È finita un'epoca. Ancora un anno fa Christoph Blocher era al massimo della sua carriera politica: l'Udc aveva stravinto le elezioni federali e lui, il padre-padrone del partito, il "tribuno", era saldamente insediato in Consiglio federale. Nel governo si comportava come se ne fosse il direttore. Per lui, e per molti suoi sostenitori dentro e fuori l'Udc, era inimmaginabile che il Ps avrebbe avuto la capacità e la determinazione di preparare la sua non rielezione, e che il Ppd avrebbe avuto il coraggio di partecipare al piano. Ma nessuno poteva prevedere che, provando a rientrare in governo dopo appena un anno, avrebbe avuto ben undici concorrenti nel suo stesso partito.

Non basta. Da sinistra e da destra è stato un coro unanime: Blocher non è eleggibile. C'è la chiara volontà di non riproporre elementi di instabilità nell'azione collegiale del governo. E c'è il rispetto formale verso l'Assemblea federale, che se ha ritenuto di destituire un consigliere federale non può essere sfidata a rieleggerlo. L'unico rimasto a difendere la ricandidatura unica di Blocher è il presidente nazionale dell'Udc, il sangallese Toni Brunner. Certo, la sezione zurighese del partito ha deciso di nominare unicamente il suo leader riconosciuto, ma è solo un modo per omaggiare il capo e rimettere la decisione definitiva al gruppo parlamentare.
Tutti, in realtà, all'interno dell'Udc sanno che se il partito vuole tornare in governo (e tutti lo vogliono), non sarà certamente con Blocher. Ma il primo a rendersene conto, col fiuto politico che ha, è stato proprio lui. Se gli altri partiti dicono tutti no alla sua candidatura – ha dichiarato la settimana scorsa ai microfoni della Radio della Svizzera romanda – «allora bisognerà trovare un altro candidato». L'alternativa, ha spiegato, sarebbe quella che l'Udc rimanesse all'opposizione, «cosa che non vorrei». Tuttavia s'è guardato bene dal rinunciare subito e chiaramente alla sua candidatura, né ha voluto indicare i nomi di possibili "papabili". Qualche giorno dopo, però, dalle colonne della Zentralschweiz am Sonntag ha lanciato un altro segnale: «Dobbiamo entrare in lizza non solo con il candidato migliore, ma anche con qualcuno che possa essere eletto».
Questa remissività, questa disponibilità insolita in lui, ha fatto ritenere a molti che Blocher fosse sorprendentemente cambiato, persino rassegnato. Può darsi. Ma è più probabile che abbia semplicemente preso atto della situazione. D'altra parte, uno come lui può essere realista, senza per questo rinunciare facilmente alla lotta: mantiene la sua candidatura, anche al prezzo di ostacolare la carriera dei suoi fedelissimi, nonostante sappia di non avere alcuna chance e di dover prima o poi ritirarsi. Blocher, insomma, ha calcolato bene ogni mossa: sa che, non potendo rientrare in governo (considerato anche che ha 68 anni), la sua parabola è giunta al tramonto, e con lui volge al termine una stagione politica dell'Udc.
Il partito lo ha seguito ciecamente finora. Adesso però l'ala filoeconomica dell'Udc vuole fare una politica pragmatica che risponda agli interessi concreti dell'economia, e mettere in minoranza l'ala ideologica. Per questo è sorto nel partito un comitato di sostegno alla libera circolazione delle persone con l'Ue. Da quando Blocher è stato estromesso dal governo, l'Udc è caduta in piena confusione: sul modo di fare opposizione, sulla libera circolazione (prima sì al referendum, poi no, poi ancora sì, infine la spaccatura), sulla composizione del vertice del partito, sulla successione a Schmid in governo.
Preso dal suo rancore per l'umiliazione subita, Blocher s'è perso dietro le denunce giudiziarie contro chi avrebbe tramato a suo danno nella vicenda Roschacher, ha preteso l'espulsione dal partito di Samuel Schmid e di Eveline Widmer-Schlumpf (provocando una scissione), ha dato indicazioni contraddittorie sulla libera circolazione, ha lasciato che per mettere in difficoltà Schmid il partito votasse contro i crediti all'esercito. A tratti è parso incerto, come se non sapesse più che pesci pigliare. Il risultato è che la base è andata in confusione.
Ma tutto questo lui lo sa bene. Deve ritirarsi, per il bene del partito. Il turgoviese Peter Spuhler, consigliere nazionale e industriale, è stato il primo a dirglielo a chiare lettere. Ma Blocher non è tipo da scivolare silenziosamente nell'ombra. Se deve andarsene, se ne andrà quando e come deciderà lui, con le luci ben accese su di lui al centro della scena. Uno che, partendo da semplice contadino, ha percorso tutte le carriere possibili in Svizzera, diventando dottore, industriale, miliardario, colonnello, banchiere, capo di partito, capo dell'opposizione, ministro ed ex ministro. Uno che, per entrare in governo, nel 2004 lanciò quest'ultimatum: «Io guido un'offensiva contro la cultura politica dominante. Che voglio distruggere. Che bisogna distruggere». Uno così non se ne va in silenzio. L'elezione del successore di Schmid è il momento buono per rappresentare la sua uscita di scena.

