Lavoro, reddito e capitale: tre alternative per uscire dal marasma

Peter Ulrich non è un sovversivo. È un professore dell’Università di San Gallo, fucina dei giovani economisti rampanti. Forse è la sua “foglia di fico”: insegna etica sociale. Richiama i valori, cerca le regole per “civilizzare” l’economia di mercato, per salvare il capitalismo in una società democratica (paradosso di questi tempi: il capitalismo “selvaggio” è ancora possibile, ma solo nell’ultimo grande paese comunista, o nei paesi post-comunisti non ancora democratici). In un suo intervento recente, Peter Ulrich ha indicato tre alternative per uscire dal marasma attuale, che rischia di disgregare le democrazie liberali e di far collassare il loro sistema economico: o il lavoro è accessibile a tutti; oppure il reddito va ripartito fra tutti; o altrimenti è il capitale che va ridistribuito fra tutti. Come dargli torto? Dopo decenni di “post-fordismo”, di “nuova era” dell’economia liberale, il panorama sociale è desolante: in alcuni paesi c’è poca disoccupazione ma molta povertà fra i lavoratori (precari e sottopagati); in altri paesi più del 10 per cento degli attivi sono senza lavoro, i giovani non riescono più a trovare un primo impiego, i lavoratori anziani sono costretti a prepensionarsi o ad invocare qualche forma d’invalidità. Non bastano le prediche sulla flessibilità, la mobilità, l’eccellenza nelle qualifiche professionali. Ogni persona “normale” deve potersi guadagnare la vita con il lavoro, non solo un’élite. Se il lavoro non può essere ripartito, allora è il reddito che lo deve essere. Il convegno in cui Ulrich si esprimeva era organizzato dal molto istituzionale Ufficio federale delle assicurazioni sociali. Eppure vi ha avuto molto spazio un’ipotesi generalmente considerata poco più di una curiosità: il cosiddetto “reddito di base” (Basic Income) o “assegno universale” (Alocation Universelle) o “reddito di cittadinanza” (Bürgereinkommen). Se il lavoro non è più il mezzo necessario e sufficiente per vivere, allora una parte importante del prodotto nazionale va ripartita fra tutti, senza condizioni; con il resto si verseranno poi salari e dividendi ai “privilegiati” che hanno un lavoro o dispongono di un capitale. Neppure questa idea vi piace? Allora, dice Ulrich, ripartite il capitale. Il capitale accumulato è enorme. E non è stato creato dalla sola generazione attualmente attiva, anzi. La gran parte dei beni di produzione (e della tecnologia che essi incorporano) è stata creata dalle generazioni precedenti e trasmessa a chi oggi ne approfitta. Se non si vuole ripartire il prodotto di questo capitale, allora si ripartisca il capitale stesso: avremo un capitalismo diffuso, una “società di proprietari”: ognuno avrà assicurato almeno un reddito fatto di dividendi e interessi, di profitti e di rendite.

Pubblicato il

24.06.2005 13:00
Martino Rossi