La storia infinita

Lavorare stanca. Ma stanca doppiamente le donne che, introdottesi per lo più in tutti i settori occupazionali, si ritrovano ancora a sobbarcarsi in contemporanea i tradizionali ruoli di madri e casalinghe. Hanno acquisito competenze, sono preparate, ma la maternità spesso segna una battuta d’arresto per coloro che scelgono di uscire momentaneamente dal mercato del lavoro. È quanto emerge dall’inchiesta promossa in Ticino dall’Associazione Dialogare Incontri sul tema “Donne – Lavoro retribuito, attività casalinga e soddisfazione” con la quale si è "cercato di investigare una tematica particolarmente attuale nel mondo femminile, quella del doppio ruolo e del possibile rientro nel mondo del lavoro". Il questionario anonimo è stato elaborato da un gruppo di lavoro costituito da Osvalda Varini e Daniela Peduzzi (Associazione Dialogare), Carla Agustoni (studio grafico Agustoni e Snozzi) e Cristina Molo (Centro di documentazione e ricerca: Organizzazione sociopsichiatrica cantonale) e con la collaborazione di Maddalena Alippi, psicologa, la stagiaire Cristina Redolfi e lo statistico Boris Wernli. Il progetto ha goduto del sostegno della Divisione della Formazione professionale del Cantone Ticino e dell’appoggio di Marilena Fontaine, Consulente del Consiglio di Stato per la condizione femminile. Gli obiettivi dell’inchiesta contemplavano: “conoscere meglio gli orientamenti rispetto all’attività di casalinga e professionale delle donne; focalizzare le scelte professionali, la soddisfazione per la propria situazione e gli elementi che la influenzano; individuare le eventuali risorse necessarie per riorientare la propria situazione”. Interessante rilevare come l’inchiesta, pur prendendo ad esame un campione particolare di donne (donne che ruotano intorno all’Associazione Dialogare e che si sono rivolte allo Consultorio Sportello Donna) e non avendo quindi “la pretesa di essere rappresentativa di tutta la popolazione femminile del Canton Ticino, ha dato un quadro interessante riguardo ai comuni denominatori nella vita di queste donne, indipendentemente dalla classe sociale, dalla scelta professionale e dalle aspirazioni”. Per capire meglio il senso di quest’inchiesta abbiamo posto alcune domande in merito a Daniela Peduzzi che ha collaborato al progetto. Signora Peduzzi, lo screening delle persone intervistate mette in rilievo che le risposte giungono da donne che seguono le iniziative di Dialogare e che, da dieci anni, partecipano a corsi, incontri e seminari. Non c’è il rischio che il quadro risulti alla fine troppo omogeneo rispetto alla realtà lavorativa delle donne ticinesi? È un rischio che è stato preso in considerazione e messo in risalto già nell’introduzione all’inchiesta. Vorrei però precisare che una parte delle donne intervistate hanno risposto via e-mail e sono ascrivibili ad un campione piuttosto eterogeneo e che – con le dovute proporzioni – dovrebbe rispecchiare uno spaccato realistico delle donne ticinesi, ma che sono comunque in possesso di un certo tipo di competenze. Osservando poi i risultati dell’inchiesta, ci siamo rese conto che alcuni dei dati emersi sono trasversali, riguardano, cioè, donne appartenenti a condizioni e classi sociali diverse. Si tratta di dati rilevati attraverso il nostro Consultorio Sportello a cui si rivolgono prevalentemente donne con problemi, esigenze ed interessi che si avvicinano alla media della popolazione femminile ticinese. Tenendo conto di tutte queste premesse, possiamo dire che il campione esaminato può essere considerato come rappresentativo. Dalla vostra inchiesta risulta che l’83% delle donne che hanno risposto svolge un’attività retribuita, quando in realtà, complessivamente, in Ticino solo il 35% delle donne esercita una professione retribuita. Come leggere questi due dati in rapporto l’uno con l’altro? (più si scende nella scala sociale e meno donne con lavoro retribuito troviamo?) Certo, di primo acchito l’interpretazione di questi dati appare complessa in quanto sembra accostare elementi all’apparenza contradditori fra loro. Ed allora questa chiave di lettura può aiutarci a capire: da un lato si può osservare come le donne con un livello di formazione al di sopra della media sono coloro che meno facilmente rinunciano all’attività lavorativa e che nel campione da noi esaminato corrisponde all’83 percento; dall’altra, però, si può constatare che, sebbene le donne formate siano in una percentuale decisamente più alta rispetto al passato, oggi fatichino sempre più a trovare un lavoro. O meglio, a trovare un impiego che permetta di conciliare i loro impegni familiari con quelli lavorativi. E in questo ambito rientrano le donne che si rivolgono ai nostri sportelli, campione rappresentativo di quel 35 percento di cui abbiamo riferito. Perché, secondo voi, dopo decenni di lotte da parte delle donne per affermare la parità tra sessi, la maternità resta l’evento principe a condizionare le scelte lavorative delle donne (il 51%, con la maternità, smette di lavorare)? Ecco questo è il dato comune a quasi tutte le donne, a qualsiasi condizione o classe sociale esse appartengano. La maternità per la donna rappresenta sempre una scelta forte, sia che decida di restare nel mercato del lavoro, sia che decida di lasciarlo. Nel primo caso, perché la obbliga a riorganizzare la sua vita in relazione alla famiglia, il che