Femminismo

Il 2019 sarà, dal punto di vista sindacale, l’anno dello sciopero delle donne. Il movimento in Svizzera è già entrato nel vivo del dibattito e persino dell’organizzazione della protesta del 14 giugno. I comitati regionali e quello nazionale si sono già formati ma sono ancora aperti a nuove adesioni e idee. Un punto importante in questo momento è il confronto con esperienze di lotta internazionali recenti che possono insegnare molto al movimento delle donne in Svizzera e rafforzarlo nelle sue rivendicazioni. Le donne del sindacato Unia sono in prima linea per sostenere il movimento. In vista dell'importante evento, abbiamo intervistato Julia Cámara, membro del coordinamento nazionale dello sciopero in Spagna

 

Mancano ancora sei mesi al giorno che, si spera, potrebbe ripetere lo storico successo della mobilitazione delle donne in Svizzera del 1991, eppure il movimento è già in fermento: sono già molte le riunioni, le discussioni e le iniziative nelle diverse città della Svizzera.

 

I comitati

Per Manuela Giovanoli, responsabile del gruppo donne di Unia, «è importante cominciare da subito a lavorare per costruire una consapevolezza rispetto alle cose che non vanno bene» e per questo «a livello nazionale e regionale si sono già formati dei comitati per lo sciopero composti dai sindacati, da associazioni femministe e progressiste, dai partiti politici. È uno schieramento molto composito: ci sono anche donne del fronte borghese. Questi comitati stanno già facendo molto a livello locale». Questi gruppi ovviamente sono ancora aperti a nuove adesioni anche se, continua Giovanoli, «è difficile coinvolgere tutte le categorie di donne, soprattutto quelle migranti. In alcune regioni è più facile, in altre meno. Il fattore linguistico è determinante».  

 

Il confronto internazionale

Il dibattito è piuttosto ricco di temi ma c’è un aspetto che in questo momento appare molto importante, ovvero il confronto con altre esperienze simili al di fuori della Svizzera. Per Manuela Giovanoli «c’è una forte internazionalizzazione delle lotte delle donne. Questo è importante, anche per coinvolgere le donne migranti del nostro paese. La questione delle donne non è solo svizzera ma globale».  Tra le molte lotte, «lo sciopero spagnolo ci ha insegnato che è possibile pensare in grande e soprattutto cambiare le cose».

 

8 marzo 2018

Lo storico sciopero delle donne in Spagna dell’8 marzo 2018 è, quindi, quello che più fa sperare nella riuscita della protesta in Svizzera. Lo scorso anno sono scese in piazza infatti più di cinque milioni di persone contro le politiche del governo iberico, per richiedere una piena uguaglianza tra i sessi e un maggior rispetto per le donne e le minoranze di genere. Alla Volkshaus di Zurigo, abbiamo incontrato e intervistato Julia Cámara, membro del coordinamento nazionale dello sciopero, che ci ha parlato, tra le altre cose, delle differenze che sussistono tra uno sciopero classico e uno sciopero femminista. Il primo consiste nel non andare al lavoro, il secondo anche nell’astensione delle donne dai lavori non retribuiti, quelli domestici e di cura, dal rifiuto del consumo e da un blocco delle attività di scuola e università.


Quali sono le principali tappe che hanno portato allo sciopero delle donne in Spagna?

In prima battuta abbiamo costituito dei comitati regionali e uno a livello statale, in seguito abbiamo avuto diversi momenti di elaborazione teorica relativi al concetto di sciopero femminista  e, infine, ci siamo concentrati sugli aspetti organizzativi. Rispetto alle lotte legate al lavoro, la nostra protesta era condotta su più livelli: non ci siamo soltanto limitate a non lavorare, ma abbiamo anche bloccato le scuole e le università, ci siamo astenute dai lavori domestici e di cura e, infine, abbiamo fatto uno sciopero dei consumi. 

Come avete fatto a coinvolgere tutte le categorie di donne della società?

Questo era un nostro obiettivo ma non so se lo abbiamo raggiunto in pieno. Alcuni collettivi di donne di colore, ad esempio, hanno rivolto alcune critiche, a mio modo di vedere pertinenti, perché non si sentivano incluse nel ventaglio di rivendicazioni della prima ora. Sul tema del coinvolgimento pieno di tutte le categorie di donne c’è ancora molto da fare.

Cosa è cambiato dopo lo sciopero in Spagna?

Si è verificato un cambiamento radicale della coscienza collettiva rispetto al tema del femminismo: prima dello sciopero il femminismo sembrava essere associato a un gruppetto sparuto di donne un po’ folli impegnate in attività radicali per strada, ora è sulla bocca di tutte. Tutto questo può comportare alcuni rischi, ma è sicuramente l’occasione per una presa di coscienza politica per molte donne.

Quale ruolo hanno giocato le donne iberiche residenti all’estero?

Sono state molto importanti. Un esempio: il movimento transnazionale Marea granate, nato nel 2012 per combattere le politiche economiche e sociali dei governi spagnoli, causa della recente ondata emigratoria dalla penisola iberica, ha partecipato attivamente alla lotta con i suoi gruppi chiamati femigrantes e ha contribuito in maniera decisiva a internazionalizzare le rivendicazioni dello sciopero.  

Gli uomini come hanno supportato lo sciopero?

Gli uomini hanno giocato il ruolo di facilitatori. A loro abbiamo dato il compito di gestire le attività di supporto dello sciopero: lo spazio per i bambini e la ristorazione. In generale, abbiamo chiesto loro di fare il possibile per permettere un’ampia partecipazione delle donne allo sciopero.    

Lo sciopero spagnolo può insegnare qualcosa al movimento femminista svizzero?

Le strutture classiche di organizzazione degli scioperi sono importanti per la riuscita dello sciopero. Si deve cercare però, a mio modo di vedere, di andare oltre: occorre cercare di  costruire spazi il più possibile aperti. 

Pubblicato il 

17.01.19
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