Sindacato

La lotta di classe è viva e vegeta, anche in Ticino

L’economista Christian Marazzi analizza la decadenza del neoliberismo e il riemergere del conflitto e delle mobilitazioni sindacali e popolari. Anche in Ticino, dove proprio per oggi è indetta una giornata di agitazioni e scioperi contro i tagli nel settore pubblico

A volte i dettagli confondono la comprensione. Meglio quindi allontanarsi dal soggetto, per vedere la tela di fondo su cui si muove. Francamente poi, lo spettacolo dato dalle maggioranze partitiche in Governo e Gran Consiglio sul dibattito del Preventivo 2024, lascia sgomenti. L’assenza di coraggio di liberali e leghisti nell’assumersi l’impopolarità dei tagli conseguenti alla politica d’austerità e sgravi professata nel Decreto Morisoli, è imbarazzante. Quel che avviene nella nostra provincia, è però un riflesso di quanto offra la tela di fondo globale.

 

Gli economisti e ricercatori sociali Spartaco Greppi e Christian Marazzi, pubblicando uno scritto in prima pagina de laRegione nel giorno dell’inizio del dibattito parlamentare sul Preventivo, lo hanno evidenziato con maestria. Lotta di classe, così s’intitolava l’articolo, spiegava quanto le misure di risparmio governative non abbiano nulla d’innovativo, ma s’inseriscano nella storia secolare del conflitto tra capitale e lavoro. «La logica del meno stato, “dell’affamare la bestia”, riducendo le entrate fiscali favorendo i facoltosi per poi costringere la classe politica al governo a tagliare la spesa sociale, è il programma neoliberale che si è imposto globalmente dagli anni Ottanta in poi» spiega Christian Marazzi.

Eppure, c’è stato un momento in cui si pensava che l’aria fosse cambiata. «Di questo sono convinto. La pandemia è stata il sintomo parlante di una crisi complessiva dell’economia di mercato. L’essere stati costretti a bloccare il delirio iperproduttivista, ha indotto a livello internazionale a delle politiche più attente all’equità e allo sviluppo virtuoso». Ma è durato un attimo, il tempo di passare dallo stato pandemico allo stato di guerra. La logica neoliberale sembra essere così tornata ad imporsi velocemente, perlomeno a livello istituzionale. Non dal basso. «A livello di società, dopo la pandemia, il concetto di lavoro è entrato in crisi esistenziale (si pensi al fenomeno delle grandi dimissioni, ad esempio), finendo per mettere in discussione l’essenza stessa del capitalismo, incentrato sullo sfruttamento del lavoro» prosegue Marazzi, che si dice certo di quanto la parabola dell’ideologia neoliberista sia ormai in fase discendente. «Il suo modello di società è ormai rimesso in discussione ovunque. Rimane però la sua natura di classe, l’odio di classe, che sopravvive alla sua decadenza esprimendosi in modo violento».

 

Anche in provincia, in Ticino. La decadenza del neoliberismo nostrano non si è forse manifestata nell’arroganza d’imporre sacrifici al ceto medio tagliando i sussidi all’assicurazione malattia e promuovendo al contempo sgravi fiscali ai ricchi? «I sintomi di quanto la maggioranza politica cantonale abbia perso la ragione, ci sono tutti. Si tagliano i fondi allo Stato nel nome del ceto medio, andando poi a colpire lo stesso ceto medio». Se sui sussidi hanno capito la malparata, non sono invece arretrati sugli sgravi ai facoltosi su cui si voterà grazie al referendum. All’economista Marazzi chiediamo il senso di questa operazione: «Il taglio al prelievo fiscale sui contribuenti più ricchi, parallelamente alla riduzione delle spese di trasferimento al terzo settore, potrebbe avere la conseguenza di aumentare il disavanzo pubblico invece di diminuirlo. Siamo in un’economia dove la variabile “tempo” ha molta importanza. Pensano che tagliando a destra e a manca, ci sarà un’immediata riduzione del disavanzo. Non è vero. Se impoverisci ulteriormente la popolazione, provochi una concatenazione di cause ed effetti che si riverbera sull’economia locale col freno ai consumi e la riduzione delle entrate fiscali dovute ai minori redditi».

 

All’odio di classe c’è però stata una risposta. «Le mobilitazioni popolari e sindacali contro i tagli, la presa di posizione del terzo settore (il privato sociale), a cui il governo ha messo le mani nelle tasche, e l’opposizione combattiva in Parlamento costituiscono un segnale importante della crescita di un fronte di resistenza. Provano che il conflitto sociale esiste e ci sono dei corpi intermedi in grado di esprimerlo».

La contrapposizione sociale non è coerente con la polarizzazione economico-sociale, dove i ricchi son sempre più ricchi, mentre la povertà aumenta trascinando con sé la classe media, sempre più esigua nei numeri? «Sì, ma non è scontato che si manifesti. Nel neoliberalismo c’è stato, anche a sinistra, un tentativo di rimuovere l’idea di conflitto e di lotta di classe che invece ha una sua immanenza. Lo vediamo nella lotta di classe ripartita negli Stati Uniti con l’estensione degli scioperi, dopo decenni di tentavi di esorcizzarla, smembrando la classe operaia, precarizzandola, disperdendola nei mille rivoli del mondo del lavoro».

“Eh già, siamo ancora qua”, vien da dire parafrasando Vasco Rossi. Una lotta di classe che, con buona probabilità, si ripresenterà localmente nell’imminente futuro, quando il governo presenterà il prossimo preventivo, ben più lacrime e sangue dell’ultimo, se vorrà restare nella gabbia autoimpostasi (col beneplacito del voto popolare) del pareggio di bilancio. «L’ultimo dibattito parlamentare ha lasciato le cose a metà. Sarà interessante capire come riempiranno la metà rimanente ad autunno, nel preventivo dell’anno venturo. Se l’impostazione ideologica resterà la stessa, cosa molto probabile, lo scontro riprenderà in forma ancora più vigorosa. Le premesse per un ulteriore balzo avanti del conflitto ci sono tutte».

La giornata di protesta

Scioperi e manifestazione a Bellinzona

 

Nessun rincaro e nuove assunzioni a coprire solo l’80% dei partenti. La mancata sostituzione comporta un peggioramento del servizio alla cittadinanza e un aggravio del carico lavorativo per i singoli dipendenti, ricordano Erredipi e Vpod. Il mancato rincaro invece a un dipendente con 70.000 franchi di stipendio annuo, equivale a una perdita di oltre mille franchi l’anno, oltre diecimila in dieci anni. In tutta la Svizzera, il Ticino è il solo cantone a non riconoscere il rincaro. I due giorni e mezzo di vacanza supplementare e la tantum di 400 franchi proposta dal governo nell’ultima trattativa sono stati giudicati insufficienti dal 90% dei votanti della Vpod. Per questi motivi, per questo 29 febbraio è stata indetta una giornata di agitazione che si concluderà con un corteo a Bellinzona che partirà alle ore 17. Lo sciopero assumerà modalità diverse di adesione, dalla giornata intera o parziale, a seconda anche dei rispettivi servizi essenziali forniti alla popolazione (sanità, assistenza, accudimento). Ocst ha aderito a metà, sì nelle scuole, sociosanitario e socioeducativo, no da poliziotti e amministrativi.

Pubblicato il

29.02.2024 09:56
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