La lotta per i «sans papier»

Nel coro delle critiche che denunciano la precarietà dei "sans papier" continuano ad aggiungersi più voci. Intanto il collettivo di Friburgo, di cui vi abbiamo parlato due settimane fa, continua la sua battaglia in favore di una soluzione collettiva dei "sans papier" in Svizzera. In un documento, una sorta di appello, il Centro di Contatto Svizzera-Immigrati (Ccsi) e SoS-Razzismo non masticano le loro parole di denuncia: "Nessuno conosce esattamente il numero di coloro che sono stati chiamati dapprima "clandestini" e in seguito "sans papier": non perché sarebbero invisibili, o nascosti, ma perché gli ambienti dominanti (politici e industriali) hanno interesse a mantenere uno stock di salariati largamente precari, pagati una miseria e fuori legge (quindi licenziabili dall’oggi all’indomani) che si adattano ai rischi del mercato". Secondo alcune stime in Svizzera le persone che lavorano e abitano in Svizzera senza permesso di soggiorno sarebbero centinaia di migliaia. Una cifra spaventosa che nasconde situazione di sfruttamento intollerabili. "Si tratta spesso di persone — precisano i promotori dell’appello — alle quali viene rifiutata l’autorizzazione al soggiorno o alle quali non viene rinnovato il permesso per ragioni diverse (divorzio, disoccupazione, bocciatura agli esami): i "sans papier" non sono dunque degli "illegali" ma delle persone rese illegali. Insomma i "sans papier" sono fabbricati dalla legge". Ma non è finita qui. La nuova legge sugli stranieri, aspramente criticata dalla sinistra per il suo carattere discriminatorio e xenofobo, contribuirà ad aggravare la situazione giacché prevede di generalizzare i permessi di corta durata, molto peggiori di quelli stagionali. E, come se non bastasse, la prossima revisione della legge sull’asilo farà il resto. Risultato: il numero dei "sans papier" continuerà a crescere. Sulla questione il Centro di contatto Svizzera-Immigrati e SoS-Razzismo compiono un passo in più nel senso che affermano, giustamente, che la realtà dei "sans papier" non è circoscritta, ma concerne tutti i salariati. "Non si può — precisano i firmatari — separare le due realtà, quella cioè dell’immigrato e dello svizzero: tutti fanno parte della stessa classe — devono cioè vendere la loro forza lavoro — e sono vittime degli stessi metodi di sfruttamento. In questo senso, quindi, la lotta in favore dei "sans papier" si inserisce nel quadro più ampio della lotta per condizioni di esistenza migliori dell’insieme dei lavoratori". Con i nuovi flussi migratori, con il ricorso massiccio delle aziende alla manodopera a buon mercato, la questione dei "sans papier" assume una valenza europea. Ogni settimana, infatti, centinaia di migranti, attirati da facili quanto illusorie promesse di ricchezza, vengono arrestati mentre tentano di oltrepassare le barriere dei paesi dell’Unione europea, che somiglia sempre di più ad una fortezza. E nella maglie di questa Unione europea sempre più ostile verso chi non ha nulla, i "sans papier" sono i primi a cadere. C’è solo un modo, concludono i promotori dell’appello, per contrastare questa fitta tela: la lotta collettiva, la regolarizzazione dei "sans papier", una vera libera circolazione delle persone, il miglioramento delle condizioni di lavoro per tutti, la parità di trattamento tra svizzeri e immigrati. Ecco, queste sono le basi su cui costruire un’integrazione veramente democratica. Pane secco ai padroni Le rivendicazioni sul piatto. I lavoratori del settore alberghiero e della ristorazione ne hanno abbastsanza di fare la fame. Sì, perché i loro salari sono particolarmente bassi (il salario minimo è di 2 mila 510 franchi mensili). Se a ciò aggiungiamo condizioni di lavoro massacranti, il cerchio si chiude. Per protestare contro questa situazione e rivendicare salari migliori, il sindacato Unia ha chiamato a raccolta i dipendenti del settore. La manifestazione, che avrà luogo martedì prossimo, coincide con l’assemblea dei delegati di Gastrossuisse che a Interlaken si chinerà sulle sorti del settore. Ad attenderli, ad accoglierli, ci saranno lavoratori e lavoratrici che per l’occasione indosseranno dei grembiuli, con le scritte di diversi slogan, e consegneranno del pane secco — simbolo delle condizioni deplorabili del settore — per il "menu" dei delegati, abituati, loro, a ben altre libagioni. L’obiettivo di Unia è di ottenere, nel quadro del rinnovo del contratto collettivo, salari migliori e orari di lavoro umani, al di sotto, dunque, delle "normali" sessanta ore alla settimana (c’è chi è sottoposto anche a questi ritmi di lavoro). Se il settore alberghiero e della ristorazione vuole davvero migliorare la sua immagine turistica, deve prima migliorare le condizioni di lavoro di chi lo fa vivere.

Pubblicato il

25.05.2001 01:30
Françoise Gehring Amato