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Le donne vogliono più tempo per vivere

In occasione dell'8 marzo il sindacato Unia sottolinea la necessità di ridurre l'orario di lavoro, in particolare per le donne. Azioni e manifestazioni in questo senso si svolgeranno, domani, in tutta la Svizzera

L'8 marzo è la Giornata internazionale dei diritti della donna, una data fondamentale per la mobilitazione femminista e sindacale. Quest'anno, per l'8 marzo, il sindacato Unia punta i riflettori sul tema della riduzione dell'orario di lavoro. Si tratta di una richiesta che riguarda tutti i lavoratori, e in particolare le donne che svolgono la maggior parte del lavoro di cura non retribuito. Anche altre lotte sindacali saranno portate avanti, attraverso azioni e manifestazioni, in varie regioni della Svizzera: nel Canton Vaud si manifesterà per un salario minimo e nel Canton Neuchâtel, invece, si rivendicherà il diritto di manifestare (vedi programma).  

Aude Spang, segretaria per l'uguaglianza di Unia, approfondisce le varie questioni che riguardano questa giornata.

 

Perché il tema della riduzione dell'orario di lavoro riguarda in particolare le donne?

Il movimento dello Sciopero delle donne lavora su questo tema dal 2019. In generale, in Svizzera, si lavora troppo rispetto al resto d'Europa, e questo riguarda in particolare le donne, che ancora svolgono i due terzi del lavoro non remunerato di cura, di assistenza e di educazione. Su 50 ore lavorate in una settimana dalle donne, 30 non sono retribuite. C'è un forte disequilibrio. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario darebbe alle donne più tempo per vivere, per prendersi cura di loro stesse e della propria salute, consentendo quindi un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Significherebbe anche un maggiore equilibrio all'interno delle coppie, che potrebbero dividersi meglio il lavoro non retribuito.

 

Come si può concretizzare la riduzione dell’orario di lavoro?

Stiamo agendo su due fronti. In primo luogo, attraverso la contrattazione collettiva: la riduzione dell’orario di lavoro fa infatti parte delle richieste per quanto riguarda 4-5 Contratti collettivi di lavoro. Siamo riusciti a fare qualche passo avanti nel settore delle costruzioni e dei ponteggi e qualcosa si muove anche nel settore della lavorazione del legno. Stiamo inoltre esercitando pressioni a livello politico e mediatico, in particolare attraverso il nostro manifesto “Più tempo per vivere”*. Le discussioni preliminari presso i vari settori professionali mostrano che un modello unico applicabile in tutta la Svizzera, come la settimana di quattro giorni lavorativi, non è un'opzione praticabile. Ci sono molti modi per ridurre l'orario di lavoro, e la soluzione più appropriata dovrà essere valutata in base alle esigenze dei diversi settori. Citiamo per esempio, oltre alla settimana più corta, l'introduzione del pensionamento anticipato, il miglioramento del congedo di maternità e paternità, l'introduzione del congedo parentale; il diritto alla riduzione del tasso d’occupazione e a periodi di formazione continua, a un maggior numero di ferie e di giorni festivi retribuiti, alla settimana da quattro giorni, a pause retribuite, all'abolizione della frammentazione dell'orario di lavoro, eccetera. Quel che è certo è che 40 ore e più sono troppe! Con la campagna per la riduzione dell’orario di lavoro vogliamo stabilire un nuovo modello per l'orario lavorativo. In particolare puntiamo a una settimana più corta che, a tempo pieno, sia più corta. I lavoratori dovrebbero avere più tempo a disposizione.

 

Perché è importante, come donne, continuare a mobilitarsi l'8 marzo, così come il 14 giugno e il 25 novembre?

L'8 marzo è importante perché, a livello internazionale, è una data di lotta e solidarietà per le donne lavoratrici e per le persone LGBTQIA+. Dobbiamo continuare a marcare presenza e a parlare di questioni femministe, perché solo continuando a fare pressione potremo lottare contro la diminuzione dei nostri diritti e fare progressi. Il solo fatto di sollevare la questione della riduzione dell’orario di lavoro è quasi inaudito, in Svizzera, perché finora il tema è stato praticamente inesistente. L'obiettivo è quello di portare avanti idee di cui ancora si parla poco, vogliamo piantare dei semi con l'obiettivo di ottenere dei progressi a medio termine.

 

Un altro tema della mobilitazione femminista è la disuguaglianza salariale. Questa settimana, una coalizione contro la discriminazione salariale si è rivolta a Beat Jans: di cosa si tratta?

