Sicuramente non è così che Mehmet Azak sarebbe voluto entrare nella storia della città di Bellinzona: come primo cittadino straniero a cui l’Esecutivo del Consiglio comunale ha negato la richiesta di cittadinanza elvetica. Con 23 voti contrari, 16 a favore e 4 astenuti, la naturalizzazione di Mehmet Azak viene bocciata. Curdo, da 19 anni residente nella cittadina con la sua famiglia, il 52enne Mehmet Azak ancora una volta, con questo rifiuto istituzionale, paga per un errore il cui debito si è estinto già da tempo. Lo scorso lunedì, nell’aula del Consiglio comunale, è andata perduta un’importante occasione: quella di dimostrare che politica di integrazione significa dare un’altra opportunità a chi ha sbagliato una volta. A nulla è valso l’appello dei rappresentanti della minoranza della Commissione della legislazione, i socialisti Paolo Buletti e Vincenzo Born, che nella loro lunga e dettagliata relazione (in cui ripercorrono il calvario del popolo curdo) spiegano l’importanza di un gesto che invita il Consiglio comunale a scegliere «tra la durezza e la capacità di comprensione» e che sia indice di «apertura, di volontà di costruire un modo di procedere per interesse relazioni e non esclusioni». Un appello che Buletti introduce con una frase tratta dal libro di Amin Malouf, L’identità: «Poiché è il nostro sguardo che rinchiude spesso gli altri nelle loro più strette appartenenze, ed è anche il nostro sguardo che può liberarli (…)». Ma ora che il dado è tratto non resta che la delusione per quest’occasione perduta. «La decisione dell’Esecutivo – esprime Paolo Buletti – ha rinchiuso Mehmet Azak ad un’unica appartenenza (l’errore commesso 9 anni fa) e l’ha inchiodato ad essa. La persona in questione viene assimilata ad un errore circostanziato e lontano nel tempo». Con poche righe sbrigative la relazione della maggioranza della Commissione legislativa comunale chiude la porta a Mehmet Azak. «(…) ritenuto che il medesimo è stato coinvolto in un procedimento penale per reati relativamente gravi (estorsione ai danni di un connazionale per finanziare il Pkk, ndr) e che non si è dimostrato particolarmente interessato alla cittadinanza svizzera (…)». Ma come può un uomo, che teme di essere giudicato per il proprio passato, mostrare un atteggiamento disteso di fronte ad una commissione esaminatrice che nutre nei suoi confronti diffidenza? La sua poca condiscendenza e, forse, la sua non proprietà di linguaggio diventano aggravanti. Così la risposta segue la via dello scontato – scrivono Buletti e Born – e non «quella del coraggio di (...) costruire progetti che sciolgano il gelo della disperazione». Eppure, in sede di Consiglio, nessuno dei sette firmatari della «relazione» si alza a motivare la propria decisione. Insomma, fanno notare i sostenitori della candidatura, prima si tira il sasso ma poi si nasconde la mano. Tutti gli oppositori tacitamente si accodano all’intervento del capogruppo dei liberali, Denis Rossi, che afferma «Non vogliamo emettere un giudizio, (…) siamo chiamati a decidere se dare o no la cittadinanza». «Siamo profondamente delusi – ci dice Mauro Tettamanti, capogruppo dei socialisti – soprattutto per l’assoluta mancanza di argomenti che motivi il rifiuto. Personalmente provo inoltre delusione perché delle persone che stimo, tra le fila liberali, si sono pigramente adagiate sul voto contrario dei colleghi». Insomma Mehmet si presta ad essere un facile bersaglio a prova del proprio rigore nella concessione dei passaporti crociati. «Credo che con questa decisione – conclude Tettamanti – si sia aperta una breccia pericolosa sul versante delle naturalizzazioni. E, visto che l’Udc guadagna voti ai danni dei liberali e pipidini in Svizzera, non vorrei che a qualcuno venisse in mente che per raccogliere più voti bisogna adottare la politica dell’Udc».

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08.03.02

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