Bufera Rsi

La bufera non accenna a fermarsi alla Rsi: dopo i 18 licenziamenti cruenti nelle modalità, emergono altre realtà sommerse. Come in un gioco di scatole cinesi se ne apre una e se ne trova una seconda e poi una terza. Incastrate l’una nell’altra. Sotto ai dipendenti cui è stato rescisso il contratto di lavoro, c’è un sottobosco di personale qualificato che, legato alla Rsi, lavora di fatto su chiamata. Un centinaio di professionisti che vive in condizioni di forte precariato. Sono gli esterni, di cui molti presenze fisse a Comano, suddivisi in due categorie: il personale a prestito e i service. Con buste paga già risicate ai limiti della sussistenza, per i primi il 2016 è partito con il botto: meno il 3,5% della remunerazione. Per i secondi anche peggio: una dozzina, fra cameramen e fonici, sono stati licenziati in maniera cautelativa dalle ditte che fanno da intermediarie fra loro e la Rsi, trattenendo sui loro compensi una media che varia dall’8 al 12%.

 

La denuncia era già scaturita nel 2014 dai risultati di un’inchiesta voluta dall’Associazione ticinese dei giornalisti (Atg) e dal Sindacato svizzero dei mass media (Ssm) in collaborazione con Syndicom, e realizzata da Michele Andreoli sulle “Condizioni di lavoro dei giornalisti (e degli operatori dei media con funzioni giornalistiche) nella Svizzera italiana”. L’indagine, svolta tra novembre e dicembre 2013, giungeva a questa conclusione: «Paradossalmente la Rsi, l’impresa mediatica che offre le condizioni migliori al proprio personale, è anche quella che indirettamente provoca le situazioni più discutibili a livello di condizioni di lavoro nel settore dei media ticinesi». Un macigno per un’azienda para-statale che, con i soldi di Berna, è uno dei più grandi datori di lavoro del cantone.


Questo nel 2014. A due anni di distanza la situazione non è cambiata, anzi. Con l’inizio del 2016 la Rsi ha imposto nuovi sacrifici dell’ordine del 3,5% a una categoria già particolarmente vulnerabile dal punto di vista dei diritti contrattuali e della paga, quella del personale a prestito. Non meglio è andata ai lavoratori su chiamata, quelli del settore service: siccome la Rsi a fine dicembre ha comunicato alle agenzie di audiovisivo di voler procedere a un taglio del 15% del cachet a loro riservato, alcune di esse hanno licenziato in maniera cautelativa i cameraman e i fonici che lavorano da anni su chiamata. E quindi con lo statuto di precari. «Tutte le ditte che offrono “prestazioni di servizio ”alla Rsi sono state convocate da un gruppo di lavoro interno per aprire delle trattative relative a pacchetti, prezzi, ecc. Ovviamente l’intento della Rsi è quello di ottenere una forte riduzione delle tariffe, cosa improponibile a nostro avviso, visto che questa riduzione è già stata concessa pochi anni fa. A oggi non sappiamo come e se le cose cambieranno, ma a titolo precauzionale siamo costretti a rescindere cautelativamente il rapporto di lavoro dal 31.12.2015. La pianificazione di gennaio rimane invariata in quanto termine di disdetta. Consigliamo vivamente a tutti i dipendenti di annunciarsi a una cassa disoccupazione» comunica un’agenzia a ridosso di Natale ai suoi collaboratori. Professionisti che, senza un contratto di lavoro in mano, non hanno neppure la garanzia di vedersi riconosciuta la disoccupazione per la fluttuazione del 20%.


Ma che cosa è il personale a prestito? E chi sono gli esterni su chiamata, quelli del “service”? Qual è il ruolo delle agenzie e che cosa c’entra la Rsi in tutto questo? C’entra, eccome se c’entra: la radiotelevisione svizzera di lingua italiana ha in mano i fili e può giostrare e muovere le marionette a suo piacimento. Quando si dice avere il coltello dalla parte del manico grazie alla sua posizione dominante nel settore audiovisivo.


