Lo scorso mese di agosto, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha condannato la multinazionale Glencore a una multa di due milioni di franchi e a un risarcimento di circa 150 milioni di dollari. Motivo: la carente organizzazione interna della multinazionale non ha potuto impedire delle pratiche corruttive commesse nella Repubblica democratica del Congo (RDC) da un suo partner commerciale, il controverso magnate israeliano Dan Gertler. Il denaro della multa e del risarcimento resteranno in Svizzera e non finirà così a beneficio delle popolazioni locali in Congo, le uniche e vere vittime di queste pratiche corruttive. Nelle scorse settimane una delegazione di ONG congolesi è venuta in Svizzera per cercare di rendere attente le autorità elvetiche su questa problematica. Tra di loro vi era Jean-Claude Mputu, vicedirettore dell’ONG Resource Matters e portavoce della coalizione “Le Congo n’est pas à vendre” (il Congo non è in vendita). Ecco la sua intervista. Signor Mputu, quale è stata la sua prima reazione quando ha saputo che la Svizzera aveva condannato Glencore per vicende legate alla corruzione nella Repubblica democratica del Congo? La prima reazione è stata di grande sollievo. Non ci siamo mai rassegnati al fatto che Glencore fosse complice della corruzione nella RDC. Per giustificarsi, però, la multinazionale aveva sempre sostenuto il fatto di non essere mai stata condannata per atti corruttivi in questo Paese. Ora, con la decisione della Procura federale svizzera, non è più così. Per la società civile congolese si tratta quindi di una grande vittoria. La Svizzera ha ordinato alla multinazionale di pagare una multa di 2 milioni di franchi e un risarcimento di circa 150 milioni di dollari. Questo denaro finirà però nelle casse pubbliche elvetiche. Cosa ne pensa? Non trovo giusto che questi soldi non vengano restituiti alle vittime di questi atti di corruzione, cioè alla popolazione locale congolese, in particolare quella che vive in prossimità delle miniere oggetto delle pratiche corruttive. I risarcimenti dovrebbero essere destinati a compensare le vittime dirette dello sfruttamento delle risorse. Ma così non è. Per questo motivo ci siamo rivolti al Governo, al Parlamento e al popolo svizzero per dire loro che è inaccettabile che un Paese che non ha subito alcun danno in questa vicenda sia l’unico beneficiario di questo risarcimento mentre le vittime della corruzione non riceveranno nemmeno un dollaro. La giustificazione è che la legge svizzera non lo consente, dato che lo Stato congolese non ha collaborato alle indagini e non si è costituito parte civile nel procedimento… Penso che a livello politico nulla impedisce al governo svizzero di decidere di destinare questi fondi a beneficio delle persone vittime della corruzione di Glencore. È eticamente e moralmente inaccettabile che lo Stato svizzero tenga per sé questo denaro, con la sola motivazione che la legge vigente non consente la distribuzione a causa del fatto che non c’è stata nessuna cooperazione giudiziaria da parte delle autorità congolesi. Lo sappiamo benissimo che questi governi non collaborano perché, spesso, sono loro stessi complici delle pratiche corruttive. In questa vicenda quale è stato, secondo lei, il ruolo dello Stato congolese? Glencore è stata condannata per avere fatto troppo poco per prevenire la corruzione quando il suo partner commerciale, Dan Gertler, ha acquisito interessi di minoranza in due miniere nelle quali la società svizzera era già azionista. Gertler ha acquisito le azioni dall’azienda mineraria statale congolese (Gécamines) che gliele ha vendute a un prezzo ridicolo. L’israeliano le ha poi vendute a un prezzo molto più alto alla stessa Glencore. Le responsabilità dello Stato congolese e di Gécamines sono quindi chiare: il Governo è complice. Quindi come pensate di fare arrivare questo denaro alle vere vittime, senza passare attraverso questo governo complice? Non chiediamo un ritorno di denaro allo Stato. Anche perché questo comporterebbe il rischio che le persone sul terreno non vedano nulla. Però si può operare in diversi modi, tramite la cooperazione internazionale o anche attraverso alcune agenzie delle Nazioni Unite. In passato la restituzione senza passare dai governi è già stata fatta con altri paesi. Nella risposta che vi è stata inoltrata dall’Ufficio federale di giustizia si fa anche riferimento al fatto che Glencore ha già firmato un accordo in Congo che prevede la restituzione di 180 milioni di dollari. Di che accordo si tratta? Si tratta di un accordo completamente opaco, mai reso pubblico, che regola dei casi di corruzione per il periodo 2007-2018. Noi stimiamo che allo Stato congolese sia sfuggito più di un miliardo di dollari a causa dei contratti che l’intermediario Dan Gertler ha gestito per Glencore. Con questo accordo di risarcimento viene tutto cancellato e lo Stato non potrà più chiedere nulla alla multinazionale. Ad oggi inoltre non possiamo dire dove sono affluiti i 180 milioni di dollari e chi ne beneficia. Senza nominarlo, il decreto d’accusa che condanna Glencore mette in luce il ruolo di Dan Gertler. Pensate che sul fronte penale ci sia ancora qualcosa da fare, in Svizzera? Il decreto d’accusa mostra in effetti che Gertler ha pagato delle tangenti, anche attraverso conti in Svizzera. La Procura elvetica dovrebbe pertanto essere interessata a questo intermediario. Da parte nostra stiamo valutando in che modo possiamo portare il nostro contributo. Un ultima domanda: quale è l’immagine della Svizzera in Congo a seguito del fatto che i soldi non possono essere restituiti? Il quadro che emerge è che la Svizzera è complice della corruzione perché beneficia del denaro che Glencore deve pagare per gli atti illegali commessi nel nostro paese. |