I quasi due anni mezzo di coronavirus hanno lasciato il segno a livello affettivo (perdita prematura di persone care), economico (contrazione di reddito e/o accresciuta discontinuità o insicurezza del lavoro), sociale e psicologico (isolamento forzato, mancanza di relazioni, costrizioni e divieti di movimento). Le misure assai meno restrittive, rispetto ad altri paesi, adottate in Svizzera, non hanno evitato insofferenza, tensioni e conflitti tra pro-vax e anti-vax, o quelli intergenerazionali tra giovani e anziani. A suscitare ulteriore disorientamento sono le incertezze derivanti dalla riorganizzazione in atto dell’economia, l’acuirsi del conflitto tra blocchi (vedi guerra in Ucraina) e contemporaneamente il riaffiorare del “multilateralismo” e il “non allineamento” che pareva svanito. Significativa la non adesione di molti paesi, tra cui quelli arabi (fidi servitori di Usa e Europa) e India, alle sanzioni occidentali contro la Russia. All’orizzonte un periodo di penuria, aumenti di prezzi, tra cui energetici, quindi disagi per larghe fasce di popolazione sia del nord sia del sud. Tutti fattori che preannunciano conflitti sociali, anche nel nostro paese dove il tono sta diventando sempre più tossico. Per Virginia Richter, vicerettrice Uni-Berna «il grande pericolo è la polarizzazione affettiva: sentirsi completamente nel giusto con il proprio gruppo e non dialogare più con altri gruppi». Un fenomeno, quest’ultimo, favorito dai social, da quel bisogno di sentirsi appartenente a un gruppo, con cui condividere convinzioni e sentirsi meno soli. Le recenti votazioni hanno segnato un ulteriore e preoccupante tonfo (vedi area 9/2022). Insomma viviamo in un mondo tecnologicamente avanzato, ma socialmente sempre più “barbaro” e violento, dove il NOI, quando ancora esiste è specifico a un gruppo ristretto, e non alla società. Società dove cresce disinteresse per la cosa pubblica, radicalizzazione, incapacità di confrontarsi su idee, opinioni. Sorge la domanda: il nostro sistema politico è ancora adeguato per affrontare problemi e sfide future? A.O. Hirschman, che fu prof. di scienze sociali a Princeton, in un suo saggio del 1991 ricordava che «i regimi pluralistici moderni non sono nati da un consenso preesistente sui valori fondamentali, bensì e al contrario, piuttosto dal fatto che i vari gruppi che s’erano combattuti per lungo tempo hanno dovuto riconoscersi incapaci di imporre il proprio dominio». «Alla fine – afferma Hirschman – la tolleranza e l’accettazione del pluralismo, sono state il risultato di uno stallo tra gruppi contrapposti aspramente ostili». Detto altrimenti a dar valore e far viver una democrazia è la capacità di far dialogare coloro che hanno idee e posizioni opposte. Proprio quanto fa difetto oggi. Per affrontare, risolvere la complessa situazione odierna occorre associare, coinvolgere attivamente anche cittadini e cittadine in un processo deliberativo «inteso – come spiega Hirschman – quale processo di formazione delle opinioni: i partecipanti non devono cioè avere opinioni pienamente o definitivamente formate in partenza. Da loro ci si aspetta invece che si impegnino in una discussione reale, ossia che siano pronti a modificare le opinioni iniziali alla luce degli argomenti addotti dagli altri partecipanti, e anche per effetto delle nuove informazioni che si rendono disponibili nel corso del dibattito». Insomma saper utilizzare le differenze, quale risorsa fondamentale per affrontare i problemi. Alternativa? Lo rammenta Paolo Favilli, citando Machiavelli: «In ogni repubblica si scontrano due interessi fondamentali: quello del popolo e quello dei grandi. Tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascono dalla disunione loro». I grandi odierni sono evidentemente i Paperon de’ Paperoni, gli oligarchi e i loro colleghi sparsi nel mondo che ci hanno condotto alla situazione odierna.
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