La notte delle venditrici

Si apre un nuovo capitolo dell'offensiva padronale volta a generalizzare il lavoro notturno e domenicale nel settore della vendita. Dopo aver ottenuto nel 2005 in votazione popolare la liberalizzazione degli orari di apertura nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti e in seguito, attraverso una modifica della Legge sul lavoro votata dal Parlamento, la possibilità per i Cantoni di autorizzare quattro aperture domenicali all'anno, i fautori dello "shopping non stop" hanno individuato un nuovo obiettivo: i negozi annessi alle stazioni di servizio situati nelle aree di sosta autostradali e lungo i grandi assi stradali.

Un'iniziativa parlamentare volta ad autorizzare l'impiego di personale anche la domenica e durante la notte in circa 1'300 punti vendita in tutta la Svizzera sarà discussa proprio settimana prossima dalla Commissione dell'economia e dei tributi (Cet) del Consiglio nazionale. Presentata dal deputato liberale ginevrino Christian Lüscher (noto anche per aver tentato un anno fa la scalata al Consiglio federale quale successore di Pascal Couchepin), essa prevede un ennesimo allentamento delle norme della legislazione sul lavoro che tutelano la salute delle salariate e dei salariati nel settore della vendita. Un aspetto questo che il mancato ministro ginevrino non prende nemmeno in considerazione nel motivare la proposta: «Nelle regioni urbane e nelle grandi città i negozi nelle stazioni di servizio rispondono a bisogni effettivamente presenti nella popolazione». Lüscher cita in particolare «agenti di polizia, taxisti e altri operatori» che necessiterebbero di «effettuare determinati acquisti» durante il servizio.
Ci vorranno mesi prima che il Parlamento prenda una decisione in merito, ma si tratta di un'iniziativa che merita attenzione. Almeno per due motivi.
Innanzitutto perché dopo la votazione del 27 novembre 2005 sull'apertura festiva dei commerci nelle stazioni (approvata solo dal 50,5 per cento del popolo grazie al voto decisivo di Zurigo e respinta da ben 19 Cantoni!) a livello federale (diversa è la situazione sul piano cantonale e locale dove i tentativi di liberalizzazione si susseguono dagli anni Novanta) è regnata per qualche anno un certa prudenza. Lo dimostra per esempio la netta bocciatura da parte del Nazionale poche settimane dopo quel voto di una mozione che mirava a liberalizzare totalmente il lavoro domenicale nel settore del commercio e dei servizi e che aveva già ottenuto il via libera dalla Cet e in precedenza dalla Camera dei Cantoni. L'idea in origine piaceva anche al Consiglio federale, il quale però capì che i tempi non erano ancora maturi e accolse la decisione del Nazionale con sollievo. «Non era il caso di precipitare i tempi», commentò l'allora ministro dell'economia Joseph Deiss. Ora, a meno di cinque anni di distanza, sarà interessante vedere se i fautori della liberalizzazione totale se la sentiranno di spingere sull'acceleratore oppure se si manterranno entro i margini della prudenza.
Ma il dibattito che prende avvio lunedì in commissione merita attenzione anche perché solo un mese fa il Tribunale federale (Tf) ha pubblicato un'interessante sentenza attraverso cui intima a diverse stazioni di benzina della regione di Zurigo la chiusura dei negozietti annessi tra la 1 e le 5 di notte. Una sentenza in cui la massima autorità giudiziaria svizzera ribadisce che il lavoro notturno e domenicale «deve restare l'eccezione». «La vendita di prodotti di consumo quotidiano durante la notte non può essere considerata come un "bisogno particolare" e dunque non giustifica la deroga al principio del divieto del lavoro notturno previsto dalla Legge sul lavoro», scrive il Tf.
Secondo il sindacato Unia, che proprio oggi ha presentato il suo punto di vista in una conferenza stampa a Berna, la sentenza è una «pietra miliare nella battaglia contro il lavoro 24 ore su 24», poiché «riconosce che la tutela della salute e della vita sociale dei lavoratori ha un valore superiore dell'interesse al profitto dei gestori dei negozi». È infatti noto che la flessibilizzazione degli orari di lavoro, in particolare l'aumento del lavoro durante le ore notturne, produce danni alla salute dei dipendenti: disturbi del sonno, del ritmo cardiaco e della digestione, oltre che aumento dello stress.
Secondo l'organizzazione sindacale, la decisione del Tf rappresenta «un segnale forte» contro la «totale liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi che viene propagandata dalle grandi catene del commercio al dettaglio».
Unia attende dunque con particolare interesse le decisioni che saranno adottate dal Parlamento nell'ambito dell'esame dell'iniziativa di Christian Lüscher e già sin d'ora preannuncia che se la maggioranza borghese dovesse effettivamente cancellare le norme a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori delle stazioni di benzina, «il lancio di un referendum sarà esaminato».

