Da Monaco Sarà uno degli anniversari meno lieti della sua storia recente, quello che la Spd si appresta a festeggiare nei prossimi giorni. I 140 anni della socialdemocrazia tedesca coincidono infatti con una crisi di contenuti e di consensi che rischia di stravolgere l’identità stessa del partito di Gerhard Schröder. In picchiata nei sondaggi (la settimana scorsa i socialdemocratici, con appena il 26 per cento dei consensi a livello federale, hanno fatto registrare il proprio record negativo da quando esistono rilevazioni di questo genere), il partito che guida la coalizione governativa appare incapace di far uscire il paese dalla crisi economica e occupazionale in cui è precipitato negli ultimi due anni. Da locomotiva europea, la Germania si è trasformata, con una rapidità che ha sorpreso anche gli analisti più attenti, nel grande malato dell’Unione europea, afflitto da una crescita economica pressoché stabile sullo zero, da un indebitamento pubblico allarmante e da un esercito di disoccupati che ormai sfiora i cinque milioni. Per salvare il proprio governo dal malcontento popolare, sul cui fuoco soffiano senza ritegno i giornali conservatori e la stampa scandalistica – “Bild Zeitung” in testa –, e lanciare segnali rassicuranti all’Europa che chiede a Berlino passi concreti sulla via del risanamento finanziario, il cancelliere Schröder ha pensato bene di estrarre dal proprio cilindro la cosiddetta “Agenda 2010”. Si tratta di un programma di chiara impostazione neoliberista, caratterizzato da drastici tagli al welfare, che, entro il 2010 appunto, dovrebbe trasformare la società tedesca attraverso il definitivo congedo dal modello di garanzie diffuse che ha contrassegnato la Germania dal dopoguerra fino ai giorni nostri. In base al piano presentato da Schröder al Bundestag un paio di mesi fa, e sostenuto da tutto l’esecutivo rosso-verde, sono molteplici i diritti e le prestazioni attualmente garantiti a cui si intenderebbe mettere mano. Si va dall’aumento dell’età pensionabile fino ai 67 anni, alla riduzione della durata degli assegni di disoccupazione (“Arbeitslosengeld”), alla strisciante sostituzione della contrattazione collettiva federale con quella aziendale, fino all’indebolimento delle tutele contro il licenziamento da parte delle imprese (“Kündigungsschutz”) e alla riduzione delle prestazioni sanitarie pubbliche. Un pacchetto di riforme, insomma, che, magari con qualche ulteriore ritocco, ha buone possibilità di ricevere l’approvazione degli ambienti imprenditoriali e l’appoggio parlamentare dell’opposizione cristianodemocratica e liberale, ma che porta la Spd allo scontro diretto coi sindacati e alla spaccatura interna. Dopo settimane di polemiche roventi e reciproci scambi d’accusa tra la dirigenza socialdemocratica e il Dgb, l’unione dei sindacati federali, lo scorso fine settimana le piazze di Berlino e degli altri grandi centri tedeschi si sono riempite di decine di migliaia di lavoratori in aperto dissenso con la linea del cancelliere. I leader della Ig Metall, la confederazione dei metalmeccanici, e di Ver.di, il sindacato del terziario, le più grandi e combattive associazioni di categoria all’interno del Dgb, accusano Schröder di tradire la promessa di difendere lo stato sociale, fatta nel corso dell’ultima campagna elettorale. Al programma governativo di tagli ai servizi sociali, i sindacati contrappongono politiche di investimenti pubblici per rilanciare l’occupazione, da finanziarsi attraverso l’introduzione di nuove tasse, patrimoniale in testa. Ma l’“Agenda 2010”, oltre che in rotta di collisione coi sindacati, sta conducendo la Spd a uno scontro intestino tra correnti, situazione alquanto nuova per un partito famoso per il suo monolitismo, in cui, abitualmente, i dissidenti o se ne vanno o fanno buon viso a cattivo gioco. A rifiutare le riforme tracciate da Schröder sono la sinistra interna, una pattuglia di deputati capeggiata dal bavarese Ottmar Schreiner, e l’intera organizzazione giovanile, gli “Jusos”. I “ribelli”, che giustificano la loro posizione col timore di snaturare la tradizione sociale della Spd e di compromettere di conseguenza il rapporto con la base del partito, sono in tutto poco più di una dozzina: pochi in relazione alla consistenza del gruppo parlamentare socialdemocratico al Bundestag, ma più che sufficienti per far cadere riforma e governo con un loro eventuale voto contrario. Al motto di: “Wir sind die Partei” (“Siamo noi il partito”), la sinistra sta tentando di raccogliere le firme necessarie (ne servono oltre 65 mila) per indire un referendum consultivo tra gli iscritti sui contenuti della politica sociale di Schröder. La convocazione di un congresso straordinario per il prossimo primo giugno, presentata da Schröder e dal segretario generale della Spd, Olaf Scholz, come una concessione alle richieste dei contestatori, servirà ai vertici del partito per provare a riaprire il dialogo interno o, alla peggio, a procedere a una conta prima del passaggio parlamentare del disegno di legge. Il margine di manovra è comunque molto esiguo: in caso di bocciatura, o di modifiche sostanziali, dell’“Agenda 2010”, il cancelliere minaccia di dimettersi. Ma se l’affermazione della linea riformista al congresso è più o meno scontata, problemi ben più spinosi potrebbero derivare al cancelliere dal piccolo Land della Saar. È lí infatti che sta verificandosi il colpo di scena più clamoroso: il grande ritorno dell’unico vero antagonista di Gerhard Schröder, Oskar Lafontaine. L’ex leader del partito e ministro federale delle Finanze del primo gabinetto rosso-verde, dimessosi nel marzo 1999 per dissidi personali e politici col cancelliere, sembra intenzionato, dopo una lunga assenza, a riportare sulla scena politica nazionale le critiche alla globalizzazione e al neoliberismo affidate negli ultimi anni alle pagine di giornali e saggi. La Spd della Saar, sua roccaforte storica, lo ha già riaccolto a braccia aperte.

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23.05.03

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