La rabbia di Monsieur Couchepin

Al Festival di Locarno la politica ha fatto almeno tanto discutere quanto i film. Al centro dell’attenzione s’è (im)posto il capo del Dipartimento federale dell’interno (Dfi) Pascal Couchepin. Che, un po’ sollecitato ad arte, un po’ sguinzagliando a destra e a manca i suoi collaboratori perché gli piazzassero più interviste possibile sui giornali, ha annunciato che è in corso un’inchiesta amministrativa per far luce sulle modalità di finanziamento della produzione cinematografica da parte della Confederazione. Il tutto con esplicite accuse: per Couchepin la cultura in Svizzera sarebbe omologata al pensiero unico di sinistra, l’Ufficio federale della cultura sarebbe troppo poco dinamico e nel finanziamento pubblico del cinema dominerebbe il nepotismo a vantaggio di una ben definita cricca di amici. Bersaglio della rabbia di Couchepin: il capo della Sezione cinema Marc Wehrlin ma soprattutto il direttore dell’Ufficio federale della cultura David Streiff. La rabbia di Couchepin in realtà ha motivazioni molto personali e assai poco politiche. A far da detonatore è stata una battutaccia a sfondo sessuale contenuta nel film satirico “Bienvenue en Suisse” di Lea Fazer, una coproduzione franco-svizzera presentata nella selezione ufficiale al Festival di Cannes dello scorso mese di maggio e sostenuta dalla Confederazione con l’importo di 500 mila franchi (il massimo ammesso per una coproduzione). In quella commedia c’è un personaggio che si chiama Aloïs Couchepin il cui cognome in un’occasione viene storpiato in “Couchepine” (“pine” in gergo francofono significa pene). Il consigliere federale l’ha saputo leggendo un articolo del consigliere nazionale comunista Joseph Zisyadis, pubblicato il 27 giugno su “Le Matin”, prima ancora che il film uscisse nelle sale. In Romandia s’è scatenato il finimondo. E Couchepin ha subito convocato Wehrlin, chiedendogli in particolare perché non sia stato informato della presenza di quella battuta nella sceneggiatura. La spiegazione che la libertà d’espressione vale anche per i cineasti e le scuse espresse da Wehrlin su “Le Matin” del 4 luglio non hanno evidentemente convinto Couchepin. Che il 5 luglio ha dato mandato all’avvocato bernese Frank Seethaler di eseguire un’inchiesta amministrativa per rispondere a due quesiti: come funziona la ripartizione dei soldi destinati dalla Confederazione alla produzione cinematografica svizzera? E ci sono aspetti che vanno migliorati nel sistema? La Confederazione dispone di un budget annuo di circa 33,5 milioni destinato al cinema svizzero, di cui 22 milioni sono riservati alla produzione, mentre i restanti 11 servono alla diffusione della produzione nazionale in Svizzera e all’estero, alla formazione dei professionisti del settore, alla promozione della cultura cinematografica e alla gestione degli archivi. Seethaler dovrà consegnare il suo rapporto entro l’11 ottobre. Alla Sezione cinema sono sereni, convinti che nulla d’irregolare emergerà dall’inchiesta. Dello stesso parere è l’ex presidente della Commissione federale per il cinema Andreas Iten. L’arrabbiatura personale di Couchepin però non basta da sola a spiegare il polverone che sta investendo in queste settimane la cultura svizzera. A monte c’è infatti la pressione che un nutrito gruppo di cineasti romandi soprattutto della giovane generazione (Romed Wyder, François-Christophe Marzal, Vincent Pluss, Xavier Ruiz e altri) esercita da parecchio tempo contro Wehrlin, accusato di favorire i grossi produttori svizzero-tedeschi. Gli si rimprovera in particolare il meccanismo di “Succès cinéma” che compensa con crediti supplementari per il prossimo film quei registi il cui ultimo lavoro ha ottenuto un buon successo nelle sale, un meccanismo che, per le dimensioni del mercato di riferimento, favorisce naturalmente i film girati in tedesco. Però proprio in questi mesi lo stesso Wehrlin con i rappresentanti delle associazioni professionali romande sta studiando dei correttivi per porre rimedio a questa distorsione. Inoltre a Wehrlin si rimprovera un eccesso di formalismo, ciò che finirebbe con l’ostacolare anziché promuovere la produzione cinematografica. Ma molti vedono nella concomitanza e nella virulenza degli attacchi delle scorse settimane più che altro un tentativo di liberarsi di David Streiff dalla testa dell’Ufficio federale della cultura. Streiff da più parti viene accusato di avere una concezione vecchia e burocratica della promozione della cultura. Così c’è chi spera che Couchepin faccia oggi ciò che non aveva avuto il tempo o l’ardire di fare al momento di assumere la direzione del Dfi: silurare Streiff (cfr. area n. 39 del 20 dicembre 2002). Fra i due, si sa, non è mai corso buon sangue. Sullo sfondo rimane l’eterna frustrazione dei romandi, stufi di vedere concentrarsi, a loro dire, le più