Nelle ultime settimane sono apparse, in sequenza, varie notizie che avevano sempre, nella sostanza o nel riferimento, un solo protagonista e un solo nome: l’oro. Una prima notizia che ha suscitato scalpore, occupando le prime pagine dei nostri telegiornali o dei giornali, è che dall’Africa non arrivano solo “rifugiati”, ma anche tonnellate d’oro di contrabbando: 435, l’equivalente di oltre 30 miliardi di dollari. La Svizzera risulta fra i tre paesi che maggiormente ricorrono a questo “illegale” prezioso metallo. La maggior parte dell’oro africano, circa l’80 per cento della produzione industriale e artigianale, finisce a Dubai (Emirati Arabi Uniti) e da qui esportato altrove; la Svizzera è il secondo maggiore importatore. Risulta che in dieci anni ha importato 1.670 tonnellate di quell’oro “potenzialmente legato a conflitti o violazioni dei diritti dell’uomo”. La Svizzera, con la Banca Nazionale che dispone di 1.040 tonnellate d’oro, risulta il paese con la maggior quantità di oro per abitante. Un’altra notizia è il ritorno della “corsa all’oro” o il mito dell’unica divinità che ti dà sicurezza: in sei mesi si è apprezzato di quasi il 20 per cento; per un solo grammo ci vogliono 70 franchi (31 maggio). La nuova corsa è spiegata con l’allineamento di tre motivi: le tensioni geopolitiche, soprattutto nel Vicino Oriente; la prospettiva di un abbassamento dei tassi di interesse da parte della FED, la Banca centrale americana; la forte richiesta di oro da parte delle Banche centrali le quali, come risulta dai dati dei primi tre mesi di quest’anno (acquisti per 290 tonnellate stando alle statistiche del Consiglio mondiale dell’oro pubblicate alla fine di aprile), non hanno mai acquistato tanto oro come attualmente per rafforzare le loro riserve, forse un poco più scettiche nei confronti del dollaro, riserva universale, quasi fossero le prime preoccupate di incappare in giorni grami. Con questa configurazione, alcuni analisti ritengono che l’oro potrebbe schizzare verso un nuovo primato: i tremila dollari l’oncia (un’oncia equivale a 31 grammi; un lingotto di 1 kg corrisponde a 32 once). L’investimento nell’oro non apporta nessun interesse o rendimento particolare, ma la sua valorizzazione di mercato lo trasforma in relativa sicurezza o perlomeno “resistenza” (anche di fronte, supponiamo, ad altri fallimenti bancari o svalutazioni monetarie). Se ne possono quindi trarre due considerazioni. Quando riappare, prepotente, la “barbara reliquia” (come lo definiva per la sua vera insignificanza economica il grande economista britannico John Maynard Keynes), spesso anche assieme a chi agita, apocalitticamente, la Bibbia (aggiungeva un mio anziano professore di storia economica), non è mai un buon segno. “All’idea di quel metallo portentoso, onnipossente… un vulcano la mia mente”, canta invece Figaro nel Barbiere di Siviglia. Le incertezze geopolitiche creano ansia e accrescono la sfiducia: allora si moltiplicano quelli che si rifugiano nel “vulcano”. Nella Svizzera l’oro sembra invece una parte della sua identità, una certezza nazionale: la poca o nulla fiducia negli altri, in quelli che ti circondano (come l’Europa), la ferma convinzione che valgono i forzieri, preferibilmente con tanto oro. Anche se, in verità, abbiamo respinto dieci anni fa un’iniziativa proveniente non a caso dalla destra che si denominava “Salvate l’oro della Svizzera”, che voleva costringere la Banca Nazionale a detenere almeno il 20 per cento delle sue riserve in oro, legandole però pericolosamente le mani. |