La liberalizzazione fa male

Studi confermano: danni alla salute

Con questa modifica, che si inserisce in un progetto più ampio di liberalizzazione degli orari d'apertura dei negozi, si rischia infatti di spalancare le porte alla generalizzazione della giornata lavorativa di 24 ore. In gioco vi è la salute delle lavoratrici e dei lavoratori, per un settore dove non c'è la necessità di offrire un servizio non-stop. È infatti dimostrato che il lavoro notturno può creare problemi di tipo fisico e psicologico, così come più in generale gli orari di lavoro diversi da quelli standard: i ritmi sociali vengono sfasati e questo ha un impatto negativo sia sulla salute sia sulla sicurezza dei lavoratori.

 

Per capire meglio e concretamente quali siano le conseguenze della liberalizzazione degli orari d'apertura dei commerci basta guardare alla vicina Unione Europea, dove il cambiamento è già in atto da alcuni anni e le condizioni di lavoro e di salute di chi è impiegato nella grande distribuzione sono notevolmente peggiorate. A confermarlo una serie di studi raccolti in un dossier apparso sul numero di dicembre di HesaMag, la rivista dell'Istituto sindacale europeo (Etui) che si occupa di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Gli studi, condotti in vari paesi dell'Ue, hanno infatti rilevato un deterioramento progressivo delle condizioni di lavoro nel settore del commercio, con conseguenti problemi di salute legati principalmente agli orari e al ritmo di lavoro cui sono sottoposti i dipendenti. Secondo i dati raccolti nel dossier, tutte le categorie professionali impiegate nella grande distribuzione sono sottoposte ad uno stress crescente provocato da un'intensificazione dei ritmi in un contesto di fragilizzazione della qualità del lavoro. Quasi mai, infatti, il prolungamento degli orari d'apertura ha coinciso con un incremento di personale (in certi casi è addirittura stato ridotto), che resta quindi a livelli insufficenti per far fronte all'aumentato carico lavorativo. I dipendenti del settore, confrontati con orari irregolari e difficilmente pianificabili, con il lavoro su chiamata e con il tempo parziale obbligato, faticano ad organizzare la propria vita al di fuori dell'ambito professionale.

 

Questo comporta una serie di problemi di salute a livello psichico, che si sommano a quelli di tipo fisico (principalmente problemi muscolo-schelettrici), anch'essi in aumento. Uno dei rischi che questi problemi di salute comportano è che un numero sempre più alto di dipendenti è spinto ad uscire prematuramente dal mercato del lavoro, con le conseguenze che questo comporta per l'intera società. Confrontato con condizioni di lavoro difficili, il personale della grande distribuzione necessita, come le altre categorie professionali, di giorni di riposo, di poter passare del tempo con la propria famiglia e i propri amici e di beneficiare di politiche volte a conciliare attività lavorativa e famiglia. Con l'introduzione di negozi aperti 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 questo diventa ancora più difficile di quel che è già. Per combattere questa tendenza, nell'Ue è stata fondata l'Alleanza europea per la protezione della domenica (European Sunday Alliance), che vuole promuovere e difendere orari di lavoro dignitosi a tutela della salute e della dignità dei lavoratori.

 

I favorevoli alle aperture prolungate dei negozi ritengono che queste siano in grado di stimolare il settore del commercio e l'economia in generale, mentre Uni-Europa Commerce (il sindacato europeo dei lavoratori del commercio) ritiene si tratti di una strategia applicata dai giganti della distribuzione per eliminare la concorrenza dei commerci piccoli e medi, che non possono permettersi di restare aperti sempre.

 

Nessun beneficio diretto per l'economia quindi, anzi: più ci saranno negozi aperti la domenica, nei giorni festivi e fino a tardi la sera, più altri settori dovranno inevitabilmente adattarsi (asili nido, doposcuola, personale addetto alla pulizia di questi negozi, trasporti, eccetera), con le relative conseguenze per il personale. La realtà è che alcuni settori potrebbero addirittura essere penalizzati da queste aperture, come ad esempio i cinema, i teatri, i ristoranti e tutti coloro che "vivono" grazie al tempo libero delle persone (che avranno sempre meno tempo libero).

Pubblicato il

25.01.2013 18:00
Veronica Galster