importanti istituzioni e i più grossi investimenti nella cultura a Zurigo e dintorni (un caso su tutti: il museo della fotografia di Winterthur). Ma non sono stati soltanto i romandi a dar sfogo ai loro rancori personali nelle scorse settimane: fra i germanofoni si sono distinti il regista Samir e la produttrice Ruth Waldburger. E si sussurra già il nome del successore di Streiff: sarebbe Nicolas Bideau, figlio dell’attore ginevrino Jean-Luc. Oggi Bideau guida il centro di competenze della politica estera in materia culturale al Dipartimento federale degli affari esteri: Couchepin lo ha conosciuto e apprezzato nel corso del suo anno presidenziale, quando gli è stato “prestato” come assistente personale. Fatto sta che il giocattolo sembra sfuggito di mano a coloro che hanno cercato di orchestrare l’operazione: anche perché nel frattempo molti altri baroni della cultura non solo romanda hanno cercato di impadronirsi della polemica per gestirla a fini propri. Una delle proposte più concrete: scorporare la promozione del cinema dall’amministrazione federale per creare un Istituto di cinema indipendente. Colpisce comunque che pochi esponenti del mondo del cinema abbiano finora dimostrato solidarietà a Wehrlin, Streiff e ai funzionari della Sezione cinema: pubblicamente il solo Richard Dindo s’è esposto con un lungo articolo su “Le Temps”. Di certo per ora rimangono le dichiarazioni rilasciate da Couchepin alla stampa in occasione del Festival di Locarno. Che, in un’intervista a “Le Temps” del 7 agosto, ha cominciato con il definire la Sezione cinema «un’istanza unilaterale ripiegata sulle sue opinioni», specificando poi che «il piccolo mondo che distribuisce i fondi in quest’ambito sembra credere (…) di essere investito di una missione pressoché divina». Il pensiero di Couchepin s’è fatto più chiaro il 12 agosto su “L’hebdo”: «Attualmente la cultura soffre molto per il suo legame sociologico con la sinistra. In particolare per l’aumento degli aiuti pubblici gli ambienti di sinistra sono diventati i clienti principali della cultura ufficiale. La stanno colonizzando». Per chiosare, con involontaria autoironia: «come liberale dimostro un estremo pudore quando si tratta di interventi di politici nella cultura (…). Ho orrore di tutto ciò che potrebbe somigliare ad una volontà di censura». Ma censurare non è semplice Decidere se la Confederazione debba finanziare o meno un film che contiene una battuta un po’ pesante su un consigliere federale non è così semplice come in apparenza potrebbe sembrare. Lo dimostra proprio il “casus belli” che ha fatto scoppiare la polemica, “Bienvenue en Suisse” di Lea Fazer. La competenza è della Sezione cinema dell’Ufficio federale della cultura che, per tutte le questioni tecniche, si basa sul parere non vincolante di una commissione di esperti. In questa commissione siedono rappresentanti del settore cinematografico svizzero (registi, produttori, sceneggiatori, tecnici): spetta a loro ad esempio valutare se i soldi preventivati per l’affitto delle apparecchiature di ripresa siano sufficienti o se la sceneggiatura sia scritta in modo tale da ridurre al minimo gli inconvenienti sul set. Alla Sezione cinema quindi rimane di fatto soltanto l’esame della correttezza formale della richiesta. Rispetto al film “Bienvenue en Suisse” Couchepin rimprovera alla Sezione cinema di non averlo informato della battuta che lo riguarda. Il capo della Sezione, Marc Wehrlin, a sua volta ammette che la commissione che ha esaminato il dossier ha sottovalutato la questione. Ma il problema non è comunque di facile soluzione: sarebbe stato più giusto ad esempio negare il credito di Berna pur sapendo che il film aveva già trovato dei finanziamenti francesi (oltre al sostegno di Svizzera Turismo) e un distributore per la Francia (che poi lo ha fatto uscire in ben 120 copie)? In altri termini: una battuta su un consigliere federale era motivo sufficiente per impedire di lavorare a decine di persone interessate da un progetto che appariva molto ben avviato? Un punto critico nel sistema di finanziamento del cinema svizzero da parte della Confederazione indubbiamente esiste: nelle diverse commissioni di valutazione siedono persone che a loro volta sottopongono progetti con la richiesta di finanziamento per i loro film. Pur applicando tutte le cautele necessarie il sistema è a rischio: tutti si conoscono e ognuno finisce col dipendere dall’altro. Ma è, in un paese piccolo come la Svizzera, un problema di difficile soluzione. Senza dimenticare che alla prova dei fatti il sistema ha comunque dato buona prova di sé: su 92 dossier sottoposti nel 2003 alla commissione che esamina le richieste di finanziamento di lungometraggi per il cinema, 39 hanno avuto un preavviso favorevole e ben 54 un preavviso negativo.

Pubblicato il

27.08.2004 03:00
Gianfranco Helbling