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«La sorveglianza digitale non riguarda solo le dittature»

Intervista a Philip Di Salvo, ricercatore e docente all’Università di San Gallo, esperto dei rapporti tra giornalismo, sorveglianza e hacking. Il 29 aprile sarà ospite di una serata a Lugano per discutere del tema del controllo del giornalismo tramite le nuove tecnologie.

Attenzione, c’è una spia in redazione! Da sempre, i giornalisti sono stati spiati da governi autoritari e dalle agenzie di sicurezza private In questi ultimi anni, le nuove tecnologie non hanno fatto che amplificare il fenomeno, che si fa sempre più insidioso e che non concerne soltanto i regimi più dispotici.

 

La sorveglianza dei giornalisti e delle giornaliste è il tema della serata pubblica che si terrà domani – martedì 29 aprile, dalle 20.00 – all’auditorium dell’Università della Svizzera italiana in occasione della Giornata internazionale della libertà di stampa (celebrata in tutto il mondo il 3 maggio). L’evento organizzato da varie associazioni e sindacati attivi nel settore del giornalismo e dei diritti umani ospiterà due esperti: Carola Frediani, curatrice del sito e della newsletter “Guerre di rete” e attiva nel team sicurezza informatica di Human Rights Watch e Philip Di Salvo, giornalista, ricercatore e docente all’Università di San Gallo. Ecco l’intervista che abbiamo realizzato proprio con Philip Di Salvo.

 

Philip Di Salvo, una volta la sorveglianza era forse più rudimentale mentre oggi le tecnologie in questo ambito sono sempre più sofisticate. Al punto che non occorre fare niente (aprire o scaricare file) per trovarsi con un Cavallo di Troia nei telefonini. Da un punto di vista tecnico come funziona la sorveglianza?


Gli spyware sono senza dubbio gli strumenti più pericolosi e potenti nell’arsenale della sorveglianza digitale, e i più avanzati tra questi colpiscono senza lasciare alcuna traccia della loro presenza e senza richiedere alcuna azione da parte delle vittime. Questo avviene perché gli spyware sfruttano vulnerabilità dei software o degli hardware per “bucare” la sicurezza di questi prodotti. Si tratta, è bene ricordarlo, di strumenti molto avanzati e costosi che vengono utilizzati in casi di alto profilo e da avversari che posseggono le risorse necessarie a utilizzarli, perlopiù governi o agenzie di intelligence. Non fanno parte, insomma, del modello di rischio della maggior parte dei giornalisti e delle giornaliste. Questo, però, non significa che si debba abbassare la guardia o ignorare il problema. Mantenere una buona igiene digitale, aggiornare i dispositivi e le app costantemente, ad esempio, sono pratiche fondamentali per tutte e tutti.

 

Si pensa spesso che la sorveglianza del giornalismo sia qualcosa che avviene in regimi autoritari lontani. Eppure casi recenti come quello dello spyware Paragon utilizzato dal governo italiano mostrano che il pericolo, anche in Europa, è più concreto che mai. Si tratta a suo avviso di un’eccezione oppure di un caso tra tanti con la particolarità di essere stato scoperto?


Purtroppo, la distinzione tra contesti democratici e non, quando si parla di sorveglianza digitale, è sostanzialmente venuta meno. Il caso italiano che cita è un chiaro esempio e, a mesi dall’esplosione dello scandalo, non è ancora stata fatta chiarezza su quali organi dello Stato abbiano messo sotto sorveglianza giornalisti e attivisti. In democrazia questo non dovrebbe semplicemente succedere. Temo che il caso non sia assolutamente isolato e che, al contrario, le sirene della sorveglianza digitale, complice anche l’efficacia della tecnologia, risuonino anche nelle democrazie più solide. Di certo – ma questo lo sappiamo almeno dalle rivelazioni di Edward Snowden del 2013 – la sorveglianza digitale è assolutamente un fenomeno globale e non riguarda solo le dittature.

 

Dal suo secondo insediamento alla Casa Bianca Donald Trump ha sistematicamente messo sotto attacco la stampa, perlomeno quella a lui ostile. Quali sono i principali punti critici oggi per chi fa giornalismo negli Stati Uniti e quanto è problematica l’alleanza tra il presidente e un oligarca come Elon Musk che non solo controlla a suo piacimento un social network (X, ex Twitter), ma che è anche attivo nel campo dell’intelligenza artificiale (IA)?


