In questo ultimo anno della legislatura si è parlato molto di divergenze profonde all’interno del Consiglio di Stato, divergenze che avrebbero avuto come protagoniste le due donne presenti in Governo: Marina Masoni e Patrizia Pesenti. In genere i commenti (interessati) erano negativi, come se si trattasse di beghe, di litigi, di perdite di tempo che arrischiavano addirittura di mettere in pericolo la governabilità del Paese. La mia impressione, basata anche su una lunga esperienza in Gran Consiglio e in Consiglio di Stato, è diversa. La ministra delle finanze e la ministra della socialità e della sanità hanno portato avanti all’interno del Governo (e durante la campagna elettorale anche pubblicamente come mi sembra giusto che avvenga) due visioni politiche diverse sul ruolo dello Stato. Quando esistono delle divergenze di fondo è importante che non vengano mascherate da tatticismi, bizantinismi e dietrologie. Nulla nuoce di più all’obiettivo di costruire rapporti personali aperti e costruttivi dei pensieri nascosti, delle cose non dette: in politica come negli affetti. In un sistema collegiale come il nostro in quel caso confrontarsi è essenziale per non ridurre la politica a mediocre amministrazione. Evidentemente il confronto deve potersi concludere nell’ambito delle regole democratiche e non deve determinare una situazione di incomunicabilità e di incompatibilità, perché a quel momento nessun rapporto sarebbe più immaginabile. Tuttavia questo non è stato il nostro caso, tant’è vero che il confronto delle due visioni politiche diverse non ha impedito il reciproco sostegno a proposte importanti sia in campo sociale (nuova legge per la famiglia, pianificazione ospedaliera, potenziamento dello Spitex, proposta di nuova pianificazione nel settore anziani, …), che in campo economico-finanziario (sgravi fiscali, tassazione annuale, riforma Banca Stato, misure di accompagnamento dei “bilaterali”, misure di sostegno alle aziende innovative, …). Ma quali sono le divergenze e quale potrà essere il loro sbocco? Credo che il primo momento importante di confronto sia avvenuto sull’iniziativa popolare per il finanziamento pubblico della scuola privata nel febbraio del 2001. Quell’episodio di grande rilievo politico ha avuto un seguito nei giudizi diversi sul ruolo che lo Stato deve assumere per favorire competitività ed equità e sulla situazione delle nostre finanze e della nostra economia. L’economia non va bene da nessuna parte e il Ticino si trova in una situazione particolarmente delicata perché ha visto l’erosione di importanti rendite di posizione che lo avevano favorito nel passato. Le finanze dipendono dall’economia, ma abbiamo dei buoni margini se è vero che gli interessi attivi del patrimonio sono ancora superiori agli interessi passivi dei debiti. Questi margini possono e devono essere utilizzati non tanto per aumentare in modo stabile la spesa corrente, quanto piuttosto per investimenti che non siano solo in asfalto e cemento, ma che vadano nella direzione di un intervento pubblico che contribuisca a superare questa difficile fase di cambiamenti. Purché lo Stato sappia operare in modo efficace ed efficiente. Programmi straordinari nel settore della formazione, della lotta alla disoccupazione e della medicina preventiva, ad esempio, potrebbero benissimo essere considerati come investimenti da ammortizzare negli anni successivi. In questo modo tra l’altro si contribuirebbe anche ad incentivare i consumi raddoppiando l’effetto che si spera di ottenere con gli sgravi fiscali. Infine in alcuni settori della spesa corrente, penso in particolare alle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione (nuovi posti letto, potenziamento delle cure a domicilio, ecc.) saranno indispensabili aumenti anche importanti. Su questi punti, con il Piano finanziario e le Linee direttive, con i Preventivi, con i singoli Messaggi, si confronteranno concretamente nella prossima legislatura le visioni diverse delle due ministre. Un confronto che inizierà in Governo e che continuerà davanti al Parlamento e al Paese anche sulla base dei rapporti di forza che emergeranno dalle elezioni del prossimo 6 aprile. A meno che a tranciare la questione non intervenga la “legge sul freno alla spesa pubblica” che sulla base di calcoli matematici basati su ipotesi discutibili toglierebbe a Governo, Parlamento e paese la libertà, quindi la responsabilità, di fare le scelte che riterrà più opportune.

Pubblicato il 

21.03.03

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