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La ribellione visibile di un ex bracciante invisibile

La storia dell’attivista Yvan Sagnet che il 5 maggio sarà a Winterthur per parlare della sua esperienza e del suo impegno contro lo sfruttamento nei campi

Per Jean Pierre Yvan Sagnet, l’Italia è sempre stato il Paese dei sogni, l’utopia a cui ambire. Arrivato nel 2007 nella Penisola dal Camerun, si è accorto ben presto della dura realtà ed è diventato senza volerlo voce degli sfruttati e delle sfruttate della filiera agroalimentare italiana. Dopo un’esperienza nel sindacato CGIL, ha dato vita a NoCap, associazione che si batte per un modello di agricoltura etica e sostenibile, contro caporalato e assenza di diritti. Lunedì 5 maggio Sagnet sarà ospite della Cooperativa di Winterthur. area lo ha incontrato.

 

C’è un’immagine che ha segnato l’inizio della passione di Jean Pierre Yvan Sagnet per l’Italia: quella degli Azzurri in campo durante i Mondiali di Italia ’90, un torneo che per lui era il simbolo di un sogno possibile. In quella stessa estate, la nazionale camerunense lasciava intravedere un futuro roseo per il calcio africano, ma per Sagnet, l’Italia rappresentava un’altra magia: l’ambizione di un futuro diverso, dove la passione calcistica si intrecciava con l’idea di un Paese accogliente e prospero.

 

L’amore non corrisposto

Arrivato a Torino con una borsa di studio si accorge subito che la simpatia di Totò Schillaci non la fa da padrone: la burocrazia è tutt’altro che accogliente e la freddezza del contesto sociale torinese non lo aiuta. Una volta persa la borsa di studio, per guadagnarsi da vivere, decide di trovarsi un lavoro estivo in Meridione e finisce in Puglia. Così ci racconta il suo primo impatto con le campagne pugliesi: «Attraverso un amico ho trovato lavoro nelle campagne di Nardò e, arrivato lì, sono rimasto scioccato: era un vero e proprio ghetto, una baraccopoli più che fatiscente, peggio delle favelas. Oltre 1000 lavoratori vivevano in case fatte di plastica, legno e cartone. C’erano soltanto cinque bagni in tutto per l’igiene personale. Io mi sono ritrovato a dormire all’ombra di un’automobile su un materasso di fortuna. Il sogno italiano è completamente svanito in quel momento e ho scoperto il lato oscuro di quello che oggi è il mio secondo Paese». Dopo l’impatto con il ghetto arriva quello con il caporale, ovvero l’intermediario tra gli sfruttatori, quasi tutti di nazionalità italiana, e la manodopera: «Il caporale di turno mi ha sottratto subito i documenti e li ha utilizzati per circa un mese per far lavorare qualcun altro». Tornati i documenti, Sagnet comincia a lavorare a cottimo guadagnando 3 euro e mezzo per ogni cassone da 300 Kg di pomodori raccolti con orari impossibili: «Lavoravo dalle 5 di mattina alle 7 di sera sotto il sole cocente. La poca esperienza mi permetteva di raccogliere meno di 20 euro al giorno. Come se non bastasse, al magro salario mi venivano sottratti dal caporale euro per il trasporto sui campi e per il panino e così mi rimaneva in tasca poco nulla. Ero psicologicamente distrutto».

 

La rabbia che esplode

Il caporalato in Italia non è stato importato dagli immigrati, come molti pensano, ma ha una lunga tradizione aggravata anche alla presenza della criminalità organizzata. Al giorno d’oggi si è semplicemente rafforzato a causa di una legislazione che facilita lo sfruttamento. Secondo Sagnet, «è la legge Bossi-Fini che produce condizioni prossime alla schiavitù, perché lega a doppio filo la permanenza in Italia a un contratto di lavoro. Anche il reato di clandestinità, introdotto negli scorsi anni dalle destre, fa sì che gli sfruttati senza documenti non denuncino». Quando però non si ha davvero nulla da perdere, la rivolta è dietro l’angolo. Nell’estate del 2011, Sagnet e compagni di lavoro danno vita a una protesta entrata ormai nei libri di Storia: «Tutto è nato da un alterco tra noi e il caporale per nuove tecniche di raccolta molto complesse che non permettevano di riempire i cassoni con un buon ritmo. Abbiamo chiesto un adeguamento del compenso per ogni cassetta, ma ci è stato rifiutato. Siamo entrati in sciopero. Io, conoscendo la lingua, sono diventato il portavoce della protesta portata avanti da centinaia di persone provenienti da molti Paesi differenti, che spesso non si capivano l’uno con l’altro. Abbiamo deciso addirittura di bloccare una strada importante che passa da Nardò. Abbiamo creato 12 chilometri di coda e attirato così l’attenzione di mezzo Paese. Insomma, con la nostra forma di protesta estrema siamo riusciti a uscire dall’invisibilità». La CGIL ha sostenuto quelle lotte, la politica si è accorta di essere di fronte a delle polveriere pronte a esplodere e la magistratura ha finalmente drizzato le antenne. Negli anni successivi, Sagnet entra proprio nella FLAI-CGIL, il sindacato dell’agricoltura, e avvengono avvenimenti importanti per l’Italia e per l’Europa: è introdotto il reato di caporalato con una Legge del 2016 e ha luogo un importante processo sulla riduzione in schiavitù, concluso con la condanna di imprenditori e caporali.

 

In Svizzera

Cessata l’attività sindacale, Yvan Sagnet fonda NoCap, una rete di contrasto al caporalato che, stando proprio alle parole dell’attivista, «crea e supporta realtà agricole rispettose della legge, portando sui mercati prodotti sostenibili dal punto di vista sociale». Una realtà, prosegue Sagnet, che «ha tolto dai ghetti centinaia di persone garantendo salari e alloggi dignitosi». Oggi NoCap è un marchio riconosciuto anche nel contesto svizzero, arrivato qui grazie ad alcune realtà economiche impegnate nell’importazione. In Svizzera, Yvan Sagnet, che lunedì 5 maggio sarà ospite della Cooperativa di Winterthur per parlare dell’attuale situazione dei migranti e delle loro prospettive, ha attirato negli ultimi anni anche l’attenzione di registi di primo livello: è lui il protagonista del film di Milo Rau, Das neue Evangelium, un’opera straordinaria e fuori dal comune a favore dei dannati della terra; è inoltre tra i protagonisti dell’ultimo documentario di Samir, La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri. Una presenza non secondaria, in questo documentario dedicato all’epopea del movimento operaio straniero in Svizzera, che ci ricorda la variabilità delle geografie dello sfruttamento tra Novecento e contemporaneità.

Pubblicato il

04.05.2025 07:01
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