In evidenza

Cerca

Politica

La politica corre in soccorso dell'industria militare

In un contesto internazionale sempre più teso, l’industria bellica svizzera ha mosso le proprie pedine politiche per favorire l’esportazione di armamenti  verso i Paesi della NATO, anche  se in guerra

«La situazione è drammatica». Lo scorso 11 giugno, rivolgendosi al Consiglio degli Stati, il senatore argoviese Thierry Burkart non stava facendo riferimento all’attuale crisi internazionale e alle conseguenti catastrofi umanitarie. Il suo preambolo riguardava lo stato di salute dell’industria bellica, a suo dire «bisognosa di sostegno per sopravvivere». Il presidente uscente del PLR è stato il promotore della modifica legislativa che permetterà l’esportazione agevolata di materiale bellico a 25 paesi, tra cui gli Stati Uniti e molti altri membri della NATO.

 

La Camera dei Cantoni ha seguito anche la proposta dello stesso Burkart per permettere a questi Stati di trasferire a un altro paese il materiale bellico svizzero. “Un passo nella buona direzione” ha dichiarato l’Unione svizzera delle arti e dei mestieri (USAM), presieduta dal ticinese Fabio Regazzi (Centro), senatore e membro della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati (CPS). Per la sinistra e per il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) – che ha già annunciato il referendum nel caso in cui, a settembre, il Consiglio nazionale darà il via libera alla riforma – la modifica comporta il rischio che le armi elvetiche possano finire in teatri di guerra o a Stati che non rispettano i diritti umani come Israele o l’Arabia Saudita. Senza contare che tra i 25 paesi a cui si potranno inviare senza autorizzazione armi e munizioni ci sono gli Stati Uniti di Donald Trump, l’Ungheria di Viktor Orban o l’Argentina di Javier Milei: tutto, insomma, fuorché degli Stati raccomandabili.


L’Alleanza di Thierry Burkart

La proposta di Burkart non è arrivata a caso: è figlia di un’intensa attività di lobbying dell’industria dell’armamento, la quale, approfittando del mutato contesto internazionale, ha voluto rapidamente rendere vane le restrizioni messe in atto dallo stesso Parlamento nell’ambito della cosiddetta “Iniziativa correttiva”.

 

Lanciata nel 2018 da una coalizione di sinistra, quest’ultima chiedeva di inserire nella legge dei criteri per evitare l’esportazione di materiale bellico verso paesi teatro di guerre civili. La proposta era stata ritirata nel 2021 dopo che le Camere avevano validato un controprogetto giudicato soddisfacente dagli iniziativisti. Le misure sono entrate in vigore nel 2022. Da allora, l’industria bellica svizzera si è attivata muovendo le proprie pedine politiche che, a suon di atti parlamentari, hanno spianato il terreno per eliminare rapidamente le nuove restrizioni.

 

Capofila dei rappresentanti del settore in Parlamento è proprio Thierry Burkart, capitano dell’esercito e presidente di Alleanza Sicurezza Svizzera. Questa organizzazione, fondata nel 2021, si pone come obiettivo quello di “contrastare il GSsE” e creare una “nuova narrazione della politica di sicurezza”, attraverso un’alleanza che riunisce i principali attori del settore. L’organizzazione, basata a Baden, presso l’ex responsabile delle campagne del PLR svizzero Marcel Schuler, ha due vicepresidenti: il consigliere di Stato ticinese Norman Gobbi (Lega/UDC) e la consigliera agli Stati, Brigitte Häberli-Koller (TG/Centro), membro della CPS e firmataria di un’interrogazione con la quale, lo scorso settembre, ha reso attento il Consiglio federale della “situazione allarmante” dell’industria bellica elvetica.

