La molestia sessuale come logica di potere

Nella ristorazione il 42% delle dipendenti ha subito un abuso. Un sondaggio di Unia conferma un problema riscontrato sul campo dai sindacalisti

Sarà un 14 giugno carico di signiogniqualvolta la storia assume forma e fa da spartiacque fra un prima e un dopo. Non esistono battaglie isolate e serve proprio a ricordare questo principio uno sciopero che vogliamo chiamare femminista, perché i problemi delle donne nascono da un sistema culturale dominatore nei loro confronti. Più salario, dunque, ma anche più rispetto.

Se il dibattito, nell’imminenza dello sciopero, è giustamente polarizzato sul divario salariale, che disgiunge in maniera arbitraria e scandalosa le paghe femminili da quelle maschili, determinando traiettorie di vita più difficili per le donne, altri problemi asfissiano le lavoratrici.
I tempi di lavoro, ad esempio, che incalzano giorni su giorni, non liberandone alla fine nessuno, e condannandole a una vita imprigionata fra doveri professionali e familiari. Doveri, doveri, senza sconti per nessuna!, che così i giorni non sono più tuoi. Bel modo di continuare a essere in un qualche modo schiave di un sistema che non ti vuole libera e indipendente.


Le lavoratrici incontrano altri ostacoli, certo, il mancato riconoscimento in busta paga del loro effettivo contributo. Sì, anche quei turni che non tengono conto degli impegni familiari che continuano a essere addossati alle donne. E poi, il rispetto. Prendiamo il vocabolario: «Sentimento e comportamento che nasce dalla consapevolezza dei diritti e dei meriti altrui, dell’importanza del valore morale, culturale di qualcuno».

 

Eccolo, il rispetto che viene a mancare quando una donna sul posto di lavoro subisce una delle tante striscianti forme di violenza sessuale (l’allusione, il toccamento, la battuta spinta, la proposta di un dopo lavoro più, diciamo così, intimo): un fenomeno che non è sotterraneo, ma tangibile come dimostra il sondaggio condotto da Unia fra il personale della ristorazione e dell’albergheria.

L’inchiesta – resa nota nei giorni scorsi dal sindacato – parla di abusi dichiarati nella misura del 42%.  


Alla vigilia dello sciopero si aggiunge l’ulteriore tassello che, come un segreto di Pulcinella, non stupisce. Ciò che è sempre stato nell’aria, prende la consistenza di un numero. Piccolo il campione, 260 le persone intervistate, ma importante: «Il sondaggio non è rappresentativo in termini statistici, ma conferma i risultati osservati da Unia sul campo e mostra chiaramente quali sono i problemi maggiormente sentiti nel campo professionale della ristorazione e dell’albergheria».


Nello specifico quasi la metà delle dipendenti interpellate ha rivelato di essere stata vittima di mobbing sul lavoro, mentre il 27% ha subito molestie sessuali sul luogo di lavoro.

In tre quarti dei casi, l’autore delle molestie o del mobbing era il superiore (37%), mentre per il 39% si è trattato di un collega o una collega di lavoro.

Per Unia elemento particolarmente grave è il fatto che solo poco meno di una persona su quattro che ha subito molestie o mobbing ha potuto contare sul sostegno del proprio superiore (23%).


Al di là della precisione scientifica del sondaggio, emerge una situazione cronicizzata di un problema figlio di una cultura arcaica e classista. Criticità che si manifestano con persistente ripetitività in alcune professioni legate al concetto di “servire”, dove viene mantenuto vivo il concetto di subalternità. Subordinati a capi e capetti in una scala gerarchica che vede posizionarsi, con le declinazioni dei ruoli di potere, padroni e cameriere.


Graziana, nome di fantasia per proteggere la nostra interlocutrice, è una ticinese sulla sessantina, che ha iniziato a lavorare non appena finita la scuola cantonale di commercio a Bellinzona e non ha mai smesso neppure una volta sposata con un marito dal discreto stipendio («un artigiano con la ditta in proprio: sacrifici, spese mirate per non fare il passo più lungo della gamba e trovarci indebitati, ma abbiamo sempre vissuto delle sue entrate abbastanza generose con serenità»).  


Graziana cura la contabilità dell’azienda familiare, cresce i figli, si occupa della casa di proprietà, e non lesina di lavorare su chiamata per chi ha bisogno di una buona segretaria. «Sono una persona piena di energia, sempre in movimento e il lavoro per me è un piacere, prima che una necessità. La mia voglia di sfide mi ha portato a 40 anni a fare la scuola per esercenti: proprietari del magazzino dove mio marito aveva aperto la sua attività, avevo pensato che, essendo un punto di forte passaggio, un piccolo esercizio pubblico avrebbe potuto rendere bene».


