La voce che fa gola

A essere una consumatrice critica, talvolta una scoperta tira l’altra. Così l’altro giorno ho chiamato il numero verde di PostFinance per chiedere se e quali “interessi negativi” vengano applicati alle finanze familiari. Anzitutto, mai riuscirò a far pace con l’idea che una cliente debba pagare per parlare con la sua banca – in questo caso, “max. CHF 0.08/Min”.

 

Perché devo pagare, visto che già contribuisco con balzelli di ogni sorta? Prima ancora di poter porre domande, un annuncio registrato mi lascia basita: “Questo colloquio sarà registrato per motivi di sicurezza e scopi di riconoscimento. Dalla registrazione, PostFinance creerà un’impronta vocale per verificare, in base alla voce, la sua identità in occasione di ogni chiamata. Se desidera che non venga creata alcuna impronta vocale, la preghiamo di comunicarlo al supporto clienti”. Impronta vocale. In altre parole, una traccia biometrica archiviata dio sa in quale Nirvana digitale.

No, grazie. Quando una gentile impiegata mi risponde, pronuncio la fatidica frase: “Non desidero che venga creata una impronta della mia voce”. La cortese signora per una manciata di secondi... tace. Sento rumore di dita sulla tastiera e poi dice: “Certo, ecco, scusi un attimo. Fatto. Ho disattivato”. Chiedo: “E i secondi in cui ho parlato prima che lei disattivasse?”. Di nuovo silenzio, rumore di tastiera e poi dice: “Ecco, fatto, ho cancellato tutto”. Allibita, mi metto a fare ricerche.

 

Com’è possibile che siamo entrati nell’epoca della biometria pervasiva e non me ne ero accorta? E dire che come fissata con i diritti fondamentali, la società digitale e le questioni che riguardano gli affari nostri io passo ore ogni giorno a leggere e studiare. Scopro dunque che la questione dell’impronta vocale è in effetti da anni tema di dibattito. È del 2017 la presa di posizione dell’incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza. Mister privacy scrisse che questi metodi comportano “rischi notevoli quanto al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, essendo legati in modo indivisibile (permanente e unico) a una persona. Si deve in particolare rispettare il principio della proporzionalità”. Anche detta “voiceprint”, la registrazione porta con sé le incognite tipiche delle tracce biometriche. Nel caso specifico, la voce potrà rivelare indizi sul tuo stato di salute. Hai il Parkinson? Sei depresso? E come sempre accade con le questioni digitali, siamo in mano alle macchine. È infatti una diavoleria elettronica a campionare la voce e fissare marcatori che la rendano riconoscibile. E come sempre, si potrà procedere a ricerche a posteriori.

 

Nel 2016 Der Beobachter ha pubblicato un articolo interessante sulla questione. Raccontava Yaël Debelle dei progetti di sviluppo che interessano all’industria. Metti che per avviare la macchina un mattino di inverno devi farle sentire la tua voce. Ma hai dormito male, hai un po’ di mal di gola, e la tua auto si rifiuta di farti guidare. Il pregevole pezzo ci porta dietro le quinte di aziende che lavorano in tutta discrezione ai potenziali impieghi della voce umana – per selezionare collaboratori, vuoi mettere quanto può essere interessante scoprire a colpi di click se sono un po’ nevrotici?

 

Per disattivare la registrazione della vostra voce, qui le indicazioni di PostFinance. E poi, volete sapere com’è finita con gli “interessi negativi”? A partire da 100.000 franchi paghiamo un grasso 0,75% per ogni singolo giorno. Torneremo ai risparmi conservati sotto al materasso?

Pubblicato il

08.11.2021 10:21
Serena Tinari