Le geometrie variabili del diritto per le multinazionali svizzere

Contrarie a che i tribunali elvetici possano occuparsi delle violazioni dei diritti umani all'estero, le imprese svizzere non esitano a fare causa agli Stati di fronte a dei tribunali arbitrali quando i loro interessi economici sono minacciati

Le multinazionali svizzere temono una legislazione forte e vincolante per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani o la protezione dell'ambiente. Lo dimostra la loro ferma opposizione all'Iniziativa multinazionali responsabili: le grandi imprese prediligono i meccanismi volontari che si traducono in semplici rapporti con cui viene autocertificato il loro sforzo in termini sociali e ambientali. Quando poi, come lo fa il testo dell'Iniziativa, si chiede che un tribunale civile elvetico possa giudicare un'impresa svizzera accusata di aver violato i diritti umani all'estero, le organizzazioni mantello dell'economia rispondono che si tratta di un approccio “neocolonialista”. Non bisogna, a loro dire, interferire con la giustizia locale.

 

Questa dottrina di pensiero è però a geometria variabile: le multinazionali svizzere fanno infatti regolarmente ricorso al diritto internazionale quando vogliono difendere i loro interessi economici. Prova ne sono le numerose cause con cui le varie Glencore, Philipp Morris o Holcim hanno fatto causa presso dei tribunali arbitrali a diversi Stati colpevoli di avere preso una decisione politica a loro sfavorevole. Ecco i casi più eclatanti.

 

Holcim incementa Hugo Chavez

 

Nel 2009 la multinazionale svizzera del cemento Holcim (oggi Lafarge-Holcim) ha fatto causa contro il Venezuela all'Icsid, il Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti. Creato nel 1965 in seno alla Banca Mondiale, l'Icsid è una sorta di tribunale ad hoc che fornisce i servizi per la conciliazione e l'arbitrato con lo scopo di risolvere le controversie relative tra Stati e imprese estere.

 

Guidato all'epoca da Hugo Chavez, lo Stato sudamericano aveva costretto Holcim a consegnare l'85% della sua filiale venezuelana per un prezzo ritenuto troppo basso. La società svizzera, invocando una violazione dell'accordo bilaterale Svizzera-Venezuela del 1993, si era rivolta all'Icsid di Washington. Nel 2010, Holcim e il Governo del Venezuela hanno raggiunto un accordo in base al quale Caracas pagherà un risarcimento di 650 milioni di dollari per la nazionalizzazione di Holcim Venezuela. L'acconto, saldato interamente nel 2014, ha di fatto sospeso la procedura di arbitrato internazionale.

 

Philipp Morris va in fumo contro Uruguay

 

Nel 2010, Philip Morris Brand Sarl (Switzerland) e Philip Morris Products Sa, entrambe basate a Losanna, hanno presentato una denuncia all'Icsid contro l'Uruguay. Lo Stato sudamericano era accusato di aver preso delle misure anti tabacco troppo restrittive, ciò che avrebbe violato l'accordo di protezione degli investimenti tra Berna e Montevideo. Alla multinazionale vodese non era andato giù l'obbligo di destinare l'80% della superficie di un pacchetto di sigaretta per mettere in guardia contro il pericolo del fumo e il divieto di vendere più di un tipo di sigaretta per marca.

 

Philipp Morris ha così chiesto 25 milioni di dollari di risarcimento danni all'Uruguay, anche se questo Paese stava perseguendo una politica di controllo del tabacco in linea con la Convenzione quadro dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per il controllo del tabacco. Misure, tra l'altro, efficaci: dalla loro adozione nel 2005, la percentuale di fumatori uruguaiani è scesa dal 35 al 22% della popolazione. Nel 2016, l'Icsid si è pronunciato a favore dell'Uruguay: Philip Morris è stata condannata a pagare le spese legali di Montevideo per oltre 7 milioni di dollari.

 

Glencore, il re del carbone colombiano.

 

Negli ultimi anni, il gigante delle materie prime Glencore ha iniziato due cause contro la Colombia. Nel 2016, Glencore International e la sua filiale colombiana Prodeco, un produttore di carbone che aveva in concessione la miniera di Calenturitas, ha fatto intervenire l'Icsid. Alla base della controversia un contratto di estrazione del carbone, rinegoziato nel 2010 e che ha ridotto le royalty pagate dal gruppo di Zugo. Il governo colombiano, uscito perdente da questo cambiamento, ha contestato i nuovi termini dell'accordo, imponendo una multa di circa 18 milioni di franchi a Glencore. Soldi che invece, in base alla decisione presa a Washington dall'arbitrariato dell'Icsid, dovranno essere restituiti con gli interessi alla multinazionale svizzera.

