Le date che cambiarono il Brasile

Sembrava che tutto andasse così male, in Brasile, finché non sono arrivati l’11 settembre negli Stati uniti e il l’11 gennaio in Argentina. E allora, come canta nella Banda il grande Chico Buarque, «tutto cambiò». Due crolli diversi, quello delle torri gemelle a New York e quello della parità fissa col dollaro a Buenos Aires. Ma che hanno cambiato la percezione del Brasile rispetto a se stesso e al mondo esterno. Che la grande kermesse no-global di Porto Alegre non farà accrescere. Fino a quelle due date fatidiche il presidente Fernando Henrique Cardoso, che dopo due mandati consecutivi deve lasciare la presidenza il 31 dicembre, sembrava avviato a una triste uscita di scena. Il suo prestigio è caduto ai minimi storici dopo la crisi finanziaria di inizio ’99 e mostrava la deriva di un prestigioso intellettuale «socialdemocratico» accasatosi con partiti e uomini della peggior destra affaristica e corrotta. Tutte le cattive notizie – la crisi energetica; la caduta della crescita economica, prevista al 4.5% nel 2001, poi ridotta a un insignificante 1.8 (dopo il 4.4% del 2000) – venivano messe sul suo conto. Anche il vantaggio nei sondaggi di Lula da Silva, lo storico leader del Partido dos Trabalhadores (Pt), che guidava forte del suo 30-35% la corsa alle presidenziali di ottobre, era uno smacco. Con il suo candidato, il ministro della sanità socialdemocratico (ed ex guerrigliero) José Serra, che arrancava a un lontanissimo 7%. Il Pt era stato il grande vincitore delle elezioni amministrative dell’ottobre 2001, conquistando centinaia di sindaci e in particolare quelli di quasi tutte le maggiori città del paese, a cominciare da San Paolo (dove ha vinto la popolare Marta Suplicy). Il Pt aveva vinto presentandosi ancor prima che come un partito di sinistra come «il partito dell’etica». E gli amministratori petisti si sono conquistati una solida fama di onestà unita all’efficienza. Come dimostrava proprio il Rio Grande do Sul, uno degli stati più importanti dal punto di vista economico e sociale, e la sua capitale Porto Alegre, sede non casuale, l’anno scorso, del primo Forum sociale mondiale. Nello stato più meridionale del Brasile – che equivale al nostro profondo e avanzato nord –, il Pt è al governo da tre amministrazioni consecutive, riconfermato ogni volta. Quasi uno stato-pilota in quanto riesce a coniugare sviluppo economico e industriale con politiche sociali e partecipative – ormai famosa è la legge di bilancio di Porto Alegre discussa prima con i cittadini – che ne fanno un esempio raro in un paese in cui l’esclusione e l’emarginazione tradizionali sono la regola. Dopo l’11 settembre e l’11 gennaio la prospettiva dentro e fuori il Brasile è cambiata. Il Brasile, quasi automaticamente, ha riacquistato peso, rispetto sia agli Usa sia al resto del subcontinente latino. Con gli Stati uniti potrà far meglio valere le sue resistenze contro i pericoli di assorbimento impliciti nell’Alca, l’Accordo di libero commercio delle Americhe «dall’Alaska alla Terra del fuoco», che Bush vorrebbe imporre dal 2005. Con l’Unione europea potrà rilanciare i negoziati a nome del Mercosud – Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay soci fondatori nel ’91, più Cile e Bolivia associati – , ora in stato comatoso. Il modello brasiliano, il real (la grande creatura partorita dal Cardoso ministro delle finanze nel ’94) agganciato ma fluttuante rispetto al dollaro, ha tenuto anche dopo la tremenda crisi del ’99 – 40 miliardi di dollari delle riserve bruciati – e la svalutazione – 30-40% solo nel 2000 – , e la macchina brasiliana ha ripreso a marciare, sia pure piano e, come sempre, in modo iniquo. Usa e Fmi giurano che dopo il default argentino questa volta non ci sarà effetto domino. Ma a entrambi fa paura il contagio politico. Che il (disperato) tentativo argentino di dire basta al neo-liberismo selvaggio diventi «il paradigma argentino». Una specie di «populismo» economico e nazionalista che potrebbe trovare terreno fertile in un continente devastato. E il Brasile, che si sente a ragione potenza continentale ancor prima che regionale, è molto sensibile a questi discorsi, nonostante le politiche neo-liberiste di Cardoso dal ’94 a oggi. Tanto più se in ottobre dovesse vincere Lula. Difficile ma non impossibile.

Pubblicato il

01.02.2002 01:30
Maurizio Matteuzzi
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