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La mossa che potrebbe riscrivere il destino dei Curdi. Ma non mancano i rischi

L’annuncio di Öcalan che prevede lo scioglimento del PKK e la fine della lotta armata avrà effetti significativi per l’intero Medio Oriente. In particolare per il Rojava

Lo storico annuncio del leader del partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), in carcere in isolamento a Imrali dal 1999, Abdullah Öcalan, 75 anni, apre la strada per il disarmo “di tutti i gruppi” collegati e lo scioglimento del PKK. L’immagine di Öcalan, circondato dai politici Süreyya Önder e Pervin Buldan, dai co-presidenti del partito DEM, Tülay Hatimogullari e Tuncer Bakirhan, Ahmet Türk, il deputato del partito DEM, Cengiz Ciçek, e l’avvocato Faik Özgür Erol resterà negli annali perché riporta alla luce il processo di pace e il disarmo, già chiesto dal leader curdo nella lettera dal carcere per il Newroz del 2013.

 

Gli effetti sulla politica turca

Questo annuncio senza precedenti prima di tutto permette di superare tutte le voci sulle cattive condizioni di salute in detenzione di Ocalan e di cui non si vedevano fotografie da circa dieci anni. E poi le dichiarazioni dell’autore di opere centrali per il discorso politico della minoranza curda in Medio Oriente, come Sociologia della libertà, intendono superare la lotta armata, intesa come mezzo per ottenere uno stato curdo, per continuare invece il progetto di autonomia democratica che ha visto la sua massima realizzazione nel Rojava.

 

Queste dichiarazioni avranno degli effetti significativi nel dibattito politico turco. I primi negoziati tra Öcalan e il governo turco erano iniziati lo scorso autunno con la mediazione del leader del partito nazionalista MHP, Devlet Bahçeli. L’alleato di Erdogan aveva chiesto a Öcalan di dichiarare lo scioglimento del PKK in un discorso al parlamento turco, e che in cambio sarebbe stato possibile avviare anche un processo per il suo rilascio.

La speranza è che a questo punto, in parallelo con il disarmo del PKK, cessino le persecuzioni con gli arresti e le rimozioni dei sindaci che controllano le municipalità a maggioranza curda nel Sud-Est del paese. Non solo, alle porte ci potrebbe essere una normalizzazione dei rapporti tra i partiti di maggioranza, a guida Giustizia e sviluppo (AKP) di Recep Tayyip Erdogan, e la sinistra filo-curda del partito democratico dei Popoli (HDP) prima e DEM poi. Questo percorso potrebbe aprire la strada a una migliore integrazione dei curdi turchi, come stabilito nella Dichiarazione di Dolmabahçe del 2015 che potrebbe preludere alla scarcerazione degli ex co-leader di HDP, Selahettin Demirtas e Figen Yüksekdag. Non solo, questo nuovo corso potrebbe ridimensionare l’alto grado di militarizzazione delle istituzioni turche e favorire una stagione politica improntata sulla “pace e la democrazia”, come auspicato dallo stesso Öcalan. 

 

Il disarmo e il Rojava

Sarà molto importante valutare quali effetti queste dichiarazioni avranno anche sulle Unità di protezione maschili e femminili (YPG-YPJ) che combattono la loro battaglia autonoma nel Nord della Siria, guidando le Forze siriane democratiche (SDF). Dopo la fine del regime di Bashar al-Assad e la conquista del potere lo scorso 8 dicembre da parte del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS), le autorità turche sembrano aver ottenuto tutti i loro obiettivi in Siria. E, in altre parole, di non aver più intenzione di operare nel Rojava con la stessa aggressività che hanno manifestato negli ultimi anni fino all’occupazione del cantone di Afrin (2018) con le Operazioni Ramoscello di Ulivo, Sorgente di Pace e Blocco dell’artiglio. Nonostante questo, dopo l’ascesa di HTS non sono mancati i duri scontri tra i miliziani di Ahmed al-Sharaa con SDF a Manbij e Tishreen. 

 

Per questo, è stata la fine di al-Assad a cambiare il posizionamento politico di Ankara rispetto alla causa curda in Siria, avviando un processo di dialogo con i leader curdi di cui vediamo in questi giorni i primi effetti. E così sia le autorità turche sia HTS lavorano per rimuovere i politici e i combattenti di SDF che hanno legami strutturati con il PKK (circa 2mila militanti secondo Ankara). Lo scopo sarebbe il disarmo di YPG-YPJ e la loro integrazione in un esercito nazionale siriano, tutto da creare. Se Unione europea, Stati Uniti e Turchia considerano il PKK come un’organizzazione terroristica, la coalizione internazionale a guida USA insieme ai curdi siriani è stata essenziale per la sconfitta dello Stato islamico (ISIS) in Siria e in Iraq.

