Lavoratori Lidl, su la testa

Hanno alzato il capo alla Lidl di Albenga. In una delle 700 filiali italiane della multinazionale del discount hanno osato ciò che fino ad ora sembrava inosabile: lo sciopero. Tenuti sotto il giogo dell’intimidazione e sfruttati oltre ogni limite (cfr. area n. 39 del 24 settembre 2004; sito: www.area7.ch), i lavoratori di Albenga (per la maggior parte donne) hanno detto basta all’ennesimo sopruso. L’ultimo della serie si è verificato la scorsa settimana quando un caposettore (responsabile di più filiali) fingendosi un ladro ha tratto in inganno un’ignara cassiera per redarguirla poi violentemente per non avere sventato il “furto”. Sdegno e rabbia hanno spinto i lavoratori a denunciare alla Cgil, Cisl e Uil locali l’accaduto. Da qui la decisione dei sindacati di proclamare lo stato di agitazione per una situazione lavorativa ormai diventata insostenibile. «Si è trattato di un atto simbolico – ci dice Felicita Magone, delegata sindacale Filcams Cgil e impiegata alla Lidl di Albenga -, poiché in totale abbiamo incrociato le braccia per due ore ma la nostra azione ha avuto una buona eco. Molti clienti ci hanno dimostrato la loro solidarietà rinunciando a far la spesa nel tempo dello sciopero, mentre altri hanno rinunciato ai loro acquisti per tutto il giorno». Su 14 dipendenti, sette hanno aderito alla mobilitazione. «Fra coloro che non hanno scioperato – spiega Magone – qualcuno ci ha comunque sostenuto preferendo non esporsi per tema di ritorsioni. Anche se la Lidl difficilmente arriva al licenziamento per evitare lo sfavore dell’opinione pubblica. Se vuole “far fuori” qualcuno preferisce la via del mobbing, della pressione continua, fino a quando l’elemento indesiderato non toglie il disturbo da solo». Pur trattandosi di un’azione limitata, di uno “sciopero kamikaze” – come lo definisce ironicamente Felicita Magone per i rischi che corre chi vi aderisce – è stata comunque un segnale forte che qualche effetto positivo lo ha già sortito. «Abbiamo notato – spiega la delegata sindacale – che i nostri responsabili cercano di evitare lo scontro, tant’è vero che domani (mercoledì scorso per chi legge, ndr) avremo un incontro con i rappresentanti regionali della Lidl. Ci aiuta inoltre il fatto che della nostra agitazione e delle nostre condizioni di lavoro ne abbiano parlato quotidiani come “La Stampa” e “Il Secolo XIX”, sulle cui pagine appare la pubblicità della Lidl, e non soltanto testate di sinistra come “Il Manifesto” o area». Dettaglio non irrilevante quest’ultimo visto che la multinazionale è nota per aver chiuso i rubinetti della pubblicità ad un giornale tedesco che aveva osato fare un servizio sulle scandalose condizioni di lavoro vigenti nel suo regno. Intanto nella filiale di Albenga sono in corso lavori di ristrutturazione per ovviare alle gravi irregolarità riscontrate dall’Asl (servizi competenti per l’igiene e la sicurezza sul lavoro) durante un sopralluogo; nonostante ciò, gli impiegati sono costretti a continuare il proprio lavoro tra mille disagi: toilette inagibili, magazzino intasato di merci e mancanza di sicurezza (la filiale non dispone di un impianto elettrico con la messa a terra). «Sì, siamo costrette a lavorare – conclude Magone – in un ambiente-cantiere e se continua così presto potremo muoverci solo facendo acrobazie». Come dire, al peggio non c’è mai fine. Soprattutto alla Lidl.

Pubblicato il

15.10.2004 03:30
Maria Pirisi