In vista dell’allargamento degli accordi sulla libera circolazione delle persone ai dieci Paesi appena entrati a far parte dell’Ue, anche nel sindacato, ci sono molti colleghi che si illudono ancora circa gli effettivi rapporti di forza tra padronato e sindacato. Partendo dal presupposto che siano a favore di quest’ultimo e che, pertanto, riusciremo a far rispettare le misure di accompagnamento, peraltro nettamente insufficienti, che ci verranno ulteriormente promesse. La situazione odierna, a tre mesi dall’entrata in vigore della libera circolazione con i Paesi Ue, dovrebbe, invece, far aprire gli occhi sulla reale volontà dei politici e del padronato di rispettare quanto già sottoscritto in vista della prima votazione. Infatti, a tre mesi dall’entrata in vigore della libera circolazione con i Paesi della “vecchia Ue”, la situazione è obiettivamente catastrofica, basti ricordare: • i contratti di valenza nazionale che non sono più stati rinnovati (pittura, falegnami, carpentieri, giornalisti,…) • massiccio di manodopera interinale in alcuni casi prevalentemente proveniente dall’estero; • l’esplosione dei permessi di breve durata; • l’afflusso incontrollato di lavoratori pseudo indipendenti; • la disoccupazione stagnante, se non in aumento a fronte di una situazione economica da tutti riconosciuta in fase espansiva; • i finanziamenti a favore di organi di controllo o commissioni paritetiche sistematicamente negati o concessi con il contagocce per importi irrisori A tutto ciò si deve aggiungere l’inconsistenza delle commissioni tripartite per la messa in atto delle misure di accompagnamento, laddove esistono, poiché in molti cantoni non sono ancora state costituite. Inconsistenza e immobilismo legate ai divergenti interessi (padronali e dei lavoratori) sommate alle reticenze dell’amministrazione che, ovviamente, obbedisce a governi chiaramente orientati al liberismo assoluto. È pertanto indispensabile, se vogliamo veramente fare gli interessi dei salariati e delle salariate, costruire un nuovo rapporto di forza. Per farlo, l’unico mezzo oggi a nostra disposizione è il lancio di un referendum che permetta di bloccare la volontà padronale, più volte espressa, di diminuire del 30 per cento i salari svizzeri. Solo dopo aver chiaramente espresso l’insoddisfazione delle lavoratrici e dei lavoratori ed aver bloccato il processo in atto potremo ricominciare la discussione sulla base di un rapporto di forza diverso, più favorevole per noi e far approvare misure veramente efficaci a tutela del potere d’acquisto e delle conquiste sociali fin qui acquisite e che ogni giorno siamo già chiamati a difendere dagli attacchi liberisti e dalle mire smantellatrici della destra e del padronato. Pertanto, nell’interesse dei nostri associati e di tutti coloro che vivono di lavoro salariato nel nostro Paese, bisogna dire Sì al referendum, e dare quindi un segnale forte alla classe padronale e politica, per ritornare a discutere di libera circolazione solo quando ciò non farà più rima con libero sfruttamento delle persone. L'autore è segretario regionale del Sindacato edilizia e industria (Sei) Ticino e Moesa

Pubblicato il 

08.10.04

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