Non temo la morte, ma vorrei non esserci quando arriverà. Mi trattiene la paura. Non la paura della morte, ma il timore di finire all'inferno senza poter scampare alla compagnia di avvocati e turbocapitalisti. Pare ne sia pieno anche l'atrio, dell'inferno. Quanto agli avvocati sono sempre le stesse facce, mi dice sconsolato l'amico; a proposito di turbocapitalisti invece, pare che soffrano, come si dice nel calcio, malgrado le loro spiccate capacità creative. (Si veda l'ultimo spassoso corsivo di Cristina Foglia su questo stesso giornale). Corre voce che il sistema economico mondiale sia malato. Di una malattia profonda che riguarda il corpo e l'anima. Sarà davvero così? A farmi dubitare è lo spirito, certamente al di là delle intenzioni dell'autore, che anima un lungo (e pur opportuno) articolo apparso su LaRegione. Titolo: "Capitalismo senz'anima". La riflessione che l'A. porta avanti nasce da lontano: che sia un marchio d'origine? Scrive il giornalista: "I capitalismi sono come le capre e le pecore: simili ma non uguali". Ora, ci sono due tipi di comicità. Quella professionale e quella involontaria. La prima frutto di studio, l'altra più consona al pensiero infantile. Intendiamoci, parlando di sistema capitalistico, la comicità potrebbe anche starci; potrebbe essere – perché no? – un modo per alleggerire la gravità del dire. Ma c'era bisogno di riempire sei colonne di giornale per concludere che il capitalismo, con o senza turbo, è un male assoluto che mette a repentaglio la coesione sociale? È un po' come dire che è meglio che piova intanto che fa brutto. Il che riporta al Signor de La Palisse, principe della tautologia (si vada, per maggiori ragguagli, a D. Zanetti, "Vita, morte e trasfigurazione del Signor di Lapalisse", Bologna, il Mulino, 1992). Insomma, la genialità – come la classe – non è acqua. Da cui la domanda: chi è il mandante di tutte le cazzate che dico? Ora, non ho mai avuto una grande venerazione per i grandi capitalisti yankees. Mi è sempre bastato il predicato. E non mi si dica che è bieco antiamericanismo. Né mi convince il fatto che i capitalisti americani tengano sempre una mano sul borsello e l'altra sulla Bibbia. È parte della sacra finzione, direbbe Marcello Marchesi. Un unico dubbio mi rimane, e non c'è verso di liberarsene. Il dubbio è legato a un passaggio dell'articolo de LaRegione che riporto: "Chi deve decidere del nostro futuro? Il Caso, la mano invisibile del mercato, che poi è la mano visibile degli uomini che detengono il potere economico? Oppure la Politica, cioè la gestione pacifica, liberale, democratica dei conflitti sociali?" È la stessa analoga domanda che mi sono posto l'altroieri quando, sulla soglia di casa, pronto per uscire, mi sono accorto che stava piovendo. Che fare? Limitarsi a maledire e ad accusare il governo di gestione poco onesta della ricchezza pubblica o prendere l'ombrello? Poi ho deciso, lì per lì, di prendere l'ombrello. |