"La negoziazione pura è finita"

A 36 anni Pierre-Yves Maillard è una delle personalità più in vista della sinistra svizzera. Consigliere nazionale per il Partito socialista svizzero (Pss), Maillard di questo partito è pure vicepresidente nazionale. Di professione fa il segretario regionale del sindacato Flmo nel canton Vaud, carica che manterrà anche a partire dal 2005, quando la nascita del nuovo sindacato Unia (dopo la fusione di Flmo con Sei e Fcta) sarà una realtà. Saldamente ancorato all’ala sinistra del Pss, Maillard per analizzare l’attualità politica, sociale ed economica non esita a ricorrere agli strumenti d’analisi e alla retorica di stampo marxista. In questa intervista spiega come vede il futuro del nuovo sindacato Unia, quale strategia deve adottare la sinistra per contrastare l’avanzata dell’Udc e perché ha scelto un partito socialdemocratico per fare politica. Pierre-Yves Maillard, in questi mesi che ci separano dalla nascita del sindacato Unia molti si chiedono quale sarà la collocazione di questo nuovo soggetto sociale. Lei che risposta dà? Il primo compito di Unia sarà quello di svolgere il lavoro quotidiano per rispondere alle esigenze dei nostri associati. Detto questo è chiaro che il tempo di un sindacalismo di pura negoziazione è finito. Il padronato ha deciso che questo tempo dovesse finire, mostrandoci che con i soli mezzi della negoziazione, senza entrare in un discorso di rapporti di forza, non avremmo praticamente più ottenuto niente. Con la sua combattività è sempre stato a suo agio nella Flmo? Assolutamente, ho fatto 14 conflitti collettivi negli ultimi 5 anni avendo sempre l’appoggio della direzione nazionale. Anche perché nella Flmo le regioni avevano una forte autonomia, ciò che permetteva ai responsabili regionali di avere una politica anche molto profilata. Una lotta è valida soltanto se porta a dei risultati concreti per coloro che lottano. In questo bisogna essere rigorosi: sono coloro che lottano che devono prendere le decisioni, anche quando forse non vogliono andare così lontano come si riterrebbe giusto, e non li si può in nessun modo strumentalizzare. A queste condizioni la lotta rispetta in assoluto le esigenze democratiche, ed a queste condizioni la lotta nella Flmo è sempre stata possibile. Nel processo di Unia dobbiamo portare la capacità di capire la realtà dei tempi: questo significa far nascere un movimento sindacale più forte nel rispetto dei ritmi e delle capacità delle persone che ci sono vicine. Intanto il padronato reagisce a modo suo: Migros, Ems Chemie e autotrasportatori hanno dato la disdetta a quei contratti collettivi che da gennaio avranno come partner sindacale proprio Unia. L’impressione è che il padronato tema Unia in primo luogo sul piano politico. Il movimento sindacale e la socialdemocrazia svizzeri, paragonati ai nostri vicini europei, fanno piuttosto una buona figura. Pochi movimenti sindacali in Europa possono vantare risultati come la vittoria del Sei nella lotta per il prepensionamento nell’edilizia principale. Lo stesso vale per la lotta contro la liberalizzazione del mercato elettrico, che è stata una lotta al tempo stesso sindacale e politica. Si sta dunque capendo che in Svizzera si può frenare se non bloccare il modello neoliberale: il suo successo non è più una fatalità. Per questo il padronato svizzero ora ha deciso di inasprire il confronto. Lo si vede nella battaglia per il prepensionamento di pittori e gessatori, che i padroni hanno completamente politicizzato per spezzare la dinamica vittoriosa del movimento sindacale svizzero. Credo però che se il padronato manterrà questo indurimento non farà altro che radicalizzare le posizioni dei salariati. In quanto i salariati capiscono che da parte del sindacato si conduce una lotta concreta e non ideologica: e a queste condizioni il padronato ha poche possibilità di successo. In questo momento si tratta di non perdere la lotta per il prepensionamento di pittori e gessatori. È vero. Ma anche se il sindacato la perde a causa di una politicizzazione da parte del padronato che ha voluto inasprire la lotta in modo strumentale, allora i salariati avranno capito con chi hanno a che fare. Per il padronato svizzero non sarà una grande vittoria. Sul piano politico che strategia deve adottare oggi la sinistra, in particolare il Pss, per rintuzzare l’avanzata delle destre attorno all’Udc? Oggi c’è un urgente bisogno di soddisfare i bisogni materiali di due terzi della popolazione svizzera. Il Pss è l’unico ad essere costante in questo suo sforzo. Tutta la destra mira invece a soddisfare i bisogni materiali di una minoranza della popolazione. È per questo che è così importante agire in un campo democratico e difenderlo sempre. Perché in democrazia diventa molto difficile voler soddisfare sempre e soltanto i bisogni materiali di una minoranza: è necessario trovare un consenso che faccia maggioranza. Per il momento la sola strada che la destra sa percorrere per risolvere questa sua contraddizione è la xenofobia: è fomentando l’odio verso gli stranieri che la destra ritrova