Unia fa parte di questa coalizione perché avanza richieste che noi tematizziamo da diversi anni. Nel 2020, la revisione della Legge sulla parità (LPar) ha introdotto l'obbligo per le grandi aziende di analizzare le loro pratiche salariali. Tuttavia, sul campo stiamo assistendo a ciò che temevamo, ovvero che questa revisione è un guscio vuoto che non porta alcun risultato o miglioramento in termini di disuguaglianze salariali. La revisione riguarda Infatti solo le grandi aziende, che rappresentano una minoranza. Quanto alle analisi, se non vengono effettuate o se rivelano delle disuguaglianze, non sono soggette ad alcun controllo da parte dello Stato e non sono previste sanzioni. Chiediamo quindi dei miglioramenti in questo senso. Il primo passo è questa lettera aperta al Consigliere federale Beat Jans. In futuro, poi, vedremo quale forma assumerà la mobilitazione. Sappiamo, infine, che quest'anno il Consiglio federale pubblicherà un rapporto intermedio sulla revisione della Legge sulla parità (LPar). Ne approfitteremo per chiedere una nuova revisione che rafforzi la legge e la renda più efficace.

 

Per firmare il Manifesto “Più tempo per vivere”, clicca qui

Il bilancio

Oltre un'azienda su due non verifica la parità salariale

 

Non abbiamo dovuto attendere troppo, perché proprio oggi il Consiglio federale ha pubblicato il bilancio intermedio riguardante la revisione della Legge sulla parità entrata in vigore nel 2020. Conclusioni: più della metà delle aziende svizzere assoggettate, cioè quelle con più di 100 lavoratori, non rispetta l’obbligo di analizzare la parità salariale al proprio interno. Alla luce di questi dati, il Consiglio federale ha fatto sapere che la Legge – la cui revisione era nata da un’iniziativa del sindacato Unia e dell’Unione Sindacale Svizzera (USS) per combattere la mancata realizzazione della parità salariale – sarà sottoposta a una valutazione finale alla fine del 2027, anziché nel 2029 come dapprima previsto. Secca e immediata, a questo proposito, è stata la risposta di Unia e di USS, che in un comunicato ha definito ‘incomprensibile’ la decisione del Governo federale di aspettare il 2027 prima di proporre misure per garantire la parità salariale: “Il rapporto di valutazione intermedia pubblicato oggi fornisce un quadro sufficientemente chiaro della situazione da giustificare misure più severe per le aziende”, ossia controlli e multe per le imprese che discriminano le donne. Il sindacato Unia ricorda che "Le donne prestano in media 30 ore di lavoro non retribuito a settimana, ad esempio per occuparsi dei figli, delle faccende domestiche o dell’assistenza a malati e anziani. Questo lavoro non retribuito non fa solo funzionare la società, ma è anche una delle cause principali alla base della dipendenza economica delle donne. Chi presta un lavoro non retribuito ha meno reddito, meno sicurezza sociale e meno tempo da dedicare al riposo o al perfezionamento". E a proposito di reddito, l’Unione sindacale svizzera prosegue sottolineando non solo che le donne guadagnano ancora, in media, oltre 1.300 franchi in meno degli uomini, ma che la percentuale inspiegabile del divario è in continua crescita: stando agli ultimi dati del 2022 questa si attesta al 48,2%, il tasso più alto dall’inizio delle analisi in tal senso nel 2012. L’USS, oltre a controlli e sanzioni, chiede che l’obbligo di monitoraggio dei salari venga esteso a tutte le aziende, precisando che “Per migliorare il reddito delle donne è inoltre indispensabile una migliore conciliazione tra lavoro e vita familiare e una più equa distribuzione del lavoro retribuito e non retribuito tra i due sessi. È quindi essenziale un maggiore investimento pubblico nell'assistenza all'infanzia fuori casa”. Il sindacato Unia, infine, ribadisce come la riduzione dell'orario di lavora costituisca una soluzione per raggiungere una vera parità: "La Svizzera detiene un triste primato, le persone occupate a tempo pieno lavorano 42 ore a settimana. Ecco perché l’8 marzo le donne di Unia organizzeranno varie azioni regionali per chiedere una riduzione dell’orario di lavoro per tutte e tutti, a parità di salario. L’obiettivo è avere più tempo libero, una salute migliore e una maggiore parità".

 

*Articolo originale pubblicato da Evénément Syndical, traduzione, adattamento e complemento Federica Bassi

 

Foto ©Olivier Vogelsang - L'Evénément Syndical

Pubblicato il

07.03.2025 17:09
Federica Bassi e Manon Todesco*
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