Scrivere a un parlamentare per chiedergli di rispettare i diritti umani in occasione di una votazione: una molestia? Alla vigilia della sessione primaverile delle Camere federali alcuni parlamentari si sono lamentati dell’azione organizzata dalla Sezione svizzera di Amnesty in vista del voto, il 6 marzo scorso, sull’ammorbidimento della legislazione in materia di esportazione di armi. La domanda che i nostri soci hanno rivolto era semplice: i benefici dell’industria dell’armamento devono avere più peso dei diritti umani? Secondo noi l’ordinanza sull’esportazione del materiale di guerra non sarebbe dovuta essere alleggerita per permettere alle aziende svizzere di esportare armi verso paesi come il Pakistan o l’Arabia Saudita. Il divieto di esportare armi verso paesi che violano gravemente i diritti umani non andava sostituito dall’esame caso per caso e siamo scandalizzati dalla decisione presa dal Nazionale. Secondo Amnesty, l’industria bellica svizzera non ha alcun bisogno dei milioni in più guadagnati in paesi che non rispettano i diritti umani. Ne ha ancor meno bisogno se si considera che negli ultimi anni questo settore si è rivelato particolarmente redditizio, con profitti che hanno superato i 3 miliardi di franchi. È altresì vero che lo scorso anno l’esportazione di armi è diminuita. Ma se si somma l’esportazione di armi e di munizioni a quella di beni militari (simulatori, aerei per le esercitazioni eccetera) esse sono praticamente triplicate tra il 2010 e il 2012. La decisione è ormai stata presa, e su questa non si può tornare. La questione qui è un’altra, e sta al cuore del modello politico svizzero. Visibilmente alcuni parlamentari non hanno apprezzato che i loro elettori li interpellassero. Nell’edizione svizzero-tedesca di 20minuti Fathi Derder si è lamentato per queste molestie controproducenti, dichiarando di preferire una discussione faccia a faccia per approfondire la questione. Dal canto suo Christophe Darbellay, su Twitter, ha fatto una battuta riferita allo “spamming” da parte della nostra organizzazione, per poi proporre lui stesso un incontro per discutere delle nostre rivendicazioni. Numerosi parlamentari hanno reagito positivamente di fronte alle numerose e-mail ricevute e hanno avviato un dialogo costruttivo. Alcuni di essi hanno precisato che la legge in vigore fino al 6 marzo lasciava un margine d’interpretazione sufficiente e di non aver alcun interesse per una modifica volta a privilegiare l’economia a scapito dei diritti umani. Al momento del voto l’economia ha purtroppo avuto la meglio. I cittadini e le cittadine svizzeri sono liberi di rivolgersi ai parlamentari che hanno eletto per ricordare loro gli obblighi che hanno in materia di diritti umani. Non si tratta in nessun caso di molestie ma di una messa in pratica dei loro diritti democratici e della loro libertà d’espressione.
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