il contatto con quelle fasce sociali che sono svantaggiate dalla sua politica. Nei prossimi anni avremo dunque un confronto sempre più aspro fra i temi identitari da un lato e quelli sociali dall’altro: e più noi sapremo imporre sull’agenda politica delle battaglie sociali, più l’Udc sarà in difficoltà per la contraddizione fra le sue parole e la sua azione concreta che sfavorisce quegli strati sociali che dovrebbero invece trovare un vantaggio dal suo discorso identitario. È dunque insistendo sulla questione sociale che la socialdemocrazia potrà progredire a vantaggio della maggioranza della popolazione svizzera. "La democrazia è un discrimine" Pierre-Yves Maillard, il suo linguaggio e le sua analisi sono indubbiamente d’impronta marxista. Nel Pss di oggi riesce ancora a farsi capire? Credo proprio di sì. Sono quasi dieci anni che ho cariche di rilievo a livello locale e nazionale e mi sembra tutto sommato che ciò che dico anche all’interno del Pss ha ancora un senso. Dal marxismo prendo un certo numero di strumenti teorici che mi sembrano indispensabili per analizzare la società. Ma ho sempre pensato che gli esiti politici del marxismo devono essere molto più democratici di quelli da esso prodotti nella realtà. Secondo me gli sbocchi politici che non sono assolutamente rigorosi con la questione democratica sono condannati al fallimento. È per questo che sono socialdemocratico. D’altro lato la socialdemocrazia è fatta per mettere in discussione il modello capitalista e per cercare, nella lotta per la ripartizione delle ricchezze, di difendere gli interessi di coloro che con il loro lavoro producono ricchezza, e non gli interessi di quelli che hanno piazzato dei capitali. Mi sembra un approccio chiaro e per nulla incomprensibile. Non è mai stato tentato dai partiti e movimenti che si collocano a sinistra del Pss? No, assolutamente, proprio perché il loro problema risiede nella questione democratica. Si tratta di partiti che hanno dei leader che non sono mai cambiati da 30 anni, che non li mettono nemmeno mai in discussione, che non li sottopongono ad un esercizio di democrazia interna, le cui divergenze interne finiscono sempre con scissioni o espulsioni. Abbiamo visto il movimento trotzkista svizzero cambiare nome almeno tre o quattro volte e avere sempre le stesse tendenze autoritarie e settarie. Inoltre non hanno ancora chiarito con che mezzi vogliono cambiare la società: se vogliono farlo con metodi rivoluzionari devono dirlo, perché un movimento politico dev’essere chiaro sia sui contenuti della sua azione che sui metodi. Non dicono di voler rilanciare un movimento rivoluzionario, ma nel contempo impediscono una reale presa di potere da parte della sinistra o almeno una sua avanzata per mezzo delle urne, visto che rifiutano la logica dell’alleanza di tutta la sinistra. Questo è anche un problema del movimento altermondialista, in cui i partiti dell’estrema sinistra hanno una posizione dominante, ma nel quale la questione della presa del potere o della realizzazione pratica dei progetti è un tabù. Ma proprio la socialdemocrazia, in particolare il Pss, non ha dei problemi a rapportarsi al movimento altermondialista, basti pensare all’atteggiamento della ex presidente del Pss Christiane Brunner al Forum di Davos? Una cosa è chiara: per me il posto del Pss non è a Davos ma nei movimenti sociali. Io sono stato con numerosi altri socialdemocratici al primo e al secondo Forum sociale mondiale. E allora la domanda che devo porre è questa: che tolleranza si accorda ai socialdemocratici in questi spazi? In America latina ce n’è, in Europa mi sembra molto più esiguo proprio a causa del settarismo dell’estrema sinistra. Il movimento new global ha dunque un problema di democrazia? Indubbiamente. Credo che il movimento debba discutere e chiarire come passare dalla formulazione della lista di proposte alla loro realizzazione concreta. Certo ci sono delle realizzazioni concrete sul piano locale, e sono pure cosciente che in molti contesti non si può sempre passare dalla conquista del potere istituzionale, penso in particolare all’America latina, dove la democrazia partecipativa, il modello associativo e quello cooperativo si sono sviluppati producendo risultati molto interessanti. Ma non si può ignorare le questioni dello spazio istituzionale e della democrazia rappresentativa, elettiva o diretta. E in questo contesto bisogna sapere con quali forze si vuole lavorare e con quali alleanze. Perché questo dibattito abbia luogo occorre superare il settarismo dell’estrema sinistra, un settarismo che è incomprensibile se si vuole progredire in un contesto democratico. È comprensibile soltanto se il gioco consiste nel discreditare tutto il campo della democrazia per dare l’impressione alle masse popolari che soltanto un processo rivoluzionario è possibile. Questo dibattito deve finalmente svolgersi nei Forum sociali, togliendo questo velo pudico che si mette sempre sulle questioni del potere.

Pubblicato il

09.07.2004 01:30
Gianfranco Helbling
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