 

Nel 2019, Glencore International, Prodeco e Sociedad Portuaria Puerto Nuevo hanno di nuovo attaccato la Colombia, in merito ad una disputa per un porto pubblico utilizzato per l'esportazione di carbone. Le richieste di risarcimento derivano dalla costruzione e manutenzione di un canale di accesso relativo a questo terminale, costruito e gestito dai ricorrenti nell'ambito di un accordo di concessione trentennale firmato nel 2011 con l'agenzia nazionale colombiana per le infrastrutture. L'affare è tuttora pendente.

 

A Novartis basta la minaccia

 

E’ probabilmente la minaccia di una causa davanti ad un tribunale arbitrale da parte di Novartis che ha spinto la Colombia a rinunciare all’intenzione di emettere una licenza obbligatoria del farmaco antitumorale Glivec. Ciò gli avrebbe permesso di commercializzare il generico diminuendone il prezzo del 77% e sgravando i costi della sanità pubblica colombiana. Ma così non è andata: il prezzo è stato abbassato, certo, ma non come se fosse intervenuto il meccanismo della licenza obbligatoria.

Delle lettere confidenziali al Ministero del Commercio e dell'Industria, pubblicate dall'Ong Public Eye, mostrano come Novartis abbia minacciato un arbitrato internazionale sugli investimenti per una presunta violazione dell'Accordo tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica di Colombia sulla promozione e la protezione reciproca degli investimenti, firmato da entrambe le parti nel 2006. Anche la Seco, la Segreteria di Stato svizzera dell'economia (Seco) aveva inviato una lettera alla Colombia chiedendole di rinunciare alle sue intenzioni.



Chevron la svizzera

Oltre all'Icsid vi sono altre istanze internazionali che regolano queste diatribe. Molte controversie sono gestite dalla Camera di commercio internazionale di Parigi o dalla Corte permanente di arbitrato dell'Aia. È proprio alla Corte olandese che si è indirizzata Chevron per una causa contro le Filippine e un investimento in un campo offshore di gas. Chevron, azienda svizzera? A prima vista, non proprio, ma come ha ricordato su le Temps l'esperta di Alliance Sud Isolda Agazzi (vedi intervista sotto), la multinazionale americana ha dovuto fare "treaty-shopping", scoprire cioè che il Trattato bilaterale Svizzera-Filippine potrebbe servire i suoi interessi. Per questo si è spacciata come un'azienda elvetica, mandando in avanti, come ricorrente, una sagl di Zurigo, la Chevron Overseas Finance.



 

“È un sistema disequilibrato che va cambiato” 

 

Isolda Agazzi, esperta di questioni commerciali per Alliance Sud risponde a tre nostre domande.

 


Signora Agazzi, lei segue da anni queste cause. In generale, cosa non funziona in questo sistema?

Molte cose. Prima di tutto, è un sistema squilibrato perché conferisce quasi esclusivamente diritti agli investitori stranieri e doveri agli Stati ospiti. Ovvero, l’impresa (straniera, le imprese locali non hanno questo diritto) può far causa contro uno Stato che adotta misure di regolazione nell’interesse pubblico (tutela dei diritti umani, dei lavoratori, dell’ambiente, della salute eccetera) e richiedere risarcimenti ingenti. Ma lo Stato ospite non può far causa contro l’impresa straniera che viola i diritti umani o inquina l’ambiente, per esempio.

Inoltre siamo di fronte ad un sorta di giustizia privata. È così?

Sì, si tratta di un sistema di giustizia privata quasi unico nel diritto internazionale. Ovvero, invece di rivolgersi a un tribunale locale (o del paese di provenienza degli investimenti, come la Svizzera), la causa viene giudicata da un tribunale privato, composto da tre arbitri, che si appoggia su basi legale poco precise, ovvero gli accordi di protezione degli investimenti che sono corti e vaghi. Queste cause costano milioni di dollari già solo di spese processuali, cui si aggiunge la compensazione che lo Stato deve versare se è giudicato colpevole. Molti paesi in via di sviluppo (la Svizzera ha concluso questo tipo di accordi solo con questi Paesi) rinunciano ad adottare misure di interesse pubblico per paura di dover versare fior di quattrini agli investitori stranieri (vedi Perù).

Le imprese svizzere usano come leva alla propria causa i vari accordi bilaterali tra la Confederazione e i vari Stati. Come ha detto lei, questi accordi permettono agli investitori di ricorrere, ma non alle vittime di eventuali abusi. Cosa andrebbe cambiato?

Le vittime dovrebbero poter far causa contro le imprese straniere che violano i diritti umani o inquinano l’ambiente. E’ previsto in rari accordi, ma non in quelli della Svizzera. E anche quando è previsto  non funziona quasi mai, vedi un famoso caso che implicava l’Argentina, dove la contro-causa delle vittime di violazione dei diritti umani non è stata accolta dagli arbitri. Inoltre gli accordi dovrebbero stipulare che uno Stato ospite ha il diritto di adottare misure di regolazione nell’interesse pubblico senza dover versare compensazioni alle imprese straniere.

Pubblicato il

26.11.2020 13:27
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