spesso si traduce nella scelta di un’attività retribuita a tempo parziale. E i dati in questo senso lo confermano: delle donne intervistate, il 39 percento lavora a tempo pieno e il 61 percento a tempo parziale mentre, a livello ticinese solo il 42 percento lavora a tempo parziale. Questo significa che, per chi decide di restare nel mercato del lavoro, la maternità può rappresentare un vincolo condizionante per una carriera professionale, per un lavoro a tempo pieno, per una formazione continua e per l’ottenimento di un salario che rispetti i criteri della parità. Per coloro, poi, che decidono di uscire dal mercato del lavoro (per dedicarsi interamente alla famiglia) la maternità diventa una scelta ancora più forte. Anche quando queste donne si dichiarano soddisfatte della loro condizione di casalinghe (ma solo il 18 percento si dichiara tale), e quindi della loro “scelta”, sanno quanto difficile possa essere il loro eventuale reintegro nel mercato del lavoro. Ma le donne in Ticino riprendono, dopo la maternità, a svolgere un’attività retribuita più per scelta o più per necessità? Sicuramente (è stato messo in evidenza dall’inchiesta), la necessità gioca un ruolo fondamentale. In questo caso, malgrado la maternità, lo stato di bisogno finanziario spinge la donna a riprendere la sua occupazione a tempo pieno, anche a costo di importanti rinunce e sacrifici. Cosa fa la società, in Ticino, per favorire il reinserimento delle donne nel mondo del lavoro in seguito alla maternità? Quando una donna, che è rimasta fuori dal mondo del lavoro per cinque-dieci anni, decide di farvi rientro, si trova a dover affrontare una realtà sempre più agguerrita competitivamente, sempre più mobile, che richiede un grosso sforzo a livello di formazione continua. Nella nostra realtà cantonale, la Divisione della formazione professionale, così come altri enti, si attivano nel proporre corsi d’aggiornamento o agevolare la riqualifica professionale e questo costituisce un buon incentivo per il reinserimento. Nonostante ciò, le donne fanno fatica a svolgere un’attività a tempo pieno perché sentono ancora gravare prevalentemente sulle loro spalle il peso della gestione familiare, dell’educazione dei figli. Mancano ancora sufficienti misure d’appoggio e incentivanti per la loro attività lavorativa, quali una vera assicurazione maternità, asili nido, mense o la messa in atto di misure giuridiche (contratti paritari, sussidi, rendite, ferie ecc.) e misure flessibili che facilitino la ripresa del lavoro dopo un congedo maternità. Non crede che i tagli in ambito sociale limitando – se non sopprimendo – strutture e infrastrutture in appoggio alla famiglia, stiano provocando una battuta d’arresto nel processo d’indipendenza ed autodeterminazione economica e sociale della donna? Personalmente credo che il processo sia inarrestabile; anche se è vero che un minor investimento, a livello di infrastrutture, può rendere il cammino più difficile, in certi casi lo rallenta e sicuramente non lo facilita. Dalle vostre riflessioni conclusive emerge che le donne non sono ancora arrivate a creare un modello che possa conciliare professione, maternità, famiglia e impegno politico. Quali sono i bisogni più importanti delle donne rilevati dal vostro Consultorio Sportello Donna e quali, a loro parere le vie che permetterebbero di armonizzare queste diverse sfere della loro vita? Sono soprattutto le giovani donne – tra i 25 e i 35 anni – a risentirne. Una generazione che è stata spronata a formarsi e studiare perché solo così avrebbe potuto conquistare una condizione paritaria nel mercato del lavoro e che oggi, si ritrova sì con un bagaglio di competenze in più ma, al contempo, con gli stessi oneri familiari delle loro madri e delle loro nonne. E la loro difficoltà emerge proprio in questo costante e impegnativo tentativo di coniugare al meglio le diverse sfere della loro vita. In genere, le donne da noi contattate hanno espresso il desiderio di svolgere la loro professione con soddisfazione e gratificazione e il bisogno di avere a disposizione maggiori strumenti che le aiuti a svolgere il doppio ruolo di madri e professioniste. A questo proposito non dobbiamo dimenticare che le nuove generazioni, per la cura dei propri figli, sempre meno possono fare capo alle loro madri o alle loro nonne, perché ancora in età lavorative e quindi non libere da impegni. Come donna e collaboratrice dell’inchiesta qual è il dato emerso che l’ha colpita di più? Mi ha colpito questo cambiamento in atto che ha visto una nuova generazione di donne acquisire diritti – pari opportunità – e nuove competenze ma che, una volta confrontate con la famiglia e la maternità, si rendono conto che quei diritti non li hanno in realtà acquisiti fino in fondo. E un po’ come se per tutto il corso dei loro studi si fossero preparate ad avere accesso a qualsiasi opportunità lavorativa senza tener conto di quell’evento che poi invece condizionerà tutta la loro vita: la maternità. Un evento che spesso e per molte di loro diventa un nuovo e faticoso punto di partenza. “Donne - Lavoro retribuito, Attività casalinga e soddisfazione”, inchiesta a cura di Osvalda Varini e Cristina Molo per l’Associazione Dialogare-Incontri. Ulteriori informazioni allo 091 / 967.61.51 e presso il sito ; e-mail: .

Pubblicato il

07.03.2003 01:00
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