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Le bugie di Trump e la sudditanza elvetica

Mettere a confronto il borioso presidente americano che, a Davos, esalta le prodezze dell’economia statunitense sotto il suo impero, con la fragile fanciulla svedese che denuncia le inadempienze dei potenti sul clima, offende l’intelligenza. Serve però a scoprire un metodo e la verità. Mettere poi a confronto l’atteggiamento della Svizzera nei confronti dell’Unione europea con quello nei confronti degli Stati Uniti, riemerso anche a Davos, offende la dignità della persona (anche una nazione ha l’equivalente della dignità di una persona) prima ancora della sua pretesa sovranità.


Il presidente americano è il simbolo delle contraddizioni del capitalismo e della disgregazione della democrazia. Esaltando i risultati della “sua” economia e ponendosi contro le Cassandre del catastrofismo (ignorando che Cassandra predisse la fine della città di Troia, come di fatto avvenne), vuole invece apparire come il baluardo del capitalismo e il garante della democrazia. Nelle cifre sciorinate sul Pil (o crescita economica) e sull’occupazione (posti di lavoro creati) c’era una tronfia risposta ai detrattori e ai dati minacciosi snocciolati dalla esile Greta, che dimostravano invece come tra lo sfacelo ambientale e le diseguaglianze sociali crescenti c’è un innegabile rapporto causale.


Trump ha dimenticato due dati che demoliscono il suo metodo e ignorano la verità. L’uno riguarda l’indebitamento degli Stati Uniti che sotto il suo impero ha raggiunto un primato storico, a causa anche di una politica fiscale sfacciatamente a favore dei ricchi e di sé stesso, generando diseguaglianze immense (persino alcuni miliardari se ne sono vergognati). Per farla breve ed essere comprensibili: oggi Trump per aumentare di un dollaro il prodotto interno lordo (la sua osannata crescita) si indebita di due dollari e mezzo. Se questo è un successo economico! L’altro riguarda il reale tasso di partecipazione della popolazione attiva al lavoro: è al 62 per cento, cifra ufficiale, primato tra i paesi dell’Ocse (paesi cosiddetti ricchi e industriali). Ciò significa che il 40 per cento della popolazione attiva non lavora: o sono “rentiers”, prepensionati forzati, carcerati (negli Usa c’è la più alta percentuale di carcerati dei paesi occidentali), non-inclusi, emarginati o dimenticati. Se questo è una garanzia democratica e un successo sociale! Nell’una e nell’altra dimenticanza si annidano  le cause della prossima crisi finanziaria-sociale di cui, annessi a quell’impero, pagheremo ancora noi come sempre le conseguenze, come già avvenuto più volte.


La Svizzera ha nei confronti dell’Unione europea e degli Stati Uniti due atteggiamenti diversi. Con un denominatore comune: combinare affari. Con l’Unione europea, in nome di non si sa quale indipendenza, vuol però mostrare la schiena diritta, anche per non imbestialire
l’Udc, accusando quindi la stessa Unione europea di essere irrazionalmente inflessibile e di non tener conto delle particolarità svizzere. Con gli Stati Uniti l’atteggiamento è invece di continua  sudditanza o di vassallaggio: proni ad ogni imperio di extraterritorialità politica e legislativa statunitense (v. Iran); disposti a pagare multe salatissime, pari quasi a un decimo del prodotto interno lordo svizzero, per la presenza di banche e altri affari elvetici su territorio americano; grandi finanziatori, con l’acquisto di titoli statunitensi, anche da parte della Banca nazionale, del debito americano; pronti a un accordo di libero scambio con il... protezionista e infido Trump. Che riuscirà in tal modo a venderci i prossimi caccia per la difesa dei cieli svizzeri.

Pubblicato il

30.01.2020 10:21
Silvano Toppi
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