Sfida accettata, diploma ottenuto, bar aperto e «un altro mondo mi si è aperto. Agli occhi di tutti ero diventata una cameriera, e io percepivo la connotazione sessista che veniva data al ruolo, come se servire caffè o birre fosse sinonimo di licenziosità. Molti frequentatori del bar erano anche clienti dell’officina di mio marito e mi conoscevano già da anni come la sua segretaria, quella con cui dovevano negoziare il costo delle riparazioni, quella che li richiamava in caso di fatture aperte. All’improvviso mi sono sentita trattata con leggerezza, con mancanza di rispetto, oggetto di battute a sfondo sessuale che mi umiliavano e turbavano. Ero arrivata a mettermi in discussione, a chiedermi se fosse il mio comportamento, il mio modo di vestirmi o di pormi a legittimare certe oscenità che non potevo neppure confidare in casa, perché mio marito non le avrebbe mai accettate».     


La donna si dà una risposta: no, non è lei la colpevole, colei che ha legittimato certe situazioni, ma tutto ciò  succede per «un modello culturale maschilista che identifica la cameriera con donna dai facili costumi, come se non aspettassi altro di arrotondare con altri tipi di prestazioni fra una birra e l’altra. Il bar, all’interno di un complesso industriale alla periferia della città, si è rivelato nel mio caso luogo di pregiudizi e di molestie. Guadagnavo bene: l’ho venduto, perché ne andava della mia serenità».

Che cosa è la molestia?
Banalizzata, si manifesta in molti modi, dal più leggero al più pesante: «Esistono molti comportamenti che rientrano nel campo della molestia: dalle osservazioni e battute sulle caratteristiche fisiche di una persona, gesti e sguardi allusivi, lettere, e-mail e Sms a sfondo sessuale, fino a veri contatti fisici e aggressioni. Ogni comportamento a connotazione erotica che risulta indesiderato è molestia sessuale!» annota Francesca Scalise, funzionaria di Unia.
La sindacalista ci ricorda che l’articolo 4 della Legge sulla parità vieta espressamente le molestie sessuali sul posto di lavoro, ma «la frequenza delle segnalazioni e l’entità del fenomeno sottolineano l’urgenza di una migliore applicazione della legge».

 

Scalise evidenzia, in uno sguardo femminista dei ruoli, la logica di potere che porta «un manager a provarci, ad avanzare richieste sessuali con le colleghe di rango inferiore e, addirittura, con apprendiste in formazione di cui ha la responsabilità. In un contesto dove invece dovrebbe accadere esattamente il contrario, perché ogni datore di lavoro è tenuto a proteggere le dipendenti da ogni tipo di abuso. È fondamentale creare un clima di lavoro in cui venga rispettata la sfera personale dei collaboratori: questa è la migliore prevenzione. Se chi gestisce un’azienda non adotta misure volte ad evitare le molestie sessuali sul posto di lavoro, può essere perseguito penalmente» conclude la sindacalista che ogni giorno è a contatto con i problemi vissuti dalle lavoratrici.


Unia, che chiede netti miglioramenti nel nuovo Contratto collettivo nazionale di lavoro nel ramo alberghiero e della ristorazione (Ccnl), chiama a raccolta le donne attive nel settore invitandole a partecipare in massa allo sciopero del 14 giugno per far sentire le loro rivendicazioni e dire basta al sessismo.


Coraggio, alzate la testa, che il momento è adesso.
A noi piace concludere con le considerazioni della scrittrice Michela Murgia, che invita a essere partecipi di ogni mobilitazione per la conquista dei propri naturali diritti: «Le femministe non sono mai state forti come oggi. Occupiamo le piazze. Portiamo i temi che ci stanno a cuore nell’agenda pubblica. Adesso serve che l’educazione di genere sia insegnata nelle scuole primarie. Per gli altri è tardi. La lotta agli stereotipi di genere si fa quando si sta formando la cultura, di quegli stereotipi. Bisogna ragionare dai più piccoli, comprendendo che questa società fa fatica a prendere dei provvedimenti contro il maschilismo perché lo è profondamente. E non esiste un maschilista che voglia processare sé stesso. C’è una cosa che non bisogna mai dimenticare. Chi detiene un privilegio, qualsiasi esso sia, non vuole mai essere messo in discussione».


Pubblicato il

25.05.2023 14:03
Raffaella Brignoni
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