La prima amministrazione Trump è stata particolarmente ostile nei confronti della stampa e delle sue fonti, come dimostrano i diversi casi di sorveglianza, di attacchi e di cause legali. La nuova amministrazione Trump è stata eletta anche sulla scia di una retorica antigiornalismo che è stata al centro del messaggio di Trump. È il playbook delle destre, usato senza alcuna remora. Il clima per la stampa negli USA è già peggiorato sensibilmente, come mi hanno detto due esperti che ho intervistato per un mio recente articolo. Mi aspetto certamente una stretta ancora più visibile e attacchi ancora più espliciti. L’alleanza strettissima con il mondo tecnologico, sullo sfondo, va vista nel medesimo contesto. Mentre Elon Musk diventa l’ideologo dell’estrema destra mondiale, proprio in virtù del suo potere sull’ecosistema digitale e dell’informazione, quello a cui si assiste è una fortissima pressione negli ambienti digitali sui temi più cari a Trump. Le scelte di Musk per X e di Zuckerberg per Meta in termini di fact-checking e disinformazione sono un primo segnale. Non mi stupisce, dato che Big Tech dava da tempo segnali di fastidio nei confronti dell’informazione. Ora può farlo anche grazie al lasciapassare ideologico della Casa Bianca.

 

L’intelligenza artificiale è ormai presente nella vita quotidiana, anche in quella dei giornalisti. A che cosa occorre fare attenzione per evitare quelli che mi sembrano i due pericoli maggiori: la propagazione di fake news e il consolidamento di quelle che vengono definite “bolle informative”?


Nel 2024, anno in cui una fetta enorme della popolazione mondiale ha partecipato a elezioni politiche di vario tipo, si temeva che l’IA potesse avere un ruolo decisivo nel decidere queste tornate elettorali. In realtà si è visto molto poco, mentre a dominare sono stati metodi di mis- e disinformazione più comuni e già utilizzati di frequente. Questo è importante perché ci ricorda i pericoli dell’hype anche “in negativo”. Ciò detto, l’IA ha certamente le potenzialità di essere utilizzata per fare questo genere di campagne di disturbo e in parte sta già avvenendo. Dal punto di vista del giornalismo, l’IA offre molte possibilità di sostegno e potenzialità per assistere i giornalisti nel loro lavoro, anche in quello investigativo. Toccherà ai gruppi editoriali prendere decisioni illuminate sull’utilizzo di questi strumenti affinché non diventino solo scelte strategiche per tagliare budget e costi, limitando la presenza degli umani nel lavoro giornalistico. In quel caso il rischio di impoverire la qualità e l’affidabilità dei contenuti sarà tangibile e pericoloso. Al contrario, se tramite l’IA i giornalisti possono sbobinare un’intervista come questa in pochi minuti invece che in diverse ore, ad esempio, non vedo problemi, solo benefici.

 

Se il giornalismo è sotto attacco, o sotto sorveglianza, è però anche grazie allo stesso  giornalismo che certe pratiche – come ad esempio le responsabilità dell’industria tech nella guerra a Gaza – vengono alla luce. In che modo la tecnologia può passare dall’essere strumento di sorveglianza a strumento per sorvegliare? Quale l’importanza di una sorta di alleanza tra giornalisti, attivisti e hacker?


Sono diverse le pratiche giornalistiche dove la componente “hacker” è diventata fondamentale negli ultimi anni, specialmente nel giornalismo di inchiesta. Nell’analisi dei dati, nella sicurezza informatica e nelle pratiche OSINT di indagine, è ormai comune trovare una componente di questo tipo. Quello che credo sia fondamentale è continuare a guardare alla tecnologia anche come a un oggetto di indagine, ed è fondamentale per i giornalisti indagarla apertamente, specialmente per svelarne i tratti di potere più evidenti e le sue ripercussioni sociali più pericolose. Queste tecnologie sono spesso delle scatole nere senza trasparenza e, come per qualsiasi altra forma di potere, il ruolo del giornalismo è svelarne i meccanismi.

Pubblicato il

28.04.2025 13:47
Federico Franchini
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