I chilometri di una maratona sono quarantadue e quarantadue sono anche gli anni di vita in Svizzera di Pietro Foresta. Originario di Mesoraca, l’uomo è stato di recente eletto nel legislativo del comune che lo ha accolto e che è diventato la sua casa. Un traguardo agognato figlio di una lunga corsa: una maratona fatta d’integrazione, lavoro e militanza sindacale. Dagli inizi come clandestino alla politica attiva a livello locale, passando per il sentiero complesso della naturalizzazione, questa è la sua storia. È il gennaio del 1982 quando Pietro Foresta lascia Mesoraca, in Calabria, e arriva a Lamone, qualche chilometro a nord di Lugano. Ha poco più di 18 anni, una passione mai sopita per I Nomadi e i capelli neri, lunghi e ricci. In tasca ha duecentomila lire e una maturità professionale. In testa un chiodo fisso: lavorare e lavorare. Dove, come e per quanto tempo non lo sa. L’importante è iniziare a guadagnare qualcosa in Svizzera, quel paese lontano e maledetto dove vent’anni prima, prima ancora che nascesse, perse la vita suo padre. Lavorava in un cantiere nel Canton Grigioni e sua madre non poté fare altro che chiamare quel bimbo che aveva in grembo con lo stesso nome del marito: Pietro. Da quel giorno d’inverno in cui salutò mamma e salì con un treno per il Nord sono passati più di quarant’anni. Pietro Foresta vive ancora a Lamone, assieme alla moglie e al loro figlio diciannovenne. Da allora non ha mai smesso di lavorare e questo piccolo comune alle pendici del San Zeno è diventato la sua casa. Una casa del cui futuro si potrà occupare in prima persona: lo scorso 15 aprile, infatti, Pietro è stato eletto in Consiglio comunale nelle file del Gruppo indipendenti e socialisti (GIS). A dire il vero sedeva già nei banchi del legislativo comunale alla fine della scorsa legislatura: «Ci sono arrivato come subentrante, ma questa volta l’emozione è più forte perché sono stato eletto direttamente» ci dice Pietro. Clima di rispetto Il giorno dello spoglio delle liste è stato intenso. A Lamone, i “quartier generali” dei quattro gruppi politici (GIS, Lega/UDC, PLR e il gruppo civico di matrice centrista) erano situati a poche decine di metri l’uno dall’altro. L’elezione di quest’anno era ricca di incognite in quanto due municipali, tra cui il sindaco Marco Balerna, in carica da 20 anni, non si ripresentavano. La curiosità era quindi molta. Chi avrebbe vinto la corsa per il sindacato? Chi sarebbe stato eletto nella lista liberale-radicale e chi in quella di sinistra? I risultati sono arrivati presto, con la novità di due donne elette in un esecutivo locale da anni totalmente maschile. Anche per questo nel covo del GIS si è voluto brindare: «È stata una giornata di festa. A Lamone la politica locale è molto sentita, ma vige un clima di grande fair play e tutti si sono complimentati a vicenda. Ciò non significa che non ci sarà battaglia politica sui temi, ma è fondamentale che questa avvenga in un clima di rispetto» ci dice Pietro. Una cosa non certo scontata, dato il clima che regna in alcuni Comuni della regione. La militanza sindacale La storia di Pietro è simile a quella di tanti altri partiti dal Sud Italia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Mesoraca all’epoca non offre molte possibilità lavorative e molti giovani partono al Nord. In Svizzera si costruiscono strade, gallerie, palazzi, case e servono braccia. Sarà stato il passaparola, sarà stato il caso, fatto è che in quegli anni molti mesorachesi si ritrovano proprio a Lamone, comune che all’epoca si stava ingrandendo con la costruzione di diverse abitazioni popolari, destinate ad ospitare gli operai meridionali attivi sui cantieri del Ticino. A Lamone, Pietro raggiunge il fratello che si era trasferito qualche tempo prima. Dopo otto giorni inizia a lavorare per un’impresa di gessatura di Taverne. «Ho iniziato in prova, senza