Lavoratori già nel mirino di Macron

La vittoria di Emmanuel Macron sta facendo esplodere tutto il panorama politico francese. È persino in difficoltà il Fronte nazionale, che pure ha raggiunto un risultato storico, quasi 11 milioni di voti, dove la strategia “sociale” di Marine Le Pen è contestata, a favore di un ritorno alle posizioni tradizionali, anti-immigrati, identitarie (Marion Maréchal - Le Pen, che incarna questa linea, a sorpresa ha però rinunciato alla politica). Il Ps è in pieno terremoto, ci sono già state defezioni verso En Marche! che hanno dato il colpo di grazia a un partito che era di governo, ma che è crollato al 6,5% alle presidenziali con Benoît Hamon e che potrebbe vedersi ridotti i seggi dagli attuali 285 a 20-80 alle imminenti legislative dell’11 e 18 giugno. Manuel Valls è in difficoltà, la sua auto-candidatura per rappresentare la “maggioranza presidenziale” nel suo feudo di Evry alle legislative, è stata per il momento respinta. La destra Lr punta ancora alla rivincita alle legislative per la presidenziale persa, ma già alcuni guardano a Macron, l’ex ministro Bruno Le Maire offre i suoi servizi con insistenza, l’ex primo ministro Alain Juppé mette le mani avanti e afferma: se non abbiamo la maggioranza non dovremo essere «in uno spirito di ostruzione sistematica e di opposizione frontale». Ps e Lr nei rispettivi programmi per le legislative hanno abbandonato le proposte più emblematiche dei loro candidati alle presidenziali (il Ps non fa più cenno al reddito universale o alla tassa sui robot). La sinistra della sinistra non ha bisogno di Macron per dividersi: la rottura è consumata tra France Insoumise e Pcf, non ci saranno candidature comuni nonostante l’appoggio che i comunisti hanno dato a Jean-Luc Mélenchon per le presidenziali. Questa rivalità è ad alto rischio: troppi candidati a spartirsi un elettorato che, in parte, si è già spostato verso Macron.
Emmanuel Macron si insedierà domenica 14 maggio. Ieri En Marche! (che ha cambiato nome: La République en marche, Rem) ha presentato le liste per il voto di giugno e spera di concludere la blitzkrieg che ha portato Macron, praticamente uno sconosciuto per i francesi solo tre anni fa, alla presidenza della Repubblica a soli 39 anni.
Ma Macron, che pure è stato eletto bene con il 66% dei voti, ha di fronte una forte sfida: quella che il politologo Dominique Reynié chiama “dissidenza elettorale” è stata al ballottaggio superiore alla metà dei voti, il 56,3% degli elettori (addizionando il voto per Marine Le Pen, la forte astensione e le schede bianche), confermando il risultato del primo turno.
Tra le novità di questo momento politico, c’è anche il fatto che Macron che non ha nessun seggio dovrà ottenere una maggioranza all’Assemblea nazionale per attuare un programma che al primo turno ha convinto il 24% dei voti (e anche su questa percentuale c’è chi sottolinea che una parte è stata “voto utile” fin dal primo turno per la paura dell’estrema destra). Secondo un sondaggio (istituto Ipsos), inoltre, il 61% degli elettori non desidera che En Marche abbia una maggioranza assoluta nel prossimo parlamento.
Ancora prima di insediarsi, Macron ha già avuto la sua prima manifestazione di protesta. Poche migliaia di persone, ma un dissenso che rilancia la grossa ondata di rifiuto che era esplosa mesi fa contro la Loi Travail. Nel programma economico di Macron ci sono alcune proposte precise che serviranno a costruire il pilastro della sua politica europea: ridare “credibilità” alla Francia, agli occhi di Bruxelles ma soprattutto della Germania, per poter definire un “rilancio” dell’Unione europea. E questa “credibilità” passa per una nuova riforma del lavoro, in linea con la legge El Khomri: decisioni a livello di impresa anche sulla durata del lavoro (ma le 35 ore come base legale dovrebbero restare), semplificazione nella rappresentanza sindacale, indennizzi fissi in caso di licenziamenti senza giusta causa. Nei progetti c’è anche una riforma delle pensioni, che dovrebbe portare all’abolizione dei “regimi speciali” (più vantaggiosi, come nelle ferrovie o in certe categorie del servizio pubblico). Macron ha fretta, ha indicato di voler procedere con le “ordinanze” – un modo per snellire l’iter parlamentare - per riformare il codice del lavoro, lasciando maggiore flessibilità ai datori di lavoro, in cambio di una “protezione” per i dipendenti più adatta, sul modello scandinavo. Ma i sindacati sono sul piede di guerra. Persino la Cfdt, che ha contribuito alla redazione della Loi Travail, chiede “concertazione”. Per Macron, “riformare” la Francia è indispensabile per poter ottenere una svolta in Europa: propone un bilancio comune (e un ministro delle Finanze) della zona euro, per poter realizzare investimenti e mettere euro-bonds sul mercato. Macron ha in mente anche il varo di un Buy European Act (sul modello Usa), per garantire gli appalti pubblici alle piccole e medie imprese della Ue. Non ci saranno però risposte concrete prima delle elezioni tedesche di settembre.

Pubblicato il

10.05.2017 21:10
Anna-Maria Merlo