Femminismo

Siamo a Buenos Aires e le donne dove sono? Ci ricordiamo le immagini delle sue piazze nel 2015 stracolme di donne al grido di “NiUnaMenos”: il movimento argentino nato contro il femminicidio e la violenza di genere, che ha travalicato le frontiere, fatto letteralmente il giro del mondo, dando impulso alla nascita negli Stati Uniti del gruppo di denuncia degli abusi sessuali #MeToo. Una mobilitazione globale per una storia antica come quella del femminicidio: atto estremo di una catena di violenze costruite su un modello gerarchico e sessista che plasma le relazioni sociali. Una storia che è sudamericana, argentina, ma anche europea, svizzera: proprio di queste settimane è la notizia dell’arresto in Ticino del marito di Doris Leuthard, l’ex consigliera federale, vittima della furia e delle minacce del coniuge.
Ma noi ora siamo a Buenos Aires. Dove sono le madri di Piazza di Maggio, dove è Azucena Villaflor, la donna che ha lottato per sapere la verità sul figlio desaparecido, finendo a sua volta ammazzata per mano dello Stato? Dove sono finite la boliviana Juana Azurduy e la peruviana Micaela Bastidas, le rivoluzionarie che hanno imbracciato le armi per l’indipendenza dai colonizzatori europei? E Julieta Lanteri o Alicia Moreau de Justo, entrambe laureate in medicina, che hanno lottato per il suffragio femminile ottenuto in Argentina, anche grazie a Eva Perón, nel 1947?
Cerchiamo le loro tracce buttandoci in strada, in una delle zone più “in” della capitale portena. Abbiamo appuntamento con Leticia Garziglia, giovane giornalista e attivista argentina, davanti alla “Fontana delle Nereidi”, a Puerto Madero, l’area portuale di Buenos Aires, riconvertita negli ultimi 30 anni: qui, dopo essere stato un luogo dismesso, svettano ora moderni grattacieli, sedi di multinazionali e appartamenti di lusso, in una città che vive stridente il contrasto fra ricchezza e povertà. E proprio a Puerto Madero rintracceremo, nascosta nei nomi delle strade, la denuncia di un altro contrasto: quello per cui il mondo risulta spesso declinato al maschile. In questo quartiere della metropoli sudamericana qualcuno ha voluto però restituire giustizia alla storia, intitolando con l’ordinanza 49’668 del 1995 le strade a quelle donne che hanno contribuito a costruirla.

Fa freddo, e mentre aspettiamo la 38enne Leticia, che ci accompagnerà in questo “tour femminista”, osserviamo la fontana di Lola Mora (1866-1936), l’opera più famosa della scultrice argentina: una bianca Venere in marmo di Carrara siede in cima a una conchiglia con i seni al vento. Niente di che, niente scene pruriginose, ma nel 1903 quando l’artista svela la sua opera alle autorità e al pubblico, scoppia il finimondo: quella dea nuda non va piazzata sulla pubblica via. E così, la vergogna, la “Fontana delle Nereidi”, viene spostata in luoghi meno affollati, più discreti, diciamo pure nascosti. Di spostamento in spostamento fino all’ubicazione definitiva nel nuovo “barrio”.
 
Il progetto di Puerto Madero, lo diciamo per onestà, lo troviamo riuscito a metà: una lastra posata a terra ci dice che quello è il Parque Micaela Bastidas. Non una parola in più sul personaggio: chi era? Quando visse? Che fu una rivoluzionaria peruviana alla guida di una rivolta contro gli invasori spagnoli, i quali la giustiziarono nel 1781, ce lo spiega Leticia. La giornalista aggiunge: «Era un’indigena, con la pelle scura, forse non propriamente l’immagine di donna che si identifica con un luogo glamour come Puerto Madero».
Sì, ci sono le donne a Puerto Madero, ma alcune restano nell’ombra anche qui, mentre altre sono più facili da mostrare come dimostra il tributo ad Anna Frank, un personaggio storico che non divide l’opinione pubblica e il monumento posto nel parco a lei dedicato, sembra più un’opera promozionale della regina di Olanda: è la monarca, originaria di Buenos Aires, ad avere regalato la statua raffigurante la giovane vittima del nazismo, che è stata posata vicino al Puente de la mujer, dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava, che resta prima di tutto un’attrazione turistica. Insomma, la retorica non manca in questa iniziativa per “celebrare” le donne, ma noi – lo ammettiamo – siamo critiche per natura. Apprezziamo, per contro, l’iniziativa di Leticia, fra le promotrici di questa passeggiata nel quartiere, o meglio, come lo chiama lei, del FemiTour.  