permessi, come una sorta di clandestino» ricorda oggi l’uomo, ancora emozionato ripensando a quel periodo. Poi le cose vanno bene, viene assunto con un contratto e il suo statuto viene finalmente regolamentato. Passerà in ditta quasi vent’anni, prima di essere assunto come addetto alla logistica per l’impresa della grande distribuzione per cui lavora tuttora. Un’azienda per la quale Pietro è molto attivo sul fronte sindacale. In qualità di membro della commissione del personale e di delegato Unia si batte in continuazione per evitare soprusi, ingiustizie e prevaricazioni. In quarant’anni, il militante ha visto un’evoluzione negativa del mondo del lavoro in Ticino: «Prima era più facile, il lavoro c’era per tutti e quando le imprese portavano i nomi dei padroni questi tendevano a comportarsi meglio. Si poteva dialogare con loro e, nel mio caso, sono stato aiutato anche per questioni amministrative private. Oggi non è più così, conta solo il profitto». Il primo a indirizzarlo verso il sindacato – l’allora SEL – fu proprio il suo primo padrone: «È stata una scelta giusta, perché il SEL aveva una certa affinità con le mie convinzioni politiche che avevo già maturato in Calabria». Oggi Pietro Foresta è una colonna portante del sindacato: è infatti membro del comitato e dell’ufficio presidenziale della sezione Sottoceneri e membro del comitato direttore di Unia Ticino. Prima ancora che la politica, è la militanza sindacale che lo ha introdotto alla realtà politica svizzera: «Essere militante sindacale ha fatto sì che m’interessassi anche alle questioni politiche. Gli stranieri non possono votare, ma dei temi come ad esempio le pensioni hanno un impatto per tutti i lavoratori e per me era naturale impegnarmi su questo fronte». Libertà è partecipazione Non poter decidere in prima persona laddove abiti non è bello. È proprio per questa volontà di essere partecipe che Pietro ha deciso di naturalizzarsi. Un percorso non certo facile: «Per ben due volte ho rinunciato, perché non mi andava di andare a chiedere le referenze necessarie per iniziare l’iter. Era una questione di principio: mi sono sempre comportato bene, tutti lo sapevano, ma non vedevo perché altre persone dovessero attestarlo». Poi, infine, ha ceduto anche perché «la voglia di potere votare ha prevalso». Durante le audizioni davanti alla Commissione petizioni del Consiglio comunale, di fronte ad alcune incalzanti domande sul perché volesse farsi svizzero, Pietro ha risposto semplicemente: «Perché voglio votare!». Ottenuta la naturalizzazione, l’uomo è stato invitato dal GIS a partecipare alle riunioni di partito e poi a candidarsi: «Quel momento è stato per me una sorta di vittoria. Essere arrivato qui praticamente da clandestino ed essere invitato a partecipare alla vita politica del posto che è diventata la mia casa mi ha riempito di energie positive, alimentate dal fatto che mi sento parte di un gruppo di amici». Poi arriva in Consiglio comunale, quale subentrante. Qui si è trovato di fronte a migranti come lui: «Mi ricordo la prima volta che ho dovuto votare io per la naturalizzazione di altri e di come mi immedesimavo in quelle persone». L’elezione di domenica è stata un ulteriore riconoscimento con la promessa, da parte sua, d’impegnarsi attivamente per il bene della comunità che lo ha accolto. I pensieri vanno anche agli anni in cui l’immagine della comunità di Mesoraca, e assieme ad essa quella della stessa Lamone, sono state macchiate da episodi spiacevoli di violenza giovanile sfociata nella criminalità. «Ci sono state delle mele marce che hanno rovinato l’immagine di un’intera comunità fatta di grandi lavoratori». Oggi la situazione è migliorata: «Magari qualche problema c’è ancora, ma l’integrazione e i rapporti tra le comunità sono oggi molto più sani. Anche grazie alla partecipazione politica di persone come me». |