Blocher indigesto al popolo

Ha destato sorpresa, nei giorni scorsi, il sondaggio pubblicato dai settimanali SonntagsBlick e Matin Dimanche secondo cui se spettasse al popolo decidere in merito alla successione di Samuel Schmid, il seggio andrebbe all'Udc, ma non a Blocher. Ed i favori andrebbero a Rita Fuhrer. Ma anche all'interno dell'Udc si manifestano chiari segnali che confermano il "superamento" della politica blocheriana.
In base all'inchiesta demoscopica, solo il 25,9 per cento degli svizzeri pensa che sia necessario il ritorno di Christoph Blocher in Consiglio federale, mentre il 67,8 per cento – cioè oltre i due terzi – sarebbe contrario ad una sua rielezione in governo. Il 51,6 per cento degli intervistati ritiene comunque che il mandato di Schmid debba andare ad un esponente dell'Udc, il 34 per cento preferirebbe un altro partito, mentre il 14,4 per cento non ha un'opinione in merito.
Il 26,3 per cento degli interrogati vedrebbe di buon occhio l'entrata in governo dei Verdi, il 13,5 per cento preferisce invece il nuovo Pbd di Schmid e Widmer-Schlumpf. Un ministro Ppd raccoglierebbe il 10,5 per cento dei consensi, quasi come uno del Ps (10,2 per cento), mentre un verde liberale avrebbe un 8,2 per cento. Un esponente del Plr al posto del dimissionario Schmid sarebbe un'opzione solo per il 6,1 per cento.
Ma se anche il nuovo consigliere federale fosse designato solo dai fautori del ritorno dell'Udc in governo, Christoph Blocher dovrebbe restarsene a casa: solo il 14,5 per cento, infatti, gli darebbe la preferenza tra tutte le candidature presentate nei giorni scorsi al gruppo parlamentare Udc, mentre la consigliera di Stato zurighese Rita Fuhrer s'imporrebbe con il 15,9 per cento.
Ancor più dirompente dei dati di un sondaggio è però quanto succede all'interno dell'Udc: 24 parlamentari su 65 hanno dato vita ad un comitato favorevole all'accordo di libera circolazione con l'Unione europea, in vista della votazione dell'8 febbraio prossimo su tale questione. Il comitato, che prende in contropiede la direzione del partito, è guidato dall'imprenditore e consigliere nazionale turgoviese Peter Spuhler. Ne fanno parte anche il bernese Andreas Aebi e gli sciaffusani Thomas Hurter e Hannes Germann, tutti e tre candidati (prima della selezione operata dal gruppo parlamentare) alla successione di Samuel Schmid in governo.
Con gli accordi bilaterali – sostiene il comitato dissidente dell'Udc – la Svizzera ha potuto rafforzare la sua posizione economica rimanendo indipendente. Un no alla libera circolazione metterebbe in pericolo anche altri importanti accordi con l'Ue, a causa della cosiddetta "clausola ghigliottina", e l'economia elvetica si troverebbe a dover affrontare gravi problemi. Anche le piccole e medie imprese perderebbero commesse e i posti di lavoro sarebbero minacciati.
I membri del comitato affermano di essere decisamente contrari a un'adesione all'Unione europea. Ma un no l'8 febbraio alla libera circolazione – avvertono – potrebbe avere quale ultima conseguenza proprio l'adesione, se l'economia dovesse impegnarsi in tal senso per evitare l'isolamento.

Pubblicato il 

28.11.08

Edizione cartacea

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