Leticia, che cosa rappresenta FemiTourBuenosAires?
Con alcune colleghe avevamo fatto dei viaggi in altre città e avevamo notato che i protagonisti delle storie raccontate erano sempre uomini. Riflettendo sulla questione, ci siamo rese conto che l'offerta turistica della nostra città è molto orientata al tango tradizionale, all’asado, al vino e ad altre usanze tipiche del nostro Paese, ma con queste uniche proposte riteniamo insufficiente una visione reale della nostra cultura e di ciò che accade a livello sociale e storico. L’idea di creare FemiTour è nata nel 2018 ed è stata realizzata l’anno dopo, confluendo in un progetto autogestito aperto a chiunque desiderasse fare un’esperienza fisica, a piedi, percorrendo le strade di Buenos Aires per conoscere la vita e la storia di donne, che sono state fondamentali nella conquista e nell'espansione dei diritti verso la parità di genere. La costruzione del nostro tour è stata fatta sulla base di una selezione di personaggi femminili da presentare secondo un criterio storico-politico: non proponiamo semplicemente un racconto di storie di donne, ma la storia del nostro Paese e del nostro continente grazie al ruolo di queste donne.


Nelle strade e nello spazio pubblico, in Argentina come ovunque nel mondo, si registra una sottorappresentanza femminile: una disuguaglianza di genere che voi cercate di rendere visibile per sensibilizzare…
È molto difficile trovare una rappresentazione delle donne o della diversità di genere nel nostro spazio pubblico. Solo il 3% delle nostre strade è intitolato a donne e, se guardiamo i monumenti, quando rappresentano uomini, sono "eroi nazionali" maschili che combattono con armi, a cavallo, e quando raffigurano donne, sono generalmente nude, o non hanno nomi, o sono in posizione passiva o sono madri. Questi sono i riferimenti culturali che ci vengono inculcati fin da bambine: come possiamo immaginare il nostro futuro, se non appariamo nello spazio pubblico o se appariamo solo in certi modi?


Come giudicate l’iniziativa di Puerto Madero di dedicare tutte le strade alle donne? È un’operazione ben riuscita? Quali i punti forti e quali quelli più critici e deboli?
Riteniamo che l'iniziativa sia una delle tante strategie che noi donne utilizziamo per "sfuggire" alle scappatoie della legge. C'era, e c'è ancora, una grande disuguaglianza di genere nello spazio pubblico. Crediamo che questo sia un buon modo per "approfittare degli spazi" che si stanno aprendo. Ora è in corso un'iniziativa simile con il quartiere Rodrigo Bueno, che è in fase di urbanizzazione ed è già stato presentato un progetto per intitolare le strade alle donne. È chiaro che non basta per raggiungere l'uguaglianza, ma è un inizio per cominciare a rendersi più visibili. Dell’iniziativa di Puerto Madero apprezziamo l'intitolazione a una donna che, al momento della creazione del quartiere, risultava scomparsa e per la quale non c’era ancora un certificato di morte: la battaglia e il sacrificio di Azucena Villaflor sono stati riconosciuti e il suo nome dà dignità alla lotta delle Madri di Plaza de Mayo per il rispetto dei diritti umani. Altri traguardi non sono stati centrati: per esempio, viene ricordata solo una donna indigena argentina nelle strade, Aimé Painé, ma non c’è una via dedicata a una sola donna nera e di donne nere importanti nella nostra storia ne abbiamo avute.