 

Al-Sharaa ha più volte sostenuto che non avrebbe tollerato uno stato federale riconoscendo l’indipendenza curda ma di stare lavorando per un esercito siriano unitario. Questo tipo di soluzione politica che escluderebbe conseguenze belliche su larga scala contro SDF sembra trovare anche il sostegno di AKP e del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Questo punto sarebbe anche al centro dei negoziati fra Turchia e USA di Trump. Se gli USA limiteranno sempre di più la loro presenza nel Nord della Siria, la Turchia accetterebbe una presenza demilitarizzata di SDF evitando un’invasione del Rojava. 

Con questi obiettivi, le autorità turche avrebbero anche esercitato pressioni sul leader curdo iracheno, Masoud Barzani, affinché spingesse i leader di SDF a includere tutti i partiti curdi nel governo regionale e a cooperare con al-Sharaa a Damasco, sul modello dei rapporti tra Erbil e Baghdad. In questo senso, anche il partito democratico unito (PYD) dovrebbe diventare un gruppo politico nazionale e non rappresentare solo i curdi siriani.

Una bozza preliminare di accordo prevederebbe il riconoscimento della cultura della minoranza curda nella nuova costituzione siriana e un sistema amministrativo decentrato per il Rojava. Tuttavia, i combattenti curdi continuano a sostenere che un ridimensionamento militare di SDF potrebbe rafforzare e ristabilire la presenza dell’ISIS nel Nord della Siria.

 

Le incognite del futuro della Siria

A Damasco, sono andati avanti i colloqui la scorsa settimana per delineare la difficile fase di transizione politica. È in discussione la creazione di un’istituzione che gestisca la giustizia in questa fase transitoria per superare la guerra civile e che si occupi della stesura della nuova costituzione. L’altro tema sul tavolo è la creazione di un esercito unitario nazionale. “Chiedo a tutti i siriani di essere uniti per curare le ferite dopo decenni di dittatura”, ha detto al-Sharaa all’inizio dei colloqui.

Non tutti i rappresentanti delle frammentate opposizioni siriane hanno preso parte ai colloqui, organizzati in fretta e furia e in forse fino all’ultimo minuto. Tra di loro mancano per esempio i leader delle opposizioni in esilio, come George Sabra che si trova in Francia. Molti rappresentanti delle minoranze curde, cristiane, druse e alawite hanno espresso preoccupazione sui risultati di un dialogo nazionale che dovrebbe essere auspicabilmente inclusivo.

Dal canto suo, l’esercito israeliano (IDF) continua ad attaccare la provincia di Daraa nel Sud della Siria, dopo essere entrato nelle Alture del Golan con la fine del regime di al-Assad. IDF ha continuato ad attaccare per settimane depositi di armi e basi navali in Siria dopo l’8 dicembre 2024. Per Tel Aviv, che vede con sospetto il nuovo corso in Siria e il sostegno assicurato dalla Turchia a HTS, l’esercito siriano non deve muoversi a sud di Damasco. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha assicurato che “non permetterà al Sud della Siria di diventare come il Sud del Libano”. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto la completa demilitarizzazione del Sud della Siria. 

Da parte sua, al-Sharaa ha condannato l’invasione israeliana nelle Alture del Golan e chiesto il ritiro di IDF dal territorio siriano. Tutte le milizie attive nel paese sono state ufficialmente sciolte lo scorso 29 gennaio ma non sono ancora sotto il controllo del ministero della Difesa, impegnato nel tentativo di assorbire migliaia di combattenti e ribelli.

 

Dopo 40 anni di conflitto e oltre 40mila morti, lo storico annuncio di Öcalan che prevede lo scioglimento del PKK e la fine della lotta armata avrà effetti significativi per la politica interna turca, siriana e per l’intero Medio Oriente. In particolare, il progetto che si ispira agli insegnamenti del leader curdo nel Nord della Siria dovrà probabilmente rivedere la sua strategia paramilitare per accettare il disarmo e l’istituzionalizzazione delle pratiche messe in atto nel Rojava dopo il 2012. Questo percorso non è privo di incognite e potrebbe determinare sia una manipolazione della causa curda da parte dei politici turchi e siriani a detrimento dei diritti di una minoranza da decenni marginalizzata e discriminata ad Ankara e Damasco. Un altro rischio è il possibile fallimento del processo di pace, come è avvenuto dopo altri tentativi di normalizzazione simili, nel 2015 per esempio, con il conseguente ritorno all’instabilità politica e alla strategia della tensione, se una delle parti non dovesse rispettare pienamente i patti. Non solo, questa svolta potrebbe anche favorire il risveglio di gruppi terroristici islamisti radicali, come ISIS in Siria.

Pubblicato il

28.02.2025 18:04
Giuseppe Acconcia
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