Ecco, è qui che si aprono le scatole cinesi. La concessione federale stabilisce che per evitare il monopolio della radiotelevisione di servizio pubblico in Svizzera, ogni succursale linguistica della Srg Ssr distribuisca lavoro sul territorio, grazie agli introiti del canone, per far crescere e sviluppare la filiera audiovisiva. In pratica, si tratta di soldi che andrebbero investiti all’esterno dell’azienda per promuovere produzioni. Ma nella realtà dei fatti non funziona esattamente così e il denaro serve principalmente a pagare personale che in pratica lavora da anni, alcuni da decenni, praticamente per la Rsi, ma senza le garanzie contrattuali del migliaio di dipendenti interni. Sono, dicono le ultime stime, 114 i lavoratori a prestito (dal numero sfuggono i professionisti del service), fra cui cameramen, fonici, grafici, operatori filing, archivisti e anche giornalisti del Quotidiano e del telegiornale. Professionisti che lavorano per la Rsi, molti di loro sono presenza fissa a Comano dove hanno il loro armadietto personale, ma risultano sotto contratto con agenzie esterne. E ogni anno devono rinegoziare la propria posizione per vedersi confermato il mandato. O meglio, la “missione” come la chiamano in Rsi cui spetta il compito di pianificare le loro presenze. Un mandato che poggia su sabbie mobili, potendo cambiare di volta in volta.


Spieghiamoci meglio. Se, mettiamo il caso, dal 2012 al 2015, al dipendente esterno (ma interno, come abbiamo capito) sono stati garantiti minimo 120 giorni di lavoro, e sulla base di questi ha fatto i suoi calcoli, per il 2016 le giornate potrebbero essere decurtate a 80 con tutte le conseguenze del caso soprattutto per chi ha famiglia. Da qui quel potere che i responsabili delle risorse umane si vedono conferire non tanto come divinità, ma per la centralità della loro posizione nel decidere chi e quanto può lavorare: non sia mai contraddirli, che potrebbero togliermi lavoro.


C’è poi quel subdolo confine fra le 79 e le 80 giornate. Che sarà mai un giorno? Fa un’enorme differenza perché è lo spartiacque che definisce chi è iscritto sotto Ccl (Contratto collettivo di lavoro): i primi no, i secondi sì. Per l’azienda sono più convenienti, ai fini di pagare meno contributi e quindi risparmiare, le 79 giornate, per il lavoratore è un disastro per i propri contributi di previdenza professionale e per le coperture in generale. Non solo: chi è lì da una vita lamenta che per poter lavorare debba pagare dazio all’agenzia che si prende una parte del suo onorario.


“Rsi, parte del tuo mondo”, è questo lo slogan che la nostra televisione ha adottato. Parte del tuo mondo, ma non per i reietti di Comano, quegli esterni che sono lì a lavorare per l’azienda e poi in Intranet guardano le foto della cena di Natale cui non sono stati invitati perché loro sono “personale a prestito”. Dire che sono precari è poco: sono in costante stato d’allerta con la paura di non vedersi confermare l’incarico e con la difficoltà di poter conciliare un secondo impiego per far fronte alle mancate entrate. Ciò che è grave è che avvenga all’interno del servizio pubblico. «Nel caso del personale a prestito della Rsi il contratto della missione, invece di indicare esattamente il periodo in cui il dipendente verrà impiegato, riporta solamente un generico numero di giorni di lavoro garantiti all’anno, senza precisare la loro collocazione sull’arco di 12 mesi. Per conoscere data e durata delle missioni, che possono durare un giorno ma anche diverse settimane, il dipendente a prestito deve far capo al piano di servizio della Rsi, di cui, se tutto va bene, viene messo a conoscenza con 15 giorni di anticipo» sottolinea l’inchiesta di Andreoli del 2014.