Un problema dell'intera società
Vania Alleva (Unia): «L'estensione del tempo di lavoro nella vendita ha effetti anche su altri settori e sulla vita dell'intera comunità»

«È difficile valutare oggi le possibilità di successo a livello parlamentare dell'iniziativa di Christian Lüscher. Si tratta però di un'iniziativa molto radicale e pericolosa perché utilizzata come "ariete" nell'ambito di una strategia di più ampio respiro del padronato, volta a estendere progressivamente gli orari di apertura dei negozi e così peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro e di vita del personale della vendita». Per Vania Alleva, membro della direzione del sindacato Unia e responsabile del settore terziario, quello che sta per prendere avvio a Berna è un dibattito che va seguito attentamente e combattuto con decisione, indipendentemente da quello che potrà essere l'esito finale: «Il fatto stesso che questa iniziativa sia stata depositata è un segnale che le rivendicazioni in materia di condizioni di lavoro delle venditrici e dei venditori non vengono prese abbastanza sul serio, come del resto è successo negli ultimi anni in numerosi cantoni. Durante la campagna precedente la votazione del 2005 sull'apertura domenicale dei negozi nelle stazioni e negli aeroporti (e anche successivamente) il padronato aveva più volte ripetuto che non avrebbe avanzato rivendicazioni che andassero oltre. In realtà, a vari livelli, si è registrata una tendenza opposta».
E lo stesso discorso vale per la tutela delle le condizioni di lavoro mediante contratti collettivi (Ccl)...
Dal 2005 a oggi non è stato sottoscritto un solo contratto collettivo in questo settore, che oltretutto è uno tra i meno regolamentati: pochi contratti collettivi aziendali e pochissimi regionali (solo il Canton Ginevra e la città di Losanna conoscono un Ccl di obbligatorietà generale). Ma di questo purtroppo si parla troppo poco quando si dibatte di orari di apertura dei negozi.
Nel Paese, in occasione delle varie votazioni popolari che si susseguono ormai dagli anni Novanta, si manifesta un po' ovunque una certa resistenza all'estensione degli orari di apertura dei negozi. Significa che i cittadini sono sensibili alle condizioni di lavoro del personale oppure che, come consumatori, non sentono il bisogno di poter acquistare ogni cosa a qualsiasi ora del giorno e della notte?
Penso per entrambe le ragioni. La gente da un lato non è oggettivamente interessata allo "shopping non stop" e dall'altro si rende conto cosa significa dover lavorare fino alla sera tardi o la domenica. E non solo per il personale dei negozi: l'estensione degli orari di lavoro nel settore del commercio (la sera, la notte o la domenica) produce infatti una reazione a catena che coinvolge anche altri settori. Se un negozio tiene aperto ha bisogno dei fornitori per avere la merce fresca, del personale di pulizia e della manutenzione dell'infrastruttura (per esempio per il sistema informatico). La maggioranza della popolazione è insomma cosciente che questo non è un tema che riguarda solo le venditrici e i venditori, ma ha implicazioni che riguardano anche la famiglia e la vita sociale in generale.
In che misura per il sindacato sono accettabili delle deroghe, per esempio nelle regioni cosiddette "turistiche"?
Il sindacato pretende l'applicazione delle leggi in vigore e si oppone a interpretazioni estensive del concetto di "zona turistica". È uno degli argomenti più pericolosi sul fronte della deregolamentazione. A Landquart, per esempio, le autorità hanno concesso una deroga in materia di orari dei negozi (apertura domenicale) ad un outlet, in virtù della sua ubicazione in "zona turistica", quando in realtà nel comune grigionese non c'è un solo albergo e tutti sanno che è solo una località di transito. Su questa questione è necessario fare urgentemente chiarezza, perché se Landquart è considerata "zona turistica", a medio termine lo sarà tutta la Svizzera. Per fortuna non dappertutto le cose vanno nella stessa direzione: a Berna, per esempio, c'era un progetto per definire parte della città vecchia "zona turistica" e permettere così l'apertura domenicale e serale fino alle 22.30 dei negozi, ma settimana scorsa è stato bloccato dal parlamento cittadino. Questo dopo che un'inchiesta di Unia aveva rivelato che il 96 per cento delle venditrici, ma anche il 75 per cento dei proprietari dei negozi, sono contrari.
 


Pubblicato il

27.08.2010 01:00
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