Il commentatore d’architettura di Le Monde Frédéric Edelmann ha stabilito una lista dei dieci architetti più prestigiosi del momento, basandosi sui siti internet, sulle riviste d’architettura, sui salotti e sulle gallerie.
Ecco l’elenco: Shigeru Ban (Giappone), Frank Gehry (Stati Uniti), Zaha Hadid (Gran Bretagna), Jacques Herzog e Pierre de Meuron (Svizzera), Toyo Ito (Giappone), Rem Koolhaas (Paesi Bassi), Daniel Libeskind (Stati Uniti), Miralles e Tagliabue (Spagna), Jean Nouvel (Francia), Richard Rogers (Gran Bretagna).
Edelmann sostiene che la tendenza attuale è quella di fare degli architetti delle top-models, alle quali si chiede di avere (parole sue) la coscia liscia ed un profilo «pipeul» (termine intraducibile usato ai tempi dell’uccellagione per gli uccelli di richiamo; direi ammiccante, adescatore). I politici dei vari paesi, che tendono a imitare il defunto presidente Mitterand, agognano queste liste quando devono scegliere colui al quale affidare la traduzione in pietra delle loro ambizioni. Il nostro commentatore continua dicendo che le opere di queste stelle dell’architettura, appuntate come farfalle variopinte nelle città del mondo intero, diventano degli autentici paraventi che nascondono le miserie, le carenze e le sregolatezze territoriali di cui soffre la maggior parte delle aree urbane. Il giudizio è duro, ma contiene una buona parte di verità. Fenomeni di questo genere ne abbiamo anche noi, nel nostro piccolo, sotto gli occhi.
Ci sono però, secondo me, due osservazioni da fare. La prima è che il rapporto dell’architettura col potere è un rapporto storicamente necessario. Nessun architetto, di nessuna epoca, ha mai potuto lavorare per i diseredati. I grandi architetti hanno sempre lavorato per chi deteneva il potere, e quindi i soldi, i terreni, i mezzi. Semmai la valutazione da fare è sul rapporto d’obbedienza pura e semplice o di disobbedienza relativa (la capacità critica) degli architetti rispetto al potere.
E qui occorre dire che se negli ultimi anni si è assistito a cedimenti rovinosi c’è pur sempre anche tra le dieci stelle scelte da Edelmann qualcuno in grado di leggere e quindi di rivelare con grande lucidità la natura e la drammaticità dello spazio metropolitano. Basti pensare a figure come Rem Koolhaas o Jean Nouvel, il costruttore nel nuovo centro culturale di Lucerna. La seconda osservazione è che si citano sempre le stelle ma non si parla mai della schiera di professionisti seri operanti in paesi poco appariscenti come la Finlandia, la Svezia, la Danimarca, parte della Svizzera, nelle cui città non si vedono molte «farfalle variopinte» ma dove un civile impegno urbanistico di vecchia tradizione riesce ancora a conservare molte cose buone del passato recente ed a produrre nuovi brani dignitosi di città. Credo che il signor Edelmann, che conosce bene queste cose, dovrebbe pubblicare una volta su Le Monde, dopo la lista delle dieci stelle, anche quella di cento onesti artigiani della città contemporanea.
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