La società argentina, pensando anche alla nascita proprio qui di “NiUnaMenos”, che rapporti ha con il femminismo e con le lotte per le conquiste di genere?
Che domanda difficile! Penso che siano stati fatti molti progressi, al punto che l'aborto è stato depenalizzato: non che siano spariti i tabù riguardo al tema, ma dieci anni fa era un argomento di cui non si parlava. Oggi abbiamo una legge sull'educazione sessuale, leggi sulla violenza di genere, sul matrimonio egualitario, sull'identità di genere e infine, appunto, la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza. Se ci sono diritti oggi riconosciuti a livello giuridico, è perché c'è stata una lotta che ha portato al progresso sociale. Dobbiamo però stare all'erta perché i gruppi conservatori remano contro alle conquiste sociali e sono resi più forti dall'ascesa dell'estrema destra a livello globale, e questo ha ripercussioni anche sulle lotte femministe. In Argentina c'è però un grande movimento che non lascerà passare facilmente le loro iniziative retrograde in materia di diritti delle donne e diversità. Il movimento ha molto potere e con #NiUnaMenos ha raggiunto trasversalmente buona parte della società, riuscendo a far sì che di questi argomenti si parli a tavola in famiglia, che le nostre madri, le nostre nonne si "sveglino", mettendo in discussione questioni che in passato hanno accettato supinamente. Su alcuni temi, quando ci si "sveglia" non si può tornare a dormire. La consapevolezza sociale dell'uguaglianza si è diffusa molto, formando una nuova opinione pubblica: per esempio, non si parla più di crimini passionali, ma di femminicidio, le molestie di strada sono ora disapprovate (anche se ancora accadono). Ci sono campi in cui sono stati fatti molti progressi grazie al movimento femminista, ma occorre restare vigili, perché è sempre possibile retrocedere in termini di diritti. D'altra parte, il numero di femminicidi non è diminuito molto dal 2015, nonostante l’azione del movimento, e questo è un dato preoccupante. E resta da fare ancora molta strada nel sistema giudiziario che non è cambiato. Ancora di stampo patriarcale, influisce determinando la mancata applicazione delle restrizioni imposte agli autori di violenza, scoraggiando chi deve sporgere denuncia. Il progresso passa dal diritto e dalla sua applicazione, che diventa la chiave di svolta..

Un giro per Buenos Aires decisamente diverso: salutiamo Leticia e prendiamo la nostra strada, mentre ripensiamo all’opera di Lola Mora ridicolizzata un secolo fa da un’opinione pubblica egemonizzata dai partiti moralizzatori e puritani, ci viene in mente l’analoga sorte che sta vivendo, a distanza di più di cento anni e dall’altra parte del mondo, la statua dedicata ad Alfonsina Storni. Alfonsina in Argentina è considerata poetessa nazionale e qui pochi sanno che emigrò a quattro anni dal Ticino, che Alfonsina è svizzera. Proprio a Sala Capriasca, davanti alla casa paterna dove nacque nel 1892, doveva essere posta la statua in onore dell’illustre cittadina, ma l’opera è stata contestata tanto da produrre negli ultimi due anni una serie di polemiche, sfociate in petizioni, ricorsi e atti parlamentari. Alfonsina, l’immigrata, l’intellettuale, la donna madre sola con un figlio, l’attivista per i diritti sociali, nel 1938 si tolse la vita, annegandosi nelle acque del Mar del Plata. Nel 2022 la statua della poetessa, circondata dalle onde, è stata ritenuta scioccante, inopportuna e irrispettosa tanto da urtare la sensibilità di alcuni cittadini, che hanno visto in essa un’istigazione al suicidio. Per una donna, evidentemente, è sempre un po’ più difficile trovare un posto nel mondo sia quando si tratta di vivere, di morire o di essere ricordata. Da Buenos Aires a Sala Capriasca, da Lola Mora ad Alfonsina Storni, la storia marcia sui suoi passi.   

Pubblicato il 

27.07.22
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