Le strade di Borgo Hermada, un paese di 10mila abitanti a un centinaio di km a sud di Roma abitato dai discendenti degli emiliani, dei friulani e dei veneti arrivati durante il fascismo per le bonifiche delle campagne, prima dell’alba si riempiono di lavoratori indiani. Vanno al lavoro nelle aziende agricole della zona in bicicletta o con le auto e i furgoni dei caporali. Alcuni indossano dei giubbotti catarifrangenti che li rendono visibili anche a distanza, altri no e al buio si fa fatica a notarli. «Purtroppo ogni tanto qualcuno di loro finisce vittima di un incidente perché le auto non li vedono, soprattutto nelle vie di campagna che non sono illuminate o in quelle più trafficate», dice Sonia Narinder Kaur, un’attivista indiana del “sindacato di strada” della FLAI CGIL che li ferma per consegnargli una pettorina, un cappello di paglia per proteggersi dal sole e una bottiglia d’acqua sulla quale ci sono dei numeri di cellulare da contattare in caso di emergenza (GUARDA IL VIDEO). I lavoratori le prendono, poi ripartono in fretta perché non possono tardare e hanno paura di ritorsioni. «Non hanno un contratto, spesso neppure il permesso di soggiorno. Li costringono ad arrivare molto presto al lavoro e a rimanerci per 12 o anche 14 ore», spiega Simona Cuomo, un’altra sindacalista. Secondo Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI CGIL, sono pagati in media 20 euro per una giornata di lavoro che va dalle 10 alle 14 ore. «Ma c’è anche chi di euro ne prende solo 10 oppure acqua e un panino e basta», mentre le donne «vengono pagate il 20-30 per cento in meno degli uomini». Accade perché spesso una parte della paga, che è in media di 5 euro all’ora per i lavoratori senza permesso di soggiorno, viene versata al caporale, che ne trattiene una parte per sé e a volte per compensare i debiti contratti dai migranti per arrivare in Italia. In tutto l’Agro Pontino ci sono circa 6mila aziende agricole, con 22.400 lavoratori, di cui 21.349 assunti con contratti a termine. Di questi, 13.869 sono stranieri, provenienti soprattutto dall’India, dalla Romania e dal Bangladesh. Gli indiani censiti sono circa 13mila, di cui duemila vivono a Borgo Hermada, ma secondo diverse stime sono almeno 30mila perché molti di loro sono arrivati con un visto temporaneo e poi sono rimasti a lavorare al nero o con contratti al “grigio”, cioè per un numero di ore molto inferiore a quello effettivo. Secondo i dati forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro, nel 2023 ci sono state appena 222 ispezioni nel settore agricolo. Nel 64,5 per cento dei casi sono state trovate delle irregolarità. Su 785 lavoratori controllati, 608 lavoravano in nero o per un numero di ore superiore a quello dichiarato nei contratti e con paghe molto basse. «Questi dati ci dicono che da un lato la probabilità di subire un controllo è talmente bassa da far correre il rischio a imprenditori spregiudicati, dall’altro confermano quello che quotidianamente vediamo e ascoltiamo dai lavoratori», dice il segretario della FLAI CGIL del Lazio Stefano Morea. Satnam Singh era uno di loro. La mattina di lunedì 17 giugno è andato al lavoro con il pullmino di un caporale insieme a sua moglie nell’azienda agricola Agrilovato di Borgo Santa Maria, un altro dei paesi fondati dagli emigranti dal Nord Italia durante il ventennio fascista, dove era impiegato al nero con sua moglie Sony e veniva pagato 4 euro all’ora. È rimasto impigliato in un macchinario avvolgiplastica, che gli ha tranciato un braccio e fratturato entrambe le gambe. Secondo i lavoratori presenti, il titolare dell’azienda Alessandro Lovato ha impedito di chiamare i soccorsi. Dopo un’ora e mezza ha caricato il lavoratore su un furgoncino e lo ha scaricato davanti alla sua abitazione. A quel punto, un altro indiano ha fotografato il braccio mozzato, che era stato messo in una cassetta della frutta, e lo ha inviato a uno dei numeri forniti dal sindacato chiedendo aiuto. «Quando ho visto la foto, ho pensato che fosse falsa e che chi l’ha mandata volesse fare un macabro scherzo», dice Laura Hardeep Kaur, la segretaria locale della FLAI CGIL, anche lei di origini indiane. Invece era tutto vero. La sindacalista è stata la prima persona a vedere Satnam Singh ferito. «Mi sono trovata di fronte una scena orribile, per una settimana non sono riuscita a mangiare nulla», dice. Hanno chiamato i soccorsi, un’eliambulanza ha portato il giovane indiano all’ospedale San Camillo di Roma, dove è stato operato d’urgenza, ma due giorni dopo è morto. Secondo l’autopsia, Satnam Singh è deceduto per le gravi ferite subite e “anche per dissanguamento”, che si sarebbe potuto evitare se i soccorsi fossero stati chiamati subito. Lovato è stato indagato per omicidio colposo, omissione di soccorso, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e per le irregolarità nell’assunzione. Alla CGIL ricevono decine di richieste di aiuto. Sonia Narinder Kaur ricorda la telefonata di un indiano «che si era rifugiato in una coltivazione di kiwi perché il padrone stava tentando di investirlo con un Suv dopo che gli aveva chiesto di pagargli degli arretrati». Un altro lavoratore ha denunciato di essere stato aggredito con un coltello e un bastone dal titolare dell’azienda e da suo figlio, solo perché aveva chiesto che gli pagassero lo stipendio. Il 24 maggio, il deputato del Partito Democratico Arturo Scotto ha presentato un’interrogazione parlamentare sulle condizioni di lavoro dei lavoratori indiani nell’Agro Pontino. Vi si legge che in alcune aziende i migranti sono minacciati con fucili o pistole e che vengono obbligati ad abbassare il capo o a fare il saluto romano «dinanzi all’effigie o busto del dittatore Mussolini». Quando accadono episodi del genere, i sindacalisti accompagnano i migranti a denunciare e gli offrono una tutela legale, «ma non sempre i lavoratori se la sentono di andare dalle forze dell’ordine, anche perché di solito le denunce non hanno seguito o rimangono bloccate per mesi e nel frattempo loro rimangono senza protezione e rischiano di perdere il lavoro», spiega Laura Hardeep Kaur. Il “sindacato di strada” ha l’obiettivo di aiutare i migranti «lì dove sono», cioè mentre vanno al lavoro o nei campi. Prima dell’alba, si formano cinque squadre da sei persone ciascuna, che si dividono in diverse zone dell’Agro Pontino. Uno dei camper va a Borgo Hermada, nel quartiere dove abitano gli indiani. Qui, alle 5 del mattino, i lavoratori si radunano in alcuni punti. Attendono i caporali, che arrivano a bordo di auto di grossa cilindrata e furgoni nuovi, li caricano a bordo e vanno via. Tutto si svolge in grande silenzio e velocemente. Non si vedono più i pullmini sgangherati e neppure i pulmini e i pick-up che si fermavano a negoziare sul prezzo con i lavoratori prima di caricarli, come accadeva fino a qualche anno fa. Non ci sono neppure i proprietari delle aziende che vanno per strada a reclutare la manodopera senza intermediari. Le trattative ora avvengono sui gruppi creati su WhatsApp e tutti sanno già dove andare. Tutto si svolge in gran silenzio e velocemente. Alle 6.30 per strada non c’è più nessuno. |