O meglio, questo sulla carta, perché non avviene precisamente così. Il personale su chiamata è un’eredità lasciata da Dino Balestra, che una quindicina di anni fa, quando era ai vertici del colosso di Comano, decise di ottimizzare i costi per aumentare la redditività: la collaborazione con le ditte attive nell’audiovisivo costa troppo e fa niente se lo prevede la concessione federale. La dirigenza dell’allora Tsi acquista il materiale e, in buona sostanza, dice alle agenzie: vi chiamiamo a prestito, fornendo in pratica il personale formato negli studi di Comano e di Besso. I soldi per le produzioni esterne giocoforza diminuiscono perché buona parte del denaro serve ora a coprire il personale su chiamata, che di fatto è quel personale che lavora già per la Rsi, spesso addirittura formato dalla Rsi, ma non gode di un contratto stipulato con l’azienda di servizio pubblico. Un bel risparmio, non c’è che dire. Peccato che sia fatto con i soldi pubblici, in barba ai mandati, e sulla pelle delle persone che ogni anno devono pregare qualche santo in paradiso perché il capetto di turno nell’organigramma delle risorse umane non li prenda di mira, ma garantisca loro un certo numero di giorni lavorativi che uno deve pur portarsi a casa la pagnotta. Insomma, l’antifona è questa: “Vuoi lavorare in Rsi? Trovati un’impresa esterna e fatti fare un contratto da loro sulla base dei giorni che ti concederemo. Naturalmente, devi calcolare una trattenuta sul tuo lavoro per coprire le spese dell’agenzia. E per l’anno prossimo vedremo”.


Maurizio Canetta, divenuto nel frattempo il nuovo direttore della Rsi, nel 2014 – dopo la pubblicazione dell’inchiesta dell’Associazione dei giornalisti e dei sindacati dei media – si era impegnato pubblicamente a cambiare le cose. Per dovere di cronaca alcune regole sono state introdotte (ora nessun regista può più richiedere un cameraman senza un preavviso minimo di 15 giorni) e qualche situazione personale è migliorata. Ma la sostanza non è cambiata e anzi la crisi data dalla necessità di risparmiare sta aggravando la situazione
Che uno appunto continua a non saperlo, se ci sarà un anno prossimo. Intanto, i precari si tengono pronti per rispondere all’appello e a essere, comunque, sempre disponibili...

 

In Romandia tutto un altro stile

di Francesco Bonsaver

 

Sono 37 i prepensionamenti, 27  i licenziamenti e sette le riduzioni dei tempi di lavoro, più tre posti di lavoro non sostituiti da partenze volontarie per altri impieghi. È il risultato del piano di “risparmi” alla Radio televisione della Svizzera romanda (Rts) sul fronte del personale. Per raggiungere l’obiettivo di oltre 11 milioni di franchi da risparmiare, la Rts sopprimerà entro il 2017 tre emissioni religiose. 23’000 persone hanno firmato la petizione contro la cancellazione degli spazi religiosi, mentre a inizio autunno un centinaio di dipendenti aveva manifestato contro i tagli previsti.
Nell’arco di una quindicina di giorni d’inizio novembre, la direzione Rts ha proceduto a informare le persone colpite dai tagli.


L’operazione sembra essersi svolta in modo molto meno traumatico di quanto accaduto a Comano. Nessun ricorso ad agenti di sicurezza per espellere le persone licenziate, per dirne una.
Per capire differenze e similitudini tra Romandia e Ticino, area ha interpellato Willy Knopfel e Valérie Perrin, rispettivamente segretari Ssm di Ginevra e Losanna.
Innanzittutto abbiamo voluto sapere se alla Rts il sindacato fosse stato maggiormente coinvolto nella scelta dei risparmi. «No, la concertazione è arrivata dopo che le persone erano state licenziate o imposti i pensionamenti anticipati» – risponde Knopfel –. «Dalla direzione Rts c’è stata la disponibilità a discutere sui casi più difficili. In qualche modo, erano disponibili a trovar soluzioni per addolcire la pena. Le faccio un esempio. Una persona a cui avevano imposto un pensionamento anticipato a 58 anni, il cui reddito è molto basso. Negoziando con la direzione, si è arrivati a spostarlo di sei mesi».


