra questi due fattori». Ciò che non avvertono o non riescono a dire o non vogliono fare gli attuali capi di governo. Bergoglio è invece esplicito: «Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria». Completava in altra occasione (udienza 5 giugno): «Negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile che si impone unilateralmente e senza rimedio possibile». Dietro tutto questo, che genera «corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista» si nasconde pure il rifiuto dell’etica. Alla quale si guarda «con un certo disprezzo beffardo, la si considera controproducente…» Ammettiamolo sinceramente: l’approccio di Bergoglio può mettere a nudo anche qualche incapacità della sinistra a dire ciò che si dovrebbe dire e cioè che il capitalismo in cui siamo immersi produce una crisi verticale e drammatica che sta sbriciolando non solo la democrazia ma lo stesso senso dell’umano; esso prende però anche in contropiede ciò che resta del cattolicesimo politico organizzato che dimostra quotidianamente, anche nella minuta politica locale, di non avere per niente colto il cambiamento di registro avvenuto e che ci vorrebbe per essere coerenti. |