 

Un altro membro influente di Alleanza Sicurezza Svizzera è il senatore Werner Salzmann (UDC/BE), colonnello dell’esercito, già presidente della CPS, e da sempre in prima fila sulle questioni politico-militari. Salzmann era stato il principale oppositore in Parlamento della privatizzazione di RUAG Ammotec, la società allora di proprietà della Confederazione specializzata nella produzione di munizioni. “Autodeterminazione” e “sicurezza degli approvvigionamenti”, questi gli argomenti utilizzati dal senatore in quell’occasione. Nel 2022 RUAG Ammotec è stata venduta all’italiana Beretta diventando SwissP Defence. L’azienda, dopo aver promesso di mantenere produzioni e impieghi in Svizzera ha evocato lo scorso febbraio la possibilità di delocalizzare all’estero. In soccorso dell’impresa italiana si è così schierato lo stesso Salzmann e i senatori dell’UDC che, approvando le modifiche di legge, hanno messo in secondo piano la tanto declamata neutralità.

 

Il lobbista degli armamenti

Tra i membri di comitato dell’Associazione Sicurezza Svizzera, a fianco di altri politici di centro-destra, troviamo vari rappresentanti del mondo militare e dell’industria. Fra questi, in particolare, occorre considerare un nome: Matthias Zoller. È lui il principale lobbista dell’industria dell’armamento a livello federale. In qualità di segretario generale di SWISS ASD – il gruppo professionale all’interno di Swissmem che raggruppa le aziende attive a livello internazionale nel campo delle tecnologie di difesa, sicurezza e del settore dell’aviazione – firma comunicati, rilascia interviste e prese di posizione. Negli ultimi mesi la leva è stata la situazione di crisi dell’industria bellica svizzera nel contesto internazionale della corsa al riarmo. In effetti, lo scorso anno le esportazioni di materiale bellico autorizzate dalla SECO sono diminuite del 5%, dopo che erano già crollate del 27% nel 2023. «Il mondo intero si sta riarmando, mentre l’industria svizzera degli armamenti è con le spalle al muro» ha così affermato lo stesso Zoller. In causa: le leggi elvetiche che rendono impossibili le esportazioni verso paesi in guerra e la riesportazione. Norme che hanno fatto sì che alcuni paesi, come l’Olanda o la Germania, abbiano deciso di rinunciare all’acquisto di armi svizzere e che ha spinto alcune aziende a delocalizzare all’estero parte della produzione.

 

Lo scorso primo aprile la CPS del Consiglio degli Stati ha deciso di proporre così un allentamento della prassi di autorizzazione per gli affari con l’estero. Una proposta, poi avallata dal Consiglio degli Stati lo scorso 11 giugno, applaudita anche da un altro attore della lobby dell’industria bellica: il Gruppo di lavoro sicurezza ed economia (ASUW/CTSE), una sorta di tavolo politico del settore all’interno di Swissmem. Questo organo, gestito dallo stesso Matthias Zoller, ha tre co-presidenti politici, tutti membri della CPS della rispettiva Camera: l’attuale presidente del Consiglio nazionale, Maja Riniker (PLR/AG), il consigliere nazionale Michael Götte (UDC/SG) e il consigliere agli Stati Charles Juillard (Centro, JU); tutti e tre sono membri delle rispettive CPS.

 

L’azione dell’ASUW/CTSE è coadiuvata dalle cerchie industriali, di cui fa parte anche il Gruppo materiale difesa e sicurezza della Svizzera italiana (GMDS). Quest’associazione, presieduta dall’ex senatore e attuale municipale di Lugano Filippo Lombardi, ha come segretario generale Maria Luisa Bernini Burkhard. Titolare di un’agenzia di comunicazione, la donna, durante la recente sessione parlamentare, ha avuto un accesso diretto alla zona esclusiva di Palazzo federale grazie all’accredito che le è stato rilasciato dal consigliere nazionale Lorenzo Quadri (Lega/TI).

Pubblicato il

26.06.2025 15:19
Federico Franchini
Editore

Sindacato Unia

Direzione

Claudio Carrer

Redazione

Federica Bassi

Francesco Bonsaver

Raffaella Brignoni

Federico Franchini

Mattia Lento

Indirizzo
Redazione area
Via Canonica 3
CP 1344
CH-6901 Lugano
Contatto
info@areaonline.ch

Inserzioni pubblicitarie

Tariffe pubblicitarie

T. +4191 912 33 88
info@areaonline.ch

Abbonamenti

T. +4191 912 33 80
Formulario online

INFO

Su di noi

Iscrizione newsletter

Impressum

Privacy Policy

Cookies Policy