Anche da Losanna si ha l’impressione che dalla rigidità iniziale si è passati a una moderata flessibilità.
«In un primo tempo nei piani aziendali erano previsti più licenziamenti che prepensionamenti» spiega Valérie Perrin. «Inoltre non erano contemplate le partenze volontarie, ossia persone che si davano spontaneamente disponibili ad andare in prepensionamento. La direzione ha successivamente aperto a queste soluzioni. Non conosco le proporzioni esatte, ma il loro numero è significativo».


Anche la tempistica sembra esser stata diversa tra le due unità aziendali. «Alla Rts hanno fatto tutto molto in fretta. Il piano di risparmi di quattro anni è già stato interamente applicato. Personale e sindacato si sono trovati di fronte ai fatti compiuti nel giro di poche settimane» risponde Perrin. Il collega ginevrino conferma: «In Romandia tutto è accaduto velocemente, quando ancora in Ticino e Svizzera tedesca non era successo nulla. All’inizio pensavo non fosse corretto, ritenendo che più tardi si licenzia meglio è per la persona colpita. Visto quanto successo  in Ticino, ho cambiato idea. Le faccio un esempio. Alla Rsi le persone sono state convocate a gennaio e invitate a un prepensionamento in giugno. Alla Rts, lo stesso invito lo hanno ricevuto a ottobre per luglio. Dunque, in Ticino sono stati più scorretti. Perché non solo le hanno comunicate dopo, ma le applicano prima». Già, scorrettezza. In Ticino sono stati denunciati metodi di licenziamento indegni. Seppur non indolore per chi lo subisce, ci sono modi diversi di licenziare le persone.  «A nostra conoscenza, non vi è stato l’intervento di agenti di sicurezza alla Rts. Le persone licenziate sono state rapidamente informate, potevano lavorare per il periodo di disdetta o scegliere di smettere immediatamente. Nessuno è stato forzato a uscire subito».  


Tocchiamo un altro argomento, il precariato. La Rsi sotto la conduzione di Dino Balestra aveva esternalizzato varie tipologie d’impieghi, tanto che oggi uno su dieci alla Rsi è un precario. È una piaga che conosce anche alla Rts? «Sì, certamente – risponde Knopfel, perché in televisione il fenomeno è più importante –.  In misura minore che in Ticino, direi che da noi si situa sul 5%, ma la tendenza è al rialzo. E coi tagli la proporzione crescerà. Prendo il caso delle truccatrici, a cui hanno ridotto il tempo di lavoro. Ora impiegheranno delle ausiliarie per coprire il buco inevitabile che si è creato.  
Sulla differente modalità di conduzione dei licenziamenti, Perrin la spiega anche in chiave politica. «Nelle due regioni il clima sociale nei confronti dell’azienda è diverso. Da noi sono minori gli attacchi alla Ssr, il consenso sociale attorno alla Rts è molto alto tra i cittadini. Dunque la direzione regionale non aveva nessun interesse nell’esacerbare gli animi con licenziamenti brutali. Tanto più che dimostrando minor durezza, hanno smorzato le mobilitazioni del personale Rts».


Il collega ginevrino concorda con la spiegazione, azzardando un possibile dubbio sul comportamento avuto dalla direzione di Comano.
«Credo siano possibili due interpretazioni. O sono degli incompetenti oppure hanno scelto quella modalità espressamente per dare un segnale. Resta difficile immaginare che siano dilettanti fino a questo punto. Come si comportano quando confrontati con trasmissioni in cui si trattano dei temi delicati, magari conflittuali con poteri forti?» A questo possiamo rispondere noi. È un problema che non si pone da parecchio tempo alla Rsi. Falò, la trasmissione d’inchiesta giornalistica della Rsi, ora si occupa di «Quando Fido invecchia» (puntata del 18 febbraio 2016).

